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La necessaria rinascita ed evoluzione della figura del medico

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La storia la scrivono i vincitori, quindi è sempre diversa dalla realtà? Ne parliamo con Teodoro Brescia Dottore di ricerca, docente e scrittore e autore del libro...

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Anno 2022.

Abbiamo assistito e stiamo assistendo ad un periodo di decadenza culturale, etica, socio-economica esclusivo e gravemente impattante su ogni aspetto della vita attuale.

In questo contesto, talora impensabilmente “surreale”, la figura del medico è stata depauperata profondamente in una involuzione deprimente, purtuttavia ipoteticamente plausibile e verosimilmente anche “prevedibile”.

La attuale società si fonda sempre più su una serie di disvalori e pessime abitudini che dilagano, contaminano ed “infettano” ogni ambito specifico, distorcendo la natura e l’essenza originaria di multipli contesti sociali, economici, professionali, etc… 

La figura del medico è progressivamente divenuta sempre più “meccanicistica” e “tecnicistica” e sempre meno elegantemente culturale ed olistica. Se da un lato l’evoluzione tecnologica ha permesso (e ben venga tale progresso) l’introduzione di tecnologie in favore di terapie specialistiche e benefiche di successo, lo Spirito del Medico è proporzionalmente imploso in modo inverso in una settorializzazione “robotizzante”, in un contesto sempre più “aziendalizzato” ed orientato al bilancio economico, al profitto, alla produttività (molto politicizzata più che effettivamente reale) in un’ottica stringente di budget. 

Sussiste sicuramente una prepotente direttrice depauperante, corresponsabile ed attribuibile al forzoso contesto impositivo in cui la figura del medico viene “compressa” entro limiti sempre più frustranti e limitanti ma, come accennato, si tratta di un elemento ponderale, benché estremamente influente, in un contesto ampio e diversificato in cui il medico stesso è inserito e, più o meno colpevolmente, anche connivente o coercitivamente sottomesso. Si tratta infatti necessariamente, e purtroppo, di corresponsabilità. Molti medici, sotto il peso della frustrazione, del cattivo costume generalizzato socio-culturale, del disinteresse intellettuale, dei disvalori vivificati e coercitivi, si sono resi corresponsabili della loro stessa devalorizzazione professionale proprio accettando la connivenza anti-etica e “despiritualizzata” di una cornice professionale che costituisce una forte “attenuante” ma non una esaustiva giustificazione ad un decadimento a tutto tondo teoricamente inammissibile.

Il circolo vizioso di disfunzionalità del sistema sanitario (logistico, clinico, infrastrutturale, governativo, etc.) implica necessariamente una “trazione verso il basso” dell’intero sistema e di ogni singolo operatore sanitario in esso coinvolto come in un vortice attrattivo che affoghi i malcapitati naufraghi nelle acque agitate della sanità. Tale contesto tuttavia non costituisce e non deve rappresentare l’alibi per “evitare di remare” e “lasciarsi inghiottire dal mulinello”.

Durante tanti anni di attività ospedaliera e clinica ho personalmente verificato con mano l’ingente corruzione o collusione dell’intero sistema sanitario possibilmente ad ogni livello operativo (si badi bene: si parla qui di “corruzione” in senso ampio e non necessariamente in senso legale, civile, o penale). Molti operatori (fortunatamente non tutti), non solo medici ma anche amministrativi, governativi, gestionali, hanno volontariamente deciso di perseguire la via della “minor resistenza”, la via “più morbida, accomodante e facile possibile”, adagiandosi su “pessimi allori” pronti all’uso per favorire la costante, continua ed inutile “lamentela” foriera di quella passività che caratterizza in particolare la popolazione di nazionalità italiana con tutti i corollari ad essa annessi. Esistono (e non si tratta di un’opinione ma di un dato di fatto) tantissimi medici ed operatori sanitari che hanno completamente distolto o soppresso (e forse nemmeno mai avuto) una vera, autentica e profonda attenzione etica professionale. In questo caso non parliamo strettamente di deontologia professionale, che comunque viene necessariamente implicata, ma di una dimensione che vada Μετά τα φυσικά (“al di là della fisica”) se volessimo mediare con un’espressione aristotelica. Si è perso il “Senso”.

L’attuale dimensione sanitaria si impernia gelosamente su obiettivi di profitto economico, di carriera, di potere che ridimensionano la figura del medico entro limiti strettissimi poiché riduttivamente abietti. Ciò non vuol dire che un medico non possa avere una buona carriera, un buon profitto ed un discreto potere organizzativo, ma allo stesso tempo questi obiettivi non possono costituire l’unica leva fondante dell’attività medica proprio perché ne depauperano i principi primi originari ippocratici se perseguiti esclusivamente e senza alcuna associazione o dimensione animica, affettiva, mentale, emotiva e finanche spirituale (per coloro che addivengano a tale concezione che non tutti accolgono), orientata al “Bene” autentico e profondo, individuale, altrui e collettivo. 

La figura del medico si è deprivata della sua stessa essenza profonda curativa: l’attuale sistema sanitario opeartivo rappresenta, a mio avviso, una mediocre “catena di montaggio” in cui le dimensioni affettiva e sociale trovano sempre meno spazio in favore di una esacerbazione del pragmatismo terapeutico allopatico prescrittivo. Il medico è sempre più “tecnico” (nel migliore dei casi…e talora nemmeno tale purtroppo) e sempre meno empatico.

Il concetto di “Cura” rappresenta una Realtà drammaticamente estensiva che non può essere ridotta a mera prescrizione di poche pillole in pochi minuti di valutazione (talora sommaria) di un paziente. Potrebbe apparire come un concetto banale e scontato, tuttavia se il sistema “scricchiola” e l’utenza si ammala o persiste nell’ammalarsi forse così banale tale concetto non è, e richiederebbe un esaustivo ed estremamente improbabile “esame di Coscienza” di tutti i “protagonisti” ed “attori” partecipanti al sistema.

Nel tempo ho personalmente conosciuto tante categorie di medici: raccomandati, ignoranti, prepotenti, affaristi, frustrati cronici, psicotici, inetti, inadatti, inappropriati per la pratica medica, menefreghisti, disadattati, disillusi o che addirittura nella vita “avrebbero voluto fare altro” ma per specifiche circostanze “si sono trovati a dover intraprendere quel percorso” – testuali parole di una testimonianza da me raccolta a titolo esemplificativo. Le “categorie” sopra grossolanamente generalizzate e qualificate sono in verità molte di più e molto più articolate…ma mi sono limitato a qualche attributo stigmatizzante per semplicità espositiva. Descrivendo tale situazione apparirebbe orripilante una tale scenario, eppure accade regolarmente ogni giorno sotto i nostri occhi anche perché la professione del medico non è “alla portata di tutti” e, per quanto possa apparire impopolare tale affermazione, per esercitare tale professione “è necessario esservi anche portati” e purtroppo molti medici di medicina generale, molti specialisti ambulatoriali ed ospedalieri “non sono fatti” per questo tipo di professione ed avrebbero dovuto o potuto fare altro, o sarebbe stato auspicabile facessero altro.

La realtà è ovviamente pleomorfa e dunque la statistica di popolazione è tale e la distribuzione delle variabili epidemiologiche e qualificanti sono altrettanto diffuse negli esercenti delle professioni sanitarie. Un ragionamento simile è applicabile invero a qualsiasi professione, mestiere o ruolo più in generale, tuttavia nel caso del medico si esacerba la stridente inappropriatezza con un ipotetico “addendum di responsabilità” possibilmente rafforzativo rispetto ad altri ambiti professionali, poiché il medico “nasce” (o “dovrebbe nascere”) proprio nell’ottica ippocratica di “ingenerare eticamente salute e benessere” e dunque implicherebbe, volenti o nolenti, una tendenza imprescindibile etica ed un’amorevolezza verso l’oggetto di studio, pratica ed esercizio della professione stessa, ovvero il “paziente”.

Abbiamo assistito a pietose manifestazioni di depauperamento della figura del medico in numerose occasioni ed abbiamo constatato molto spesso il “fallimento” del contenuto sostanziale relativo alla cosiddetta “comunità scientifica” che spesso ha dimostrato non solo di non essere affatto “comunitaria”, nel continuo contrasto di voci di colleghi affetti da manie di protagonismo in costante opposizione reciproca, ma talora nemmeno “scientifica”, avvalendosi talora di dati derivanti da studi risultati falsificati e dolosamente manipolati (basti riportare come esempio lo scandalo relativo agli studi scientifici condotti sulla base dei dati forniti dalla società Surgisphere nel 2020). Questo fallimento costituisce un evento piuttosto grave: si stanno perdendo completamente le direttrici della “bussola scientifica e clinico-medica” in una esasperazione dei toni e dei modi tipici di una Babele schizofrenica costituita da molteplici “lingue che non parlano fra loro” e non si comprendono né vicendevolmente né individualmente nella dialettica arrogante e prepotente dell’innalzamento dei toni di voce nella “guerriglia dello scontro verbale”, che sfocia talora nell’ambito legale, di chi “è nel giusto e chi no” in modo improbabilmente icastico ed inverosimilmente dicotomico che niente ha a che vedere con la vera, genuina ricerca scientifica.

Dunque cosa fare in un tale contesto così disastrato?

Premesso il fatto che vi siano situazioni e contesti talmente marcescenti da risultare letteralmente incorreggibili ed in merito ai quali non si possa fattivamente intervenire o essere di supporto (i casi estremi per intenderci), un punto di partenza valido è rappresentato sicuramente dall’atto di una prima acquisizione Cosciente del contesto stesso poiché permette di canalizzare correttamente le Energie da profondere laddove risultino sussistere dei “varchi operativi” che permettano un miglioramento effettivo delle condizioni specifiche, evitando “le cause purtroppo irrimediabilmente perse”. Esistono ad esempio primari che di clinico non hanno e non sanno nulla ma sono solo pedine politiche “piazzate dall’alto” e rappresentano appunto “partite perse” e con i quali è inutile interagire costruttivamente; esistono medici così attaccati all’idea del denaro e del profitto personale che pensano esclusivamente a come sfruttare il sistema per approvvigionarsi quanti più introiti possibili nel disinteresse più totale dei pazienti con cui vengano in contatto clinico; esistono medici così accecati dal meccanicismo allopatico, riduttivista, da trasformarlo in una “quasi-fede” religiosa fatta esclusivamente di gesti ed azioni su molecole, tessuti ed organi concepiti come responsivi esclusivamente all’azione farmacologica allopatica pura e grezza (peraltro talora anche fondandosi su informazioni prive di sostegno scientifico poiché non supportate da sufficienti prove scientifiche sperimentali derivanti da seri studi clinici randomizzati, ormai peraltro sempre più inficiati da bias operativi compromettenti gli esiti relativi agli stessi risultati ottenuti); esistono medici così “rovinati” nella personalità e frustrati o disinteressati e menefreghisti che ormai concepiscono l’attività lavorativa esclusivamente in termini di “stimbratura di un badge” in entrata ed in uscita con la giustapposizione di un “paraocchi virtuale  applicato sul volto” durante l’intero arco dell’orario lavorativo. Potrei continuare con numerose altre deprimenti descrizioni, ma lascio immaginare quale pleomorfismo possa manifestarsi in un tale contesto professionale più o meno deplorevole o più o meno compassionevole.

Prendiamo dunque Coscienza in primo luogo che il contesto è estremamente spinoso ed arduo, che vi sono situazioni “non risolvibili” (al momento) e che gli ostacoli sono irti e numerosi.

Tornando all’operatività concreta dunque, dovremo chiederci “cosa possiamo fare” come medici per generare un “valore aggiunto” o “migliorare” la realtà, ove possibile? Probabilmente chi legge questo articolo “sta verosimilmente già facendo qualcosa” a suo modo o ha intenzione o è alla ricerca di “fare qualcosa” di migliorativo per Sé e per gli Altri. Altri non ne hanno e non né avranno mai alcuna intenzione.

Uno spunto interessante è quello di “iniziare la Ricerca”. Tale principio costituisce un inizio “di una Via” ed è il germe di un potenziale traguardo propositivo. La ricerca potrà poi portare in molteplici Direzioni. 

Come è scritto nel Libro della Sapienza del Vecchio Testamento (Sap 6, 12-16): “La sapienza è radiosa e indefettibile, facilmente è contemplata da chi l'ama e trovata da chiunque la ricerca. Previene, per farsi conoscere, quanti la desiderano. Chi si leva per essa di buon mattino non faticherà, la troverà seduta alla sua porta. Riflettere su di essa è perfezione di saggezza, chi veglia per lei sarà presto senza affanni. Essa medesima va in cerca di quanti sono degni di lei, appare loro ben disposta per le strade, va loro incontro con ogni benevolenza”.

Dunque iniziare un “Percorso di Ricerca” è il principio primo di qualunque progetto ed implica necessariamente un atto fondamentale di Volontà operativa proattiva, elemento quest’ultimo da non sottovalutare assolutamente: senza Volontà, niente è realizzabile. E come affermava la teosofa H.P. Blavatsky: “L'unione forza ed armonia, e degli sforzi simultanei e ben regolati fanno miracoli”, sfruttando il ternine appunto di “sforzi” non privi di profusione di energia, impegno, dedizione ed anche sofferenza.

Premesso l’atto di Volontà dunque, ciò che potrei eventualmente proporre consiste nell’approfondimento e nell’acquisizione della “Coscienza del Sé” quale cardine fondamentale per iniziare un percorso migliorativo e costruttivo personale in un contesto comunque disastrato. Espresso in tal modo apparirebbe una sorta di esercizio “gigantesco” ed “inarrivabile”: chi può davvero raggiungere un così faticoso traguardo come quello del “prendere Coscienza del Sé” in tutta la sua interezza? Alcuni non comprenderanno minimamente l’ingente Azione che implicherebbe una tale tensione volontaria, coloro che invece sono “alla ricerca” possono capire meglio cosa si stia intendendo ed ovviamente capiranno anche il concetto relativo alla “Progressione” Evolutiva che non può essere ovviamente “Perfezione”, tantomeno immediata. In altri termini, quanto appena espresso vuole favorire l’apertura ad un Percorso di acquisizione di Coscienza che è e sarà sempre “in fieri” ovviamente perché i traguardi e i gradini evolutivi di Coscienza non finiscono mai per noi “terrestri limitati”, Percorso peraltro che richiede lungo tempo e lavoro dedicati.

Semplificando ulteriormente, iniziare un Percorso di Coscienza implica prima di tutto un Esame di Coscienza ed una revisione del Sé con la comprensione, almeno essenziale, di “chi e come si sia”. Ognuno di noi è diverso ed unico ma alcune caratteristiche sono comuni a tutti gli esseri umani: per certo non siamo esclusivamente Corpo Fisico materiale. Siamo infatti Corpo Emotivo, Corpo Mentale, Corpo Eterico, Corpo Causale se volessimo far propri i principi della teosofia classica. Ma senza entrare nel dettaglio potremmo semplificare ancora di più sostenendo che oltre il Corpo Fisico vi siano emozioni, affettività, sentimenti, sensazioni, pensieri, creazioni dell’intelletto etc.. Una prima acquisizione, non così scontata, della pluridimensionalità del Sé sarebbe assolutamente auspicabile per il “nuovo Medico”. In altri termini occorrerebbe dunque in primo luogo recuperare una concezione che contempli una dimensione più animica e multifattoriale dell’Essere vivente e del paziente, presupponendo la stessa acquisizione per il nuovo Medico stesso, consapevole e Cosciente di ciò che è e rappresenta.

Un Percorso dedicato di studi, laboratori, riflessioni che permetta al Medico nuovo di recuperare il contatto con la matrice profonda di Sé stesso e del paziente permetterebbe l’Evoluzione di un rinnovato rapporto Medico-paziente che contempli tutto ciò che vada “oltre il meccanicismo allopatico” essenziale. Un contatto di Coscienza dunque, consapevole di emozioni, affetti, sentimenti etc., costituirebbe il presupposto di una nuova interrelazione più completa nell’atto diagnostico e terapeutico del Medico ed un legame Evolutivo tra quest’ultimo ed il suo assistito. Una tale prospettiva tuttavia implica necessariamente la formazione di un legame tra le due figure. Per molti decenni abbiamo assistito a dettami di una “cattedratica medicina occidentale” che ci ha “insegnato stoicamente” un perentorio ed obbligato “distacco” funzionale tra medico e paziente. Questo sistema forse può essere migliorato o addirittura si potrebbe azzardare a definire provocatoriamente che tale “sentenza” possa consistere in un mero errore. Come si può curare se non si instaura un legame? Lo si può fare in modo “meccanicistico” ed i risultati sono spesso evidenti: nessuno lo nega. La domanda da porsi è: e se, al di là dei risultati comunque tangibili attraverso l’azione allopatica, meccanicistica, ordinaria si potesse implementare il risultato terapeutico conseguendo obiettivi e traguardi ancora più rilevanti, durevoli nel tempo e salubri per il paziente con un profuso “surplus energetico” migliorativo in termini di cura efficace?

La PNEI (psiconeuroendocrinoimmunologia) ci ha insegnato che Mente e Corpo sono indissolubilmente legati in vita e che la Mente, se ben orientata, permette una prognosi favorevole del decorso di alcune malattie. Dunque perché non “favorire la Mente”? Perché non arricchire la pratica medica con un contatto che non sia esclusivamente prescrittivo ma anche favorevolmente Mentale ed ancor più genuinamente accogliente in termini emotivi o finanche animici? Tale Azione implica dei  presupposti sostanziali ovvero la saldezza e la Volontà dell’operatore Medico che debbano essere acquisite a priori. “Medice, cura te ipsum” (“medico cura te stesso” (Vangelo di Luca 4, 23) e γνῶθι σαυτόν (“temet nosce”: “conosci te stesso”, qualora volessimo attribuire tale espressione a Talete di Mileto) potrebbero essere due buone massime che costituiscano lo spunto dal quale partire per iniziare un Percorso di approfondimento personale ed altrui che favoriscano la rinascita di una buona pratica medica orientata verso il paziente e scevra, per quanto possibile, dai limiti umani che ci caratterizzano nella nostra pochezza qualora affiorino nella nostra attività professionale e nelle nostre vite in generale. “Nella tua vita prova te stesso, vedi quanto ti nuoce e non concedertelo” (Siracide 37, 27) dunque. Partendo da un esame di Coscienza è possibile progressivamente comprendere i nostri limiti, i nostri difetti, e tutte le componenti che ci impediscono di essere migliori e anche felici: egoismi, separatività, odio, maledicenza, emozioni negative, tristezza, pensieri nefasti etc… Applicando una Nuova attitudine “purificata” e deprivata dalle nostre “incrostazioni mentali ed emotive” potremo dedicarci ad una rinnovata pratica clinica che ripudi il “malessere” da noi stesso ingenerato e che possa eventualmente essere trasferito “per osmosi informatica limitrofa” (mi si permetta la licenza di questa espressione neologistica azzardata).

In sintesi dunque, cosa dovrebbe poter fare il Nuovo Medico:

1. Revisionare Sé Stesso in un atto di esame di Coscienza a tutto tondo.

2. Immettere un Atto di Volontà Costruttivo che lo spinga ad una Ricerca interiore proficua.

3. Persistere nell’esercizio di questa Ricerca.

4. Acquisita una discreta dose di Saldezza interiore, provare a profonderla nella sua attività professionale contemplando tutti gli aspetti mentali, emotivi, animici così malamente trascurati nella pratica clinica attualmente in atto in buona parte dei casi.

La naturale domanda successiva sarà quasi immediata: come fare tutto ciò? La risposta è apparentemente banale ovvero “studio e pratica”, come direbbe il personaggio dell’“Antico” nel film intitolato “Doctor Strange” rivolgendosi al protagonista.

“Studio e pratica” di cosa? …si potrebbe ancora chiedere.

Le Fonti sono innumerevoli, gli spunti alla portata di quasi tutti.

La Medicina Tradizionale Cinese originaria offre interessanti spunti, ad esempio relativi all’atteggiamento del buon medico, che nell’ottica di una pratica efficace e costante, dovrebbe sempre e periodicamente rivalutare, verificare, rivedere i suoi Sforzi profusi, limare gli errori, porsi domande, fare autoanalisi ed emendare i suoi limiti ove ravvisati. La Medicina Tradizionale cinese inoltre contempla gli aspetti dello Spirito/Mente (Shen) ed addirittura dell’Anima in senso lato (Hun) come parte integrante dei quadri patologici di ogni paziente.

Lo Yoga, che vanta moltissimi sottoinsiemi disciplinari, offre innumerevoli spunti per favorire una crescita interiore ed un perfezionamento del Sé nel contesto di una acquisizione non solo propriocettiva e corporea del Sé (come ad esempio nello Hatha Yoga) ma anche profonda e spirituale (Kriya Yoga, Raja Yoga, etc…).

La Meditazione profonda, di cui esistono numerose varianti, è uno strumento utile per prendere Coscienza del Sé, controllare la Mente, le emozioni ed assurgere ad un livello mentale “superiore” e più equilibrato.

Iniziare dunque a Concepire il paziente non solo come una “diagnosi” associata ad una cartella clinica e ad un DRG rimborsabile (sistema di rimborso spese sanitarie per ricovero ospedaliero) ma come una preziosa Entità multidimensionale costituita di più piani di Materia, Fisica, Mentale, Spirituale è un balzo ampio nella concezione medica che richiede approfondimenti e Volontà ispirate ed illuminate che non necessariamente sono condivisibili dai più (…e credo che molti pazienti abbiano numerosi esempi di questo fenomeno e sappiano bene di cosa io stia parlando…).

Utilizzare saggiamente la parola, il movimento, la buona attitudine Mentale, l’Emozione affettiva coordinata al meglio, possono essere strumenti preziosi per favorire un miglioramento terapeutico efficace sostanziale.

Qualche lettore potrebbe insorgere sostenendo che è “impossibile concepire questo in uno stato clinico di emergenza”. Da medico che per tanti anni si è occupato di emergenze gravi, posso affermare che “si debba dare a Cesare quel che è di Cesare ed a Dio quello che è di Dio”. Non bisogna dunque intendere in modo fuorviante quanto sopra scritto: ad ogni contesto attiene la giusta e corretta condotta terapeutica e non si vuole di certo sostenere che in caso di arresto cardiocircolatorio si debbano “fare carezze al malato” invece di applicare il protocollo di rianimazione cardiopolmonare obbligato. Ma anche in questi casi la Coscienza del Sé del Medico e la sua saldezza maturata possono fare la differenza nella gestione ottimale del caso stesso senza “sbavature” operative e con il conseguimento del ripristino efficace delle funzionalità vitali e dello stato di vigilanza e coscienza del paziente.

Comunque applicata, la disciplina della “Coscienza del Sé” può essere foriera di risultati costruttivi, che si sia in ambito emergenziale o ambulatoriale, che si vada di fretta o con calma. La sostanza informatica che “può cambiare la Realtà” migliorandola si insinua in ogni maglia della “Matrix” quotidiana: sta a noi dunque decidere se sfruttarne tutte le spesso trascurate potenzialità oppure persistere nel meccanicismo riduttivista, considerando infine che il grande mistero concettuale dell’“Amore” costituisce, se profuso in qualsiasi attività, uno strumento potentissimo in grado di fare la differenza. Ma questo è un altro discorso ancora più ampio…

Il mio auspicio dunque, in una società piuttosto “malata” sotto plurimi aspetti, è che inizino a germogliare ovunque i semi di una Nuova Medicina ove l’etica, la serenità, la pace interiore e l’Amore siano direttrici supreme nella totale e progressiva dismissione di tutto ciò che fin’ora abbiamo più o meno colpevolmente sbagliato esercitando gli opposti delle manifestazioni benefiche summenzionate.

(Dr. Paolo Diego L’Angiocola, Medico chirurgo – Cardiologo – Specialista in Medicina Interna.

Per approfondimenti: https://www.langiocola.it/)

 
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