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Israele: esplode la rivolta dei Falasha, manifestazioni e scontri

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Quando un paese ne occupa e ne opprime un altro sono anche i propri cittadini a subire il razzismo e la discriminazione indirizzata ufficialmente nei confronti dei colonizzati. A maggior ragione se si è in qualche modo diversi dalla maggioranza della popolazione. È quanto accade in Israele nei confronti dei cosiddetti ‘falasha’, cittadini etiopi portati spesso con l’inganno in Israele nei decenni scorsi per motivi strumentali e che da allora sono stati abbandonati a se stessi e discriminati.

Ma dopo anni di soprusi alcuni di loro hanno deciso di alzare la testa e ieri a Tel Aviv una manifestazione organizzata dagli israeliani di serie B contro le discriminazioni e le violenze della polizia è sfociata in scontri e arresti.
Secondo il bilancio ufficiale la giornata si sarebbe saldata con una cinquantina di feriti, molti dei quali agenti di polizia sorpresi dalla determinazione di centinaia di giovani manifestanti che hanno dimostrato in diverse zone di Tel Aviv, e che in piazza Rabin hanno addirittura tentato di penetrare all’interno della sede del municipio. A quel punto la repressione è diventata frontale. I reparti a cavallo della polizia israeliana si sono lanciati contro i dimostranti, 15 dei quali sono stati arrestati. La polizia ha sparato anche delle granate stordenti per disperdere la folla e impedirle di raggiungere il municipio. I manifestanti hanno lanciato pietre, bottiglie e sedie contro gli agenti in tenuta antisommossa che hanno utilizzato idranti e gas lacrimogeni per dissuadere i manifestanti dal continuare la protesta, invano.
Prima gli immigrati etiopi avevano manifestato nei pressi degli uffici del governo nei pressi delle Torri Azrieli, e poi alcune migliaia di persone – Falasha ma anche attivisti di alcuni gruppi di sinistra e associazioni antirazziste – hanno marciato al grido di ‘Né bianchi né neri, solo esseri umani’, verso la sede del Comune di Tel Aviv dove la situazione si è fatta incandescente.
 

Già una decina di giorni fa una manifestazione era degenerata in scontri e anche giovedì scorso la rabbia dei Falasha si era indirizzata contro il razzismo della polizia e centinaia di persone si erano scontrate contro i reparti antisommossa a Gerusalemme al grido di “Il nostro sangue è buono solo per le guerre”, in riferimento al fatto che i cosiddetti ‘ebrei etiopi’ sono relegati ad un rango subalterno dall’establishment israeliano che li ha utilizzati in passato per popolare alcune aree strappate ai palestinesi e che in genere li usa per le missioni belliche più pericolose.
Secondo la tradizione mitologica ebraica i Falasha sarebbero il risultato dell’unione tra re Salomone e la Regina di Saba. Tra il 1977-1979 lo stato di Israele approfittò del clima di intimidazione in Etiopia nei confronti di alcune comunità Falasha per convincere gli ‘ebrei etiopi’ a emigrare verso il Sudan. Poi, ricorrendo in molti casi all’inganno, il governo di Israele trasportò varie decine di migliaia di loro a Tel Aviv attraverso un imponente ponte aereo nel corso di tre operazioni denominate rispettivamente “Operazione Mosè”, “Operazione Giosuè” e “Operazione Salomone”. Attualmente in Israele vivono circa 120mila Falasha e loro discendenti, la maggior parte dei quali è relegata ai margini della società in uno status che è molto simile a quello imposto ai palestinesi e agli altri immigrati africani spesso oggetto di pogrom razzisti. I rappresentanti delle comunità Falasha hanno spesso accusato le autorità israeliane di perseguire una drastica politica di “ebraizzazione” degli immigrati etiopi, utilizzando soprattutto il sistema scolastico e l’esercito.
 

A far riemergere la ferita del razzismo israeliano nei confronti dei Falasha è stato il brutale pestaggio di un soldato di origine etiope – tra l’altro in uniforme – da parte di un gruppo di poliziotti, le cui immagini riprese da una telecamera di sorveglianza sono rapidamente rimbalzate sulla rete e sui social network scatenando rabbia e indignazione.
Nel tentativo di placare la rabbia dei Falasha giovedì il presidente della Repubblica Reuven Rivlin aveva incontrato una delegazione di studenti etiopi mentre ieri il premier Benjamin Netanyahu ha annunciato che oggi incontrerà i rappresentati della comunità immigrata, compreso Damas Pakedeh, il soldato vittima della violenza della polizia.
 

Fonte: contropiano.org

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