L’invito, se possibile, è a leggere questo articolo prima di tutto come uno scandalo logico-semantico, e solo in secondo luogo, eventualmente, come la denuncia di una macroscopica ingiustizia, peraltro ormai nota al mondo intero.
La notizia è questa: una lista di 162 professori universitari, in maggioranza ebraici, pubblicata da un non meglio identificato “blog”, ha scatenato un finimondo a livello mediatico e politico, risolvendosi in una condanna compatta e univoca contro gli autori di quella lista.
"Siamo in presenza di un evento inquietante – ha detto Anna Foa, docente di Storia moderna dell'università La Sapienza di Roma – Chi si è reso autore di questa iniziativa delirante ha commesso un reato e va punito". Mentre il rettore Renato Guarini, “interpretando i sentimenti di tutta la comunità universitaria”, lo ha definito un “inaccettabile atto di intolleranza". Chiude la fiaccolata dello sdegno l’immancabile Walter Veltroni, con un chiaro invito al “rifiuto di ogni forma di discriminazione e di odio".(ANSA).
Ma che cosa conteneva di così grave questa “lista”? Di cosa erano accusati, coloro che vi comparivano?
Di "fare lobby". Questa è la notizia ufficiale, riportata ieri dai giornali e dalle TV.
Ohibò, “fare lobby”. E in che cosa consisterà mai, questo curioso peccato capitale, del quale non si può accusare nessuno senza addirittura “commettere un reato”?
Trattandosi di una parola inglese, ci rivolgiamo direttamente al dizionario, dove troviamo questa definizione:
LOBBY: “A group of persons who work or conduct a campaign to influence members of a legislature to vote according to the group's special interest”. “Un gruppo di persone che si adoperano o conducono una campagna per influenzare i membri di una legislatura a votare secondo gli interessi particolari di quel gruppo”.
Dov’è il problema, quindi? Una volta stabilito che si utilizzino esclusivamente dei mezzi legali per “influenzare” i legislatori, non si comprende dove possa stare la pietra dello scandalo.
Non solo le lobby in Italia non sono proibite – in America poi sono una vera e propria istituzione – ma fanno parte integrante di una società che da un lato è basata sulla competizione e sul libero mercato, e dall’altra sulla sacrosanta libertà di espressione.
Se quindi io voglio convincere un parlamentare a promuovere una legge che favorisca le auto a olio di colza invece di quelle a benzina, perchè mai non potrei farlo?
Nel libro di Mauro Fotia “Le lobby in Italia: gruppi di pressione e potere”, c’è addirittura una sezione intitolata “Lobby e Istituzioni”, nella quale ad esempio leggiamo (pag. 29): “Una lobby è altresì in grado di presentarsi come la fonte più autorevole delle informazioni più aggiornate nel settore in cui opera e in ogni caso di risultare di gran lunga superiore alle fonti autonomamente attivabili dalla presidenza delle camere, delle commissioni o dai singoli parlamentari. Infine, una lobby ha la concreta possibilità di dimostrare plausibilmente la congruenza fra i suoi interessi specifici e quelli più generali, almeno, ma non solo, per quanto attiene alla regolamentazione della tematica di cui si occupa.”
Che cosa c’è quindi di così scandaloso nel sentirsi accusare di “fare lobby”? Anzi, visto che le persone elencate in quella lista hanno chiaramente degli interessi in comune, sarebbero ben poco astuti ad agire ognuno per conto proprio, senza coordinare i loro sforzi verso un obiettivo comune.
Dove starebbero quindi l’odio e la discriminazione di cui parla Veltroni, da parte di chi li “accusa” di “fare lobby”? Ma dove starebbe soprattutto il “reato” compiuto da costoro, nel pubblicare quella lista, visto che si sostiene che un certo gruppo di persone compie un’azione del tutto legale?
Lo ripetiamo, per maggiore chiarezza: o ciò che fanno questi professori è illegale, e allora vanno semplicemente arrestati e processati, oppure è legale, e allora non si comprendono ne l’ “accusa” da parte dei blogghisti ai professori, nè lo scandalo da parte di questi ultimi, nè soprattutto dove stia il “reato" dei primi.
Siamo di fronte a un tale paradosso logico-semantico, che viene il sospetto che al gruppo di professori abbia dato in realtà fastidio il semplice fatto di essere stati “elencati”. E’ possibile cioè, essendo ebrei, che il fatto stesso di veder comparire il proprio nome in una qualunque lista possa evocare in loro i tristi ricordi delle leggi razziali, delle deportazioni e dei campi di concentramento.
Forse è questa la “discriminazione” di cui parla Veltroni, nel tornare in qualche modo a “ghettizzare” gli ebrei di oggi, e in questo senso si può anche dargli ragione. “Fare le liste” è brutto comunque, per principio, perchè scava inevitabilmente un solco fra gli esseri umani che diventa poi più difficile da appianare.
Non è bello dire “i negri”, “gli omosessuali”, o “le donne” – anche se si vuole magari difendere la loro categoria – perchè nel farlo si riafferma comunque una loro “diversità", discriminandoli in ogni caso.
Anche in questa ipotesi, però, la logica si scontra con i dati di fatto: non sono gli ebrei stessi a sostenere di essere diversi? Non dicono loro di essere il “popolo eletto”? Un volta chiarito che “popolo eletto” non significa necessariamente “favorito” (per quel che ne sappiamo, possono anche essere stati “scelti” per prendere botte da tutti, e sui disegni del Creatore non possiamo certo metterci a discutere), resta il fatto – storico, innegabile e onnipresente – che siano sempre stati gli ebrei a non volersi mescolare al resto dei “goyim”.
Padronissimi di fare gruppo a parte, naturalmente, ma questo impone ora di escludere un risentimento da parte loro per essere stati identificati come ebrei. Sono i primi a far notare al mondo si esserlo, e ci tengono pure da morire.
Quindi? Che cosa ci rimane, a questo punto?
Rimane solo quel fantasma, indefinito e inafferrabile, chiamato “antisemitismo”.
Tu ce l’hai con me – sostiene l’ebreo che accusa un non-ebreo di antisemitismo – e questo non puoi farlo. Tu non mi puoi odiare, non mi puoi schernire, non mi puoi disprezzare, perchè io ho già avuto sei milioni di morti, e ho sofferto abbastanza.
Ora, gli ebrei – almeno quelli intelligenti – non pretendono certo di stare simpatici a tutti, però chiedono – pare di capire – di tenersi per sè eventuali antipatie, per non fomentare ulteriormente violenza contro di loro.
E si potrebbe pure dargli ragione, anche perchè il pregiudizio non è comunque una bella cosa, e alimentarlo negli altri va evitato in ogni caso.
Ma allora perchè, ci si domanda, quando Oriana Fallaci parla dei musulmani come se fossero topi di fogna, le sue parole finiscono addirittura in prima pagina sul Corriere, e nessuno trova nulla da ridire?
Che differenza c’è fra parlare male di un musulmano – o di tutti i musulmani insieme – e parlare male di un ebreo, o di tutti gli ebrei insieme?
Seminando disprezzo verso una qualunque etnìa, gruppo o religione, non si fomenta forse un eventuale odio latente verso quella etnìa, gruppo o religione, qualunque essi siano?
Che differenza c’è, quindi, fra un “antisemita” e un “antimusulmano”, e perchè mai il primo andrebbe “punito” a termini di legge, e il secondo addirittura premiato con le prime pagine dei più prestigiosi quotidiani?
Forse perchè gli ebrei hanno avuto l’Olocausto, e i palestinesi no?
Anche qui si va a cozzare dritto contro la storia: il fatto che nelle scuole non si insegni che cosa è stata la Nakba non significa che non sia mai esistita. Ne vogliamo davvero parlare?
Quindi, siamo punto e accapo: non si riesce a trovare un solo motivo valido di risentimento, da parte di quei 162 professori, che non sia il fatto stesso di essere stati “elencati”.
E allora guardiamo bene che cosa ha fatto, ad esempio, lo Steven Roth Institute, un organismo con base a Tel Aviv che si occupa di catalogare e denunciare, paese per paese, i mille fatti di “antisemitismo” che accadono nel mondo:
Ha pubblicato una lista! Anzi, ne ha pubblicato dozzine, di liste, una per ogni nazione in cui essi ritengono che esista anche solo un potenziale focolaio di “antisemitismo”.
Nella pagina che riguarda l’Italia troviamo elencati, ad esempio, il “Partito dei Comunisti Italiani”, il “Partito della Rifondazione Comunista” e la “Federazione dei Verdi”, che sono fra l’altro definiti degli “anti-parliamentary parties”, ovvero dei partiti in qualche modo “contro il Parlamento” [?].
Sono poi elencati, con nome e cognome, gli esponenti più in vista delle varie associazioni islamiche, come ad esempio Roberto Hamza Piccardo, oppure il chirurgo siriano Mohammad Nur Dachan, divenuto cittadino italiano. Ci sono scrittori come Dagoberto Bellucci, Claudio Mutti o Maurizio Blondet, siti Internet come 11settembre.net, Disinformazione o ComeDonChisciotte, e quotidiani come il Manifesto o lo stesso Corriere della Sera.
Insomma, paragrafi e paragrafi di elenchi dai quali non sembra salvarsi praticamente nessuno: tutti in qualche modo ce l’avrebbero con gli ebrei, e tutti vengono accuratamente etichettati e catalogati come “antisemiti”.
Dal che si deduce, per tornare al discorso iniziale, che sia lecito elencare chi è “antisemita”, ma chi è “lobbysta” no. Siamo cioè alla notte della Ragione.
Massimo Mazzucco
Fonte: luogocomune.net