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La musica democratica. Cosa è cambiato nell’ascolto di un brano nell’era Spotify?

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Dopo la pubblicazione dell'estratto di David Byrne, torniamo a parlare di Musica e tecnologia con questa breve riflessione di Daniele Trucco.



Qualche giorno fa ho deciso di aggiornarmi un po’ sulle ultime tendenze musicali e sono andato in edicola a comprare Rumore, la storica rivista mensile dedicata alla musica alternativa.
Oltre a fare il musicista da circa vent’anni, mi occupo anche di musica dal punto di vista storico e teorico e di conseguenza non mi ritengo completamente digiuno in materia.
L’angoscia che ho provato sfogliando Rumore è stata però indescrivibile: mi sono immediatamente accorto, buttando distrattamente l’occhio sulle infinite pagine dedicate alle recensioni, di non conoscere nemmeno uno (ripeto: nemmeno uno) dei circa cinquanta gruppi segnalati dalla redazione.
Non solo: nemmeno gli artisti citati in copertina (tendenzialmente i più famosi e alla portata di tutti) avevano qualche cosa da suggerirmi con i loro sguardi truci e inquisitori denotanti tra l’altro una consumata abitudine agli obbiettivi.
Cosa fare? Provo almeno a leggere le recensioni e mi butto su internet alla ricerca e poi all’ascolto dei gruppi migliori. Ecco immediato insorgere un altro problema: le critiche agli album dicono e non dicono e nella loro vaghezza fanno sì che tutti i CD presentati ‘suonino’ (per utilizzare una terminlogia cara ai deejay) identici, o perlomeno distinti solo nei loro rispettivi generi di appartenenza.
Illuminazione: vado su Spotify o su Shazam ad ascoltare qualche cosa di quelli che istintivamente mi ispirano di più. È a questo punto che mi crolla il mondo addosso. Erano mesi che non aprivo Spotify e non ricordavo la scritta che campeggia sul sito: “Spotify ti consente di accedere subito a milioni di brani”. Benissimo: quali?
Decido di non decidere.
Che cos’è che fa ascoltare oggi un gruppo piuttosto che un altro? È impossibile che sia la sua bravura: su numeri così grandi possono esserci tranquillamente migliaia di band tecnicamente eccezionali che non emergeranno mai. Quindi com’è che continuo sempre e solo a conoscere Eric Clapton e i Led Zeppelin? E gli altri dove sono? Come faccio a scoprirli?
Sono stato instradato alla conoscenza della musica da ascolti più o meno guidati ma sempre volti a riempire i buchi prima enormi poi via via più ridotti che tappezzavano la mia personale strada dedicata alla storia della musica. Per ‘sentire’ i gruppi però, fino a qualche anno fa, ci volevano giorni di nastri assimilati e riavvolti mille volte, dischi e poi CD consumati insieme ai loro lettori.
Il mio ascolto medio su Shazam è attualmente non superiore ai 10 secondi a brano: che cosa mi rimarrà di tutto questo? Che cosa rimarrà a un ragazzino di oggi intento ad avvicinarsi a questo mondo del suo labirintico panorama musicale?

La tecnologia ha permesso all’uomo informatico e informatizzato non solo di accedere a tutto ciò che desidera, ma anche di produrre tutto ciò che desidera: oggi non serve uno studio di registrazione per costruire il sogno irrealizzabile di un adolescente di trent’anni fa. È sufficiente un microfono, una scheda audio e un programmino per gestire le tracce incise, cose a disposizione di chiunque abbia un budget anche limitatissimo. Del resto si pensi al controsenso delle grandissime produzioni musicali: centinaia di migliaia di euro investiti in apparecchiature costosissime, indispensabili per ottenere una qualità del suono inarrivabile, per confezionare un prodotto finale che sarà immediatamente convertito (o direttamente scaricato) in mp3 di bassissima qualità da riprodursi su smartphone o da distorti speaker WiFi lanciati a tutto volume sulla spiaggia.

Attenzione: ben lungi da me il voler criticare questo sistema oltretutto altamente democratico di proporre musica. Solo non riesco a delinearmi quella che potrebbe essere la costruzione di un individuo con una sua coscienza/conoscenza musicale. Quale tra quei milioni di brani suggeriti da Spotify entrerà a far parte della storia della musica e perché?
Per ora non ho che domande: fra una ventina d’anni spero che qualche dubbio possa essere nel frattempo svanito. Nel frattempo suggerisco, lasciando al lettore l’indagine sulle motivazioni del mio suggerimento,  l’ascolto di un gruppo che mi sta molto a cuore e che reputo interessante: Padre Filip e l’Orchestra Bluette.
Dimenticavo: non c’è alcuna registrazione ufficiale di questa band. Fino a oggi ha suonato solo dal vivo.


[Di Daniele Trucco abbiamo pubblicato, in tema di musica, anche l'articolo Montagne, Musica e Frattali. Come la musica di Villa-Lobos abbia anticipato la Geometria di Mandelbrot e, su PuntoZero di Luglio 2015, l'articolo L'Infinito Circolare. Borges, Bach, Escher: tre artefici di narrazioni perpetue > vedi qui ]


 

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