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La misteriosa “valle della morte” siberiana

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In una vasta area della scarsamente popolata Jacuzia siberiana si possono reperire strane strutture metalliche e riscontri di devastanti esplosioni di tipo nucleare avvenute ogni sei o sette secoli.



Nella zona siberiana della Jacuzia nord-occidentale, nel bacino del Viljuj superiore, si trova un'area di difficile accesso che reca i segni di un tremendo cataclisma, avvenuto circa 800 anni fa, che rovesciò l'intero manto forestale e sparpagliò frammenti di roccia lungo centinaia di chilometri quadrati. Distribuiti in quest'area vi sono misteriosi oggetti metallici, situati in profondità nel permafrost; in superficie la loro presenza è rivelata unicamente da macchie di vegetazione bizzarra. L'antico nome di quest'area è Uliuiu Cherkechekh, traducibile come "la Valle della Morte".


Sopra: mappa etnica della Siberia


Da molti anni gli abitanti del luogo girano alla larga da questa remota zona che ha giocato, e gioca tuttora, un ruolo speciale e significativo nel destino non solo della civiltà ma anche del pianeta nel suo complesso.
Dopo aver ordinato secondo un sistema una consistente mole di rapporti e materiale di vario genere, abbiamo deciso di rendervi consapevoli di qualcosa che, se il genere umano presterà attenzione a quanto si afferma in questa sede, potrà cambiare la percezione del mondo che ci circonda e del posto che in esso occupiamo.
Allo scopo di fornire un quadro il più completo possibile, abbiamo suddiviso il nostro reso-conto in tre sezioni: la prima contiene i fatti e le testimonianze oculari così come ci sono pervenuti; la seconda presenta le antiche leggende delle popolazioni che vivono nell'area e la poesia epica delle popolazioni confinanti che hanno osservato strani fenomeni, importante perché in tal modo potrete svolgere le vostre personali indagini e valutare voi stessi tutti i dettagli del racconto; nella terza, infine, esaminiamo cosa c'è dietro tutto questo [vedere Seconda parte].

Rapporti di testimoni oculari

Si può descrivere l'area in questione, che si estende per oltre 100.000 chilometri quadrati, come una massa uniforme di acquitrini, alternati da una taiga pressoché impraticabile. A quest'area sono state associate dicerie alquanto curiose, inerenti ad oggetti metallici di origine ignota disseminati per tutta la sua estensione.
Per far luce su qualunque cosa che, presente in modo vagamente percettibile intorno a noi, abbia dato origine a tali dicerie, abbiamo dovuto addentrarci nella storia antica di questa regione, per scoprirne credenze e leggende. Siamo riusciti a ricreare determinati elementi della locale paleotoponomastica, combacianti in modo sorprendente con il contenuto delle antiche leggende; tutto indicava che leggende e dicerie facevano riferimento a cose alquanto specifiche.
In tempi antichi, la Valle della Morte era parte di un itinerario nomade utilizzato dal popolo Evenk, che portava da Bodaibo ad Annybar e quindi alla costa del mare di Laptev. Un mercante che rispondeva al nome di Savvinov commerciò lungo questo itinerario fino al 1936 e, quando costui cessò la propria attività, gli abitanti abbandonarono gradualmente quei luoghi; infine l'anziano mercante e sua nipote Zina decisero di trasferirsi a Siuldiukar. In un punto dell'area compresa fra due fiumi e conosciuta col nome di Kheldyu (che nel linguaggio locale significa "casa di ferro"), il vecchio mercante condusse Zina sino ad un piccolo arco rossastro leggermente schiacciato dove, dopo aver attraversato un corridoio a spirale, essi si ritrovarono in una serie di camere metalliche nelle quali poi trascorsero la notte; il nonno di Zina le riferì che in quelle stanze la temperatura era estiva anche quando all'esterno il freddo era di quelli più rigidi.

In tempi passati i più audaci fra i cacciatori locali presero a trascorrere la notte in quelle stanze; poi, però, costoro iniziarono ad ammalarsi gravemente e quelli che avevano passato lì diverse notti di seguito ben presto morirono. Gli abitanti dell'area dicevano che il luogo era "assai brutto, paludoso, e nemmeno gli animali ci vanno". La posizione di tutte queste costruzioni era nota soltanto ai vecchi che in gioventù erano stati cacciatori e che avevano spesso visitato quei luoghi; vivevano da nomadi e la loro conoscenza delle peculiarità dell'area — i luoghi dove si poteva andare e quelli dove non era possibile farlo — era una questione di vita o di morte. I loro discendenti hanno adottato uno stile di vita stanziale e quindi queste antiche conoscenze sono andate perse.

Attualmente gli unici riscontri che indicano l'esistenza di queste costruzioni sono antiche denominazioni di luoghi parzialmente tramandate ed ogni sorta di dicerie; tuttavia ognuno di questi toponimi rappresenta centinaia, se non migliaia, di chilometri quadrati.
Nel 1936, lungo il fiume Olguidakh ("posto del calderone"), un geologo guidato da anziani nativi si imbatté in un liscio emisfero metallico, di colore rossastro, che spuntava dal terreno con un bordo talmente affilato che "tagliava le unghie"; le sue pareti erano spesse due centimetri ed emergeva dal terreno per circa un quinto del suo diametro. Il geologo ne inviò una descrizione a Jakutsk, centro della regione. Nel 1979, una spedizione archeologica partita da Jakutsk cercò di individuare l'emisfero scoperto dal geologo; i componenti della squadra avevano al seguito una guida che in gioventù aveva visto la struttura in varie occasioni, tuttavia costui disse che l'area era cambiata in modo rilevante e quindi non riuscirono a trovare alcunché. Bisogna sottolineare che in quella località è possibile passare a dieci passi distanza da qualcosa senza notarla, di conseguenza le scoperte precedenti sono state frutto di casi fortuiti.
Nel 1853 R. Maak, rinomato esploratore della regione, scrisse:

"A Suntar [un insediamento della Jacuzia] mi riferirono che nei tratti superiori del Viljuj vi è un torrente denominato Algy timirbit (traducibile come "il grande calderone affondato") che confluisce nel Viljuj stesso. Vicino alla sua riva, nella foresta, c'è un gigantesco calderone di rame, le cui dimensioni effettive sono ignote, dato che dal terreno ne spunta soltanto il bordo; al suo interno, comunque, crescono vari alberi…"

N. D. Arkhipov, studioso delle antiche culture della Jacuzia, rilevò la stessa cosa:

"Un'antica leggenda della popolazione del bacino del Viljuj riguarda l'esistenza di calderoni di bronzo, altrimenti detti olguìs, nei tratti superiori di quel fiume. Questa leggenda merita attenzione poiché le aree che a quanto si presume ospitano i mitici calderoni sono attraversate da vari torrenti chiamati Olguidakh — 'Torrente del Calderone'."

Segue un brano di una lettera scritta nel 1996 da Mikhail Koretsky di Vladivostok, che ha visitato anch'egli la Valle della Morte:

"Sono stato lì tre volte. La prima nel 1933, all'età di dieci anni — ero in viaggio con mio padre quando egli si recò in loco per guadagnare qualche soldo — poi nel 1937, senza di lui; l'ultima volta fu nel 1947 con un gruppo di ragazzi.

"La 'Valle della Morte' si estende lungo un affluente destro del fiume Viljuj; di fatto si tratta di un'intera successione di vallate che ne seguono il corso. In tutte le tre occasioni mi recai lì con una guida locale; non ci andammo perché la zona fosse salubre ma perché lì, lontano da tutto, si poteva setacciare in cerca d'oro senza correre il rischio che alla fine della stagione qualcuno vi derubasse o vi piantasse una pallottola in testa.

"Quanto agli oggetti misteriosi probabilmente ve ne sono parecchi, perché in tre stagioni ho visto sette di quei 'calderoni', che mi hanno lasciato assolutamente attonito: tanto per cominciare, le loro dimensioni — fra i sei ed i nove metri di diametro.

"In secondo luogo, erano fatti di qualche strano metallo. Tutti hanno scritto che erano di rame, ma sono sicuro che non si trattava di rame; il fatto è che nemmeno un affilato tagliolo a freddo riuscirebbe a scalfire i 'calderoni' (ci abbiamo provato più di una volta), il metallo non si stacca e non si riesce a martellarlo. Sul rame un martello avrebbe indubbiamente lasciato tacche rilevabili, ma questo 'rame' è ricoperto da uno strato di un qualche materiale sconosciuto simile a smeriglio; tuttavia non si tratta di uno strato di ossidazione e non è un'incrostazione — né si riesce a scheggiarlo o a graffiarlo.

"Non ci imbattemmo in condotti che penetravano nel terreno in corrispondenza di camere, tuttavia notai che la vegetazione attorno ai 'calderoni' era anomala — del tutto diversa da quello che cresce nei pressi; più rigogliosa: lappole a foglia larga; vimini assai lunghi; erba singolare, alta una volta e mezzo o il doppio dell'altezza media di un uomo. In gruppo (sei persone) trascorremmo la notte in uno dei 'calderoni'; non notammo alcunché di pericoloso e ce ne andammo tranquillamente senza alcun tipo di spiacevole inconveniente. Nessuno in seguito contrasse gravi malattie, fatta eccezione per uno dei miei amici che, tre mesi più tardi, perse completamente i capelli. Inoltre sul lato sinistro della mia testa (il fianco sul quale riposai) comparvero tre piccole escrescenze infiammate delle dimensioni della capocchia di un fiammifero; ho cercato di eliminarle, senza esito, quindi sono ancora lì.

"Nessuno dei nostri tentativi di staccare dal 'calderone' anche un solo piccolo frammento fu coronato da successo. L'unica cosa che riuscii a portare via fu una pietra, alquanto singolare: una perfetta mezza sfera, del diametro di sei centimetri, di colore nero e, sebbene liscia come se fosse stata levigata, non recava segni visibili di una qualche lavorazione. La raccolsi dal terreno all'interno di uno dei calderoni.

"Portai questo souvenir della Jacuzia al villaggio di Samarka, distretto di Chuguyevka, regione del Primorsky (estremo oriente sovietico) dove, nel 1933, vivevano i miei genitori. Rimasi senza far nulla sino a quando mia nonna decise di costruire una casa. Dovevamo mettere i vetri alle finestre e in tutto il villaggio non c'era un solo vetraio, quindi mi ingegnai a tagliare le lastre con la mezza sfera di pietra, che si rivelò straordinariamente adatta a svolgere tale compito; in seguito tutti i nostri parenti ed amici utilizzarono il mio reperto come fosse un diamante. Nel 1937 consegnai la pietra a mio nonno ma, l'autunno seguente, egli fu arrestato e condotto a Magadan, dove visse senza essere processato fino al 1968, quando infine morì. Nessuno sa dove sia finita la mia pietra…"

Nella sua lettera, Koretsky sottolinea come nel 1933 la sua guida locale gli riferì che:

"…cinque o dieci anni prima, egli aveva scoperto vari calderoni sferici (perfettamente circolari) che si elevavano di molto dal terreno (più in alto della statura media di un uomo). Sembravano nuovi di zecca. In seguito il cacciatore li aveva visti nuovamente, stavolta rotti e sparpagliati."

Koretsky inoltre notava che quando si ritrovò vicino a un "calderone" per la seconda volta, durante i pochi anni intercorsi dalla prima visita esso era sensibilmente sprofondato nel terreno.

A. Gutenev e Yu. Mikhailovsky, ricercatori che abitavano a Mirny, in Jacuzia, hanno riportato che nel 1971 un vecchio cacciatore Evenk aveva detto che nell'area compresa fra i fiumi Niugun Bootur ("campione ardente") e Atadarak ("luogo della fiocina a tre lati") sporge dal terreno proprio ciò che ha dato il nome a quel luogo — una fiocina di ferro "molto grande" a tre lati — mentre nell'area compresa fra due fiumi e nota con il nome di Kheliugur ("popolo di ferro"), vi è un cunicolo di ferro che ospita "individui esili, neri e dotati di un solo occhio che indossano abiti di ferro".

Costui disse che poteva accompagnare altre persone in quel luogo, non particolarmente distante, ma nessuno gli diede credito; nel mentre, egli morì.
A quanto pare, un altro di questi oggetti rimase coperto in seguito alla costruzione di una diga sul Viljuj, poco sotto l'Erbiie. Stando al resoconto di uno dei costruttori incaricati del progetto idroelettrico del Viljuj, quando realizzarono un canale di diversione e prosciugarono il letto principale, vi scoprirono un "punto" metallico convesso; 'i termini di scadenza incombevano e, dopo una rapida ispezione del ritrovamento, i direttori del progetto impartirono l'ordine di proseguire coi lavori.
Esiste una moltitudine di racconti inerenti a persone che si imbatterono per caso in costruzioni analoghe tuttavia, in assenza di indicazioni precise, è estremamente difficoltoso individuarle nuovamente su quel terreno tristemente uniforme.

Una volta alcuni vecchi dissero che nella zona denominata Tong Duurai scorre un torrente chiamato Ottoamokh ("buchi nel terreno") e che attorno ad esso vi sono aperture incredibilmente profonde, note come "gli abissi ridenti". La stessa definizione si presenta anche in leggende che narrano che si tratta del rifugio di un focoso gigante che distrugge tutto quello che lo circonda; circa ogni sei o sette secoli da lì sbuca una mostruosa "palla di fuoco" che o vola via lontano e (a giudicare dalle leggende e dalle cronistorie di altre popolazioni) esplode a distanza, oppure esplode direttamente al di sopra del punto di uscita — col risultato che per centinaia di chilometri l'area circostante si è ridotta ad un deserto disseminato di rocce.

Le leggende della Jacuzia contengono molti riferimenti ad esplosioni, turbini ardenti e sfere fiammeggianti che si librano in aria, e tutti questi fenomeni sono in un modo o nell'altro associati alle misteriose costruzioni metalliche presenti nella Valle della Morte. Alcune di esse sono grandi "case di ferro" rotonde poggiate su numerosi supporti laterali; non hanno né porte né finestre, soltanto un "ampio boccaporto" in cima alla cupola. Alcune di esse sono sprofondate quasi per intero nel permafrost, lasciando in superfìcie una protuberanza a forma di arco a malapena distinguibile. Testimoni che non si conoscono reciprocamente la descrivono allo stesso modo come la "casa metallica risonante". Altri oggetti disseminati nell'area sono i coperchi metallici emisferici che ricoprono qualcosa di ignoto. Le leggende della Jacuzia narrano di misteriose sfere fiammeggianti prodotte da "un orifizio che erutta fumo e fuoco" con un "enorme coperchio d'acciaio".

Questo è anche il luogo di provenienza dei turbini ardenti che, secondo le descrizioni, assomigliano molto agli effetti delle moderne detonazioni atomiche. Circa un secolo prima di ciascuna esplosione o serie di esplosioni una veloce sfera volante infuocata emergeva dall'"orifizio di ferro" e, senza provocare danni rilevanti, si librava verso l'alto sotto forma di esile colonna di fuoco, alla cui sommità compariva una palla di fuoco assai grande che, accompagnata da quattro rombi di tuono in successione, si elevava ad un'altezza ancora maggiore e volava via, lasciando dietro di sé una lunga "scia di fumo e fuoco". Poi, a distanza, risuonava un cannoneggiamento delle sue esplosioni…

Negli anni '50 del secolo scorso, i militari sovietici buttarono gli occhi sull'area, evidentemente in virtù della scarsissima densità di popolazione dei suoi margini settentrionali, e vi condussero una serie di test atomici. Una delle detonazioni determinò un grande rompicapo, sul quale gli esperti stranieri stanno tuttora formulando congetture. Nel settembre del 1991 la stazione radio tedesca Deutsche Welle riferì che nel 1954 era stato testato un ordigno nucleare di dieci chili e che, come registrato dai laboratori sismici di tutto il mondo, per motivi ignoti la potenza dell'esplosione superò le previsioni di calcolo secondo un fattore di 2.000-3.000, raggiungendo i 20-30 megatoni; la causa di questa significativa discrepanza nella potenza dell'esplosione rimane oscura. L'agenzia TASS diffuse la notizia, in seguito rivelatasi non corretta, che era stata collaudata una bomba all'idrogeno compatta in condizioni di esplosione in aria. Dopo i test, nell'area furono istituite zone cui era vietato accedere e dove, per alcuni anni, lavorarono in condizioni di segretezza.

 

Miti e leggende

Proviamo a indagare nel lontano passato, così come viene narrato nella poesia epica. In base alle leggende tramandate per via orale nel remoto passato, quando tutto ebbe inizio, l'area era abitata da un esiguo numero di nomadi Tungus. Una volta accadde che i loro lontani confinanti videro il proprio territorio improvvisamente avvolto da un'impenetrabile oscurità mentre i dintorni venivano scossi da un rombo assordante. Si scatenò un uragano di inaudita potenza e il territorio venne lacerato da possenti colpi, mentre dei fulmini attraversavano il cielo in tutte le direzioni. Quando tutto infine tornò tranquillo e le tenebre si dissiparono agli occhi dei nomadi si presentò uno spettacolo inedito; nel mezzo del terreno riarso un'alta struttura verticale, visibile da una distanza pari a molti giorni di viaggio, si ergeva rilucendo al sole.
Per un lungo periodo la struttura emise sgradevoli e assordanti rumori, per poi diminuire in altezza fino a scomparire interamente nel terreno. Al suo posto rimase un'immensa "voragine" verticale spalancata. Secondo la bizzarra terminologia delle leggende, la voragine consisteva di tre livelli di "abissi ridenti" e le sue profondità ospitavano presumibilmente un mondo sotterraneo provvisto di un proprio sole che, comunque, stava "scemando". L'orifizio emanava un fetore soffocante e, di conseguenza, nessuno si insediò nelle sue vicinanze. A volte da lontano la gente riusciva a scorgere una "isola rotante" che faceva la sua comparsa al di sopra dell'apertura e che in seguito si rivelò essere il suo "enorme coperchio"; coloro che, spinti dalla curiosità, tentarono di dare un'occhiata da vicino, non fecero più ritorno.

Passarono i secoli e la vita continuò come di consueto. Nessuno si aspettava alcunché di straordinario ma, un giorno, si verificò un piccolo terremoto ed il cielo fu squarciato da un esile "turbine ardente", alla cui sommità apparve un'abbagliante palla di fuoco; accompagnata da "quattro tuoni in successione" e lasciandosi dietro una coda di fuoco, la sfera volò via seguendo una bassa traiettoria e, una volta scomparsa all'orizzonte, esplose. I nomadi rimasero scossi dall'episodio ma, visto che il "demone" non aveva causato loro alcun danno ed era esploso sui territori della tribù ostile confinante, non abbandonarono le terre che li ospitavano. Alcuni decenni più tardi gli eventi si ripeterono; la palla di fuoco volò via nella medesima direzione e, ancora una volta, distrusse soltanto la tribù vicina. Evidentemente questo "demone" era in qualche modo il loro protettore ed essi iniziarono a creare leggende su di esso, denominandolo Niurgun Bootur, "il campione ardente".

Tuttavia qualche tempo più tardi si verificarono eventi che atterrirono anche quelli che abitavano le zone confinanti più lontane. Una gigantesca palla di fuoco emerse dall'apertura con un assordante ruggito tonante ed esplose — proprio sopra l'apertura stessa! Ne seguì un terrificante terremoto. Alcune colline furono attraversate da una spaccatura profonda più di cento metri. In seguito all'esplosione si creò un "mare infuocato" che si agitava al di sotto di una "isola rotante" discoidale; gli effetti dell'esplosione si diffusero per un raggio di oltre un migliaio di chilometri. Le tribù nomadi che sopravvissero in corrispondenza dei margini dell'area colpita si sparpagliarono in direzioni diverse, cercando di allontanarsi dal punto fatale, salvandosi così da morte immediata; esse tuttavia perirono tutte a causa di un qualche genere dì malattia trasmessasi unicamente per via ereditaria. Riuscirono comunque a tramandare precisi resoconti di quanto era accaduto, in base ai quali i menestrelli della Jacuzia iniziarono a comporre leggende dall'eccezionale contenuto tragico.
Passarono poco più di 600 anni, durante i quali si alternarono molte generazioni di nomadi; i precetti degli antichi avi erano stati dimenticati e le popolazioni si insediarono nuovamente nell'area.

Poi la storia si ripeté… La palla di fuoco di Niurgun Bootur fece la sua comparsa sopra un turbine ardente e, ancora una volta, volò via per poi esplodere oltre l'orizzonte. Alcuni decenni più tardi una seconda palla di fuoco (ora denominata Kiun Erbiie, ovvero "lo splendente araldo aereo" o "messaggero") squarciò l'aria; seguì un'altra devastante esplosione cui le leggende attribuirono connotazioni antropomorfe e a cui venne con-ferito il nome di Uot Usumu Tong Duurai, traducibile all'incirca come "lo straniero criminale che ha perforato la terra e si è nascosto nelle sue profondità, distruggendo tutto con un turbine ardente".
È importante sottolineare che alla vigilia del volo dell'eroe negativo Tong Duurai, in cielo comparve il messaggero del celeste Dyesegei — il campione Kiun Erbiie che attraversò il firmamento come una "stella cadente" o "fulminea saetta" come ad avvertire Niurgun Bootur dell'imminente battaglia.
L'evento più significativo delle leggende era Tong Duurai che erompeva dalle profondità sotterranee ed ingaggiava battaglia con Niurgun Bootur. Tale episodio avveniva all'incirca così: inizialmente un serpentino turbine ardente ramificato erompeva dalla "voragine", alla cui sommità appariva ancora una volta una gigantesca palla di fuoco la quale, dopo vari rombi di tuono, volava via in cielo; nel suo volo era accompagnata dal proprio seguito — "uno sciame di turbini fatalmente sanguinari" che portavano devastazione nei dintorni.

Vi furono tuttavia occasioni in cui Tong Duurai si scontrò con Niurgun Bootur al di sopra del luogo da cui decollava, fenomeno in seguito al quale l'area rimaneva senza vita per un lungo periodo. Il quadro relativo a questi eventi varia in modo alquanto consistente: dall'apertura potevano emergere al contempo vari "campioni ardenti", i quali poi percorrevano una certa distanza ed esplodevano in un unico luogo; ciò accadeva in concomitanza col volo di Tong Duurai. Un'analisi degli strati del suolo indica che l'intervallo intercorrente fra le esplosioni non è superiore ai 600-700 anni.
Le leggende riflettono vividamente questi eventi, tuttavia l'assenza di una tradizione scritta implica che essi non sono stati registrati in forma documentaria; sembra comunque che questa lacuna sia compensata dalle cronistorie di altre popolazioni.

Le cronache di altre popolazioni

Secondo intervalli di circa 600-700 anni si sono verificate varie esplosioni o, piuttosto, un intero complesso di eventi fra cui quelli antecedenti; tutti questi eventi sono stati scrupolosamente registrati nella poesia epica, nella tradizione e nelle leggende. Un aspetto curioso è che leggende simili hanno avuto origine nella zona equatoriale del pianeta, dove esplosioni o "gigantesche palle di fuoco" comparse all'improvviso nel cielo distrussero vari centri di antiche civiltà.
A giudicare dai risultati delle indagini archeologiche svolte da S. A. Fedoseyeva nella regione del Viljuj superiore, è possibile far risalire gli insediamenti intermittenti ed ondivaghi di questo territorio al quarto millennio a.C. Nel primo millennio d.C. la linea dello sviluppo storico si interrompe — e ciò non è in contraddizione con la possibile data dell'ultima esplosione storicamente rilevata, vale dire il mese di settembre del 1380; la nube che essa sollevò nascose il Sole per diverse ore dai cieli europei, mentre in varie zone sismiche si verificarono forti terremoti.
Questo evento è documentato da fonti scritte. Nelle cronistorie russe esso coincise con la battaglia del Campo di Kulikovo:

"…le tenebre si dissiparono soltanto nella seconda parte della giornata. Soffiava un vento talmente impetuoso che una freccia scoccata da un arco non riusciva a volarci contro…"

Questo fattore rappresentò un contributo positivo alla vittoria dei Russi.
Comunque nelle leggende Tungus le esplosioni sono descritte assai più vividamente che in altri resoconti: a giudicare dai racconti i fenomeni producevano esiti di gran lunga peggiori di quelli delle moderne armi nucleari.
Se assumiamo il 1380 come punto di partenza e procediamo a ritroso nel passato siamo in grado di stilare una mappa di tali episodi. Nell'830, ad esempio, la civiltà dei Maya presente nella penisola messicana dello Yucatàn fu distrutta; molte delle loro città vennero ridotte a rovine da un'esplosione di immane potenza.

Alcuni passaggi della Bibbia sono analoghi alle leggende della Jacuzia, per esempio la descrizione delle piaghe d'Egitto e la caduta di Sodoma e Gomorra. In una delle oasi della penisola arabica, un'antica città venne distrutta e ridotta letteralmente in cenere; secondo la leggenda, ciò accadde quando un'enorme palla di fuoco comparsa in cielo esplose.
A Mohenjo-daro, nel subcontinente indiano, gli archeologi hanno scoperto una città devastata. I segni della catastrofe — mura di pietra fuse — indicavano chiaramente un'esplosione paragonabile a quella di un ordigno nucleare. Eventi analoghi compaiono anche nelle cronache cinesi del 14° secolo, le quali riportano che, nel lontano nord, una nube scura salì dall'orizzonte e coprì metà del cielo, disseminando grossi frammenti di pietra. Delle pietre caddero anche dai cieli di Scandinavia e Germania, in molte città delle quali scoppiarono incendi. Gli studiosi hanno stabilito che si trattò di pietre del tutto comuni, ed hanno ipotizzato che da qualche parte si fosse verificata un'eruzione vulcanica.
È possibile che la causa di tutti questi disastri in realtà fosse Tong Duurai che, da così tanti secoli, appare improvvisamente dal sottosuolo? Mentre con la sua comparsa Niurgun Bootur oscurava metà del cielo Tong Duurai lo superava notevolmente in quanto a dimensioni e, ascendendo al cielo, scompariva completamente alla vista.
Rileviamo che nella Valle della Morte si osserva un incremento delle radiazioni di fondo secondo determinati intervalli di tempo — un fenomeno che gli esperti non sono in grado di spiegare.

– Fine della Prima parte –

Continua…


Il presente articolo è stato pubblicato originariamente su NEXUS New Times n. 51 (Agosto – Settembre 2004). Ogni ripubblicazione è gradita previo riferimento all’autore ed a questa citazione.


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L’autore:

Il Dr. Valery Mikhailovic Uvarov, a capo del Dipartimento di Ricerca sugli UFO, Paleoscienze e Paleoetnologia dell’Accademia per la Sicurezza Nazionale della Russia, ha dedicato quasi un ventennio allo studio dell’ufologia e al retaggio delle civiltà antiche. Il Dr. Uvarov è autore di numerosi documenti nell’ambito della paleotecnologia e della paleoscienza, nonché dell’ufologia e dell’esoterismo, pubblicati sulla stampa russa ed estera. Ha avviato e ha partecipato a una serie di spedizioni in India, Egitto e Siberia, alla ricerca di prove concrete degli antichi saperi. Partecipa regolarmente in veste di oratore a convegni ufologici internazionali e tiene seminari e conferenze in Russia, Regno Unito, USA, Germania e Scandinavia; è stato presente come oratore ai convegni di NEXUS tenutisi ad Amsterdam nel 2004 e 2005, nonché a quello tenutosi a Brisbane nel 2004.
Il suo articolo in quattro parti, “I Misteri della Valle della Morte siberiana”, è stato pubblicato su NEXUS, nr.i 51, 57, 58, 59; il suo articolo "La gemella nascosta della Terra e la nascita della civiltà" su NEXUS nr. 78 [puoi leggerlo integralmente qui]. Una sua intervista è stata pubblicata su NEXUS nr. 45 [puoi leggerla integralmente qui].

Il presente articolo è una versione ridotta di una parte del suo libro The Pyramids, disponibile anche come e-book in PDF e scaricabile a pagamento dal sito web di NEXUS australiano http://www.nexusmagazine.com. Per contatti via email: [email protected] e [email protected].


 

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