«Nel carcere le condizioni sono spaventose», spiega il detenuto anonimo: «gli americani lavorano in stretta collaborazione con i capi dell’amministrazione penitenziaria nel torturare i detenuti, minacciarli e ricattarli onde costringerli a lavorare con loro in cambio di vantaggi pecuniari. In caso di rifiuto sono torturati di nuovo e minacciati di essere tenuti in prigione indefinitamente».
Il trattamento rende i carcerati «psichicamente fragili, senza punti di riferimento e disperati»; così «diventano facili vittime delle profferte dei loro carcerieri».
A quel punto, «sono presi in carico dalle truppe d’occupazione, che dispongono di servizi speciali i quali addestrano gli arruolati agli assassinii e ai sequestri, specialmente di personale scientifico» (oltre 300 cattedratici e scienziati iracheni sono stati uccisi o sono scomparsi).
Apparentemente, questi prigionieri non hanno commesso nessun reato.
«Sono per lo più giovani arrestati nel corso di rastrellamenti dagli occupanti. Sono portati in luoghi deserti, e lì sono fotografati con armi e munizioni tutto attorno, accusati di terrorismo in base a queste ‘prove’, e poi chiusi a Boka».
Particolare significativo: secondo questo ed altri detenuti, nel carcere di Boka opererebbe Al Qaeda, che recluterebbe e formerebbe ideologicamente i giovani di fede sunnita.
«In ogni tenda si pronunciano atti di lealtà all’emiro (Bin Laden) sotto gli occhi e senza il minimo intervento delle truppe d’occupazione; e ciò mentre la minima richiesta di miglioramento delle condizioni di detenzione è repressa con violenza estrema, anche con l’uso delle armi».
Aggiunge il sito: «E’ di notorietà generale che per lo più i giovani ingiustamente incarcerati, spesso nemmeno praticanti in precedenza, in questa prigione ne escono solo quando hanno la testa infarcita della cultura estremista di Al Qaeda».
Iraqirabita invita altri ex detenuti che siano passati nel carcere di Boka a scrivere le loro testimoniane; l’indirizzo è [email protected].
La notizia è incontrollata e incontrollabile.
Ma è in singolare «risonanza» con gli enigmatici eventi in corso in Libano.
Anche qui, ha attaccato l’armata libanese una formazione detta Fatah al-Islam, che è insediata nel campo-profughi palestinese di Nahr al Bared e che, secondo Le Monde «è comparsa da meno di un anno e non dispone di sostegno politico in Libano».
Tuttavia, è armata di armamento pesante ed è stata dichiarata subito, da tutti i media occidentali, come «fazione sunnita vicina ad Al Qaeda» e nello stesso tempo «manovrata dal regime siriano» (composto di sciiti, ancorchè secolarizzati).
Il ministro degli Esteri siriano Oualid Moualem ha smentito: «Le nostre forze danno la caccia a questa formazione, anche in collegamento con l’Interpol», ha detto.
«Siamo contro questa organizzazione. Essa non difende la causa palestinese e non ha di mira la liberazione della Palestina». (2)
All’interno del campo di Nahr al Bared, da cui spara la formazione Fatah al-Islam e in cui avrebbe la sua piazzaforte (e perciò il campo è bombardato dall’armata libanese), risuonano – riferisce la Reuters – altoparlanti che gridano appelli all’esercito libanese perché cessi i bombardamenti. Evidentemente il gruppo è estraneo ai profughi, che chiedono pietà (una crisi umanitaria incombe nel campo, ha detto Richard Cook, dell’agenzia ONU per i rifugiati).
Può essere formato da giovani «con la testa infarcita degli estremismi di Al Qaeda» e sottoposti ai trattamenti di cui parla il sito iraqirabita.
La coincidenza dello scontro in Libano con l’intervento israeliano nella «guerra civile» di Gaza è indicativo di una false flag operation.
Lo scopo evidente di Israele è di eliminare Hamas come forza politica e militare.
Il 17 maggio scorso, Israele ha consentito il passaggio nella striscia di Gaza a oltre 500 armati di Fatah, a quanto si dice riforniti e addestrati dagli USA secondo il programma elaborato da John Bolton (pare anche in basi europee, e da addestratori indicati come «russi», forse ucraini), i quali sono andati a rinforzare i combattenti di Fatah che stanno scontrandosi con le forze di Hamas leali al primo ministro Ismael Haniyeh, e rischiano di avere la peggio.
Elicotteri israeliani hanno dato sostegno ai miliziani di Fatah tirando missili contro dirigenti e militanti di Hamas, uccidendo spesso i loro familiari, mogli e figli.
Le artiglierie israeliane sono ammassate a ridosso di Gaza ed alcuni carri armati sono penetrati nel territorio.
Tsahal ha dichiarato che queste operazioni non sono in appoggio a Fatah, ma solo la risposta ai razzi Kassam che Hamas starebbe continuando a lanciare in Israele.
Altro fatto misterioso: mentre sono impegnati nello scontro mortale intra-palestinese, i guerriglieri di Hamas trovano tempo e modo di lanciare in pochi giorni oltre 80 razzi, notoriamente inefficaci; hanno dunque una gran voglia di battersi su due fronti.
Un sito ebraico pacifista, «desertpeace», scrive che mentre nelle ultime ore entrambe le fazioni palestinesi hanno ordinato un cessate il fuoco più o meno rispettato, «gruppi che non hanno relazione né con Hamas né con Fatah continuano a bombardare innocenti israeliani nelle cittadine del Negev».
Senza relazione con Fatah o Hamas.
Forse giovani «con la testa infarcita» delle lezioni di «Al Qaeda» apprese in qualche carcere di massima sicurezza.
Fatto è che un generale israeliano ha spiegato che l’operazione in corso a Gaza ha proprio lo scopo di «far pagare ad Hamas» i lanci di razzi.
Ma subito dopo ha aggiunto che l’operazione sarebbe continuata anche se Hamas avesse cessato i suoi tiri.
«Non stiamo dialogando con Hamas. Non stiamo attaccando solo case e terreni. Vogliamo che Hamas paghi per il terrore».
Insomma, vogliono la resa dei conti finale, con la scusa e sotto la copertura della «guerra civile» palestinese e mentre il misterioso intervento di «Al Qaeda» in Libano distrae l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale.
Difatti, il 20 maggio, il gabinetto di sicurezza di Israele ha approvato il piano di escalare il conflitto con Hamas, autorizzando le operazioni fino allo «smantellamento delle infrastrutture terroristiche», ossia dell’intero governo di Hamas.
Solo l’incertezza di Olmert dopo la batosta subita da Hezbollah lo trattiene dall’ordinare la completa re-invasione di Gaza.
Il ministro dell’Interno palestinese Hani Kawassmeh ha scoperto che i suoi tentativi di arrivare ad un cessato il fuoco tra Hamas e Fatah trattenendo le rispettive milizie erano sistematicamente sabotate dal suo stesso capo della sicurezza, Rashid Abu Shbak, che risponde a Mahmoud Dahlan, un caporione di Fatah a Gaza.
Shbak ha più volte ordinato alle milizie di Fatah di prendere le strade nonostante l’accordo raggiunto tra Hamas e le istruzioni di Kawassmeh, riaccendendo gli scontri che languivano.
In conseguenza di questa scoperta, Kawassmeh si è dimesso.
In seguito, forze di Hamas hanno attaccato la lussuosa magione di Shbak: uccise almeno cinque guardie del corpo, ma lui non era in casa.
Ciò avviene mentre USA ed Unione Europea mantengono il loro embargo contro Hamas, contribuendo ad affamare la popolazione palestinese.
Si tenga presente che, ad oggi, Israele continua a trattenere 800 milioni di dollari in diritti doganali dovuti al governo palestinese.
Tutto ciò serve probabilmente non solo e non tanto a sostituire lo sgradito Hamas con un altro governo, ma a ridurre i palestinesi in ginocchio e costringerli ad accettare di essere rinchiusi nei loro ghetti sempre più ristretti, o ad abbandonare il Paese. (3)
Scontri fratricidi e azioni di «Al Qaeda» paiono dunque parti di uno stesso piano di sovversione, ampiamente preordinato e controllato.
Il Libano sarebbe coinvolto nel piano di cantonizzazione.
Già un mese fa l’amico Wayne Madsen riportava: «Nostre fonti libanesi e il quotidiano libanese Aldiyar riferiscono che la NATO si accinge a costruire una base sul terreno di una vecchia base abbandonata a Klieaat nel nord-Libano. La base servirà come quartier generale delle forze di dispiegamento rapido NATO, squadroni di elicotteri e forze speciali […] L’allestimento di tale base si fa su pressione di individui del Dipartimento della Difesa USA e dello Stato Maggiore riunito. L’amministrazione Bush ha di recente avvertito le autorità libanesi della presenza di gruppi di Al Qaeda nel Libano del Nord».
Guarda caso, ecco comparire battagliero il gruppo sconosciuto Fath al-Islam, da tutti (proprio tutti) i media additato immediatamente come un’emanazione di Al Qaeda.
Chi li avrà informati con tanta tempestività, lo possiamo immaginare.
E dove appare il nuovo ente terrorista con le sue armi pesanti?
Proprio vicino alla base di Kleiaat nel Libano del nord.
Secondo Madsen il gruppo, che non esisteva un anno fa, è stato lanciato con fondi della CIA e della Falange Libanese (Geagea), con la scusa di fare da contrappeso ad Hezbollah nel sud.
In realtà, Fath al-Islam sembra fatto apposta per «giustificare» l’accesso delle forze USA e NATO nella base del Libano del nord, finora risparmiato dalla sovversione interna ed esterna.
Note
1) Oussama Kamel, «Un ancien détenu à la prison américaine de Boka en Iraq, lève le voile sur les méthodes de recrutement des terroristes en prison!», Iraqirabita, 17 maggio 2007.
2) Yara Bayoumy, «L’armèe libanaise bombarde à nouveau le camp de Nahr al Bared», Le Monde, 21 maggio 2007.
3) Jean Shaoul, «Israel stokes up Hamas-Fatah strike in Gaza, considers ground invasion», World Socialist Website, 21 maggio 2007.
(Tratto da www.effedieffe.com)