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La strategia di Bush-Kagan: allargare la crisi di Maurizio Blondet

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Senza avvertire il Congresso.
E in aperta sfida al rapporto Baker, che consigliava di coinvolgere Siria e Iran in trattative di pacificazione.
Questa «speculazione» nasce dal discorso alla nazione con cui Bush ha annunciato l’invio di altri 21.500 soldati in Iraq.
Bush ha descritto il suo mondo di fantasia come segue: Al Qaeda ha occupato grandi aree dell’Iraq con l’aiuto di Siria e Iran, ed ha i missili puntati sugli Stati Uniti.
«Questi due regimi», ha detto riferendosi a Siria e Iran, «consentono a terroristi e insorti di usare il loro territorio da cui entrano ed escono in Iraq. L’Iran fornisce sostegno materiale alle aggressioni alle truppe americane. Disarticoleremo gli attacchi alle nostre forze. Interromperemo il flusso degli aiuti da Siria e Iran. E cercheremo e distruggeremo le reti che forniscono armamento avanzato e addestramento ai nostri nemici in Iraq».
Inoltre: «Ho ordinato lo spiegamento di un’altra squadra di attacco-portaerei nella regione…e lavoreremo con altri per impedire che l’Iran ottenga armi nucleari e domini così l’area».

Fino ad ieri, l’idea dominante nei circoli politico-militari era che la minaccia israeliana di attaccare le installazioni dell’Iran con bombe atomiche fosse una sorta di bluff.
Di colpo, il fraseggio di Bush rende la minaccia più credibile.
Effettivamente due portaerei con le loro squadre sono nel Golfo Persico, in uno spazio così ristretto che faticano persino a manovrare.
Al punto che il 9 gennaio, un sommergibile USA è entrato in collisione con una petroliera giapponese.
È la situazione ideale per una provocazione o «incidente» che costituirà un casus belli.
Come noto, nella città curda di Arbil, gli americani hanno occupato il consolato iraniano e hanno arrestato i diplomatici.
E mine sono state fatte saltare dai militari iraniani nel loro porto di Khorramshar, mine poste si può immaginare da chi.
Si aggiunga l’attacco aereo in Somalia (cento morti, ma nessuno dei terroristi preso di mira), e una battaglia in corso a Baghdad, nel quartiere di Haifa Street, con l’impiego di F-15 ed Apaches.
Si aggiunga la «previsione» del generale di brigata Amos Yadlin, israeliano, per cui Israele «dovrà» fare la guerra a Siria e Libano entro il 2007: perché, dice lui, «la presenza della Global Jihad [sic] è stata constatata nella regione», e «da qualche decina a un centinaio di elementi di Al Qaeda» sono arrivati in Libano con l’intento di «attaccare le forze ONU» d’interposizione.
C’è qui l’annuncio di una provocazione contro gli europei, un attentato «islamico» che renderà inevitabile il nuovo conflitto.
Il fatto è, dice il generale giudaico, che l’instabilità dell’area si è accresciuta.
Questa almeno è una verità: solo che è il Pentagono ad essersi confezionato da sè questo immenso «arco di crisi» che va dal Corno d’Africa (Somalia, divenuta un nuovo fronte, e probabilmente un nuovo Afghanistan) al Golfo Persico, senza trascurare il Caucaso e l’Asia Centrale.
Bush si arroga il diritto di aggredire chiunque e qualunque cosa in quella vasta area, come terra di nessuno ostile.

È, in grande, esattamente ciò che Israele fa da sempre verso tutti i vicini.
Spara cannonate e missili a piacere su Gaza; sorvola il palazzo presidenziale siriano coi suoi caccia a bassa quota (o almeno l’ha fatto fino a quando Mosca non ha fornito alla Siria batterie di missili anti-aerei ultimo modello); vìola quotidianamente lo spazio del Libano.
Per l’impero giudaico non ci sono Stati sovrani; il mondo è il teatro di una guerra perpetua e senza limiti, un «gar el dharb» sionista di proporzioni planetarie.
E Israele ha la forza per impedire ai politici europei, tremebondi, di dire la verità: che il mondo è minacciato da due soli veri, criminali Stati-canaglia.
Le due massime potenze nucleari del pianeta, ben decise ad usare la loro forza bruta senza riguardo al diritto internazionale, né alle loro stesse leggi (per la Costituzione USA, è il Congresso che ha la prerogativa di autorizzare le guerre).

Entra nel quadro la sostituzione del generale John Abizaid, capo supremo del Comando Centrale (CENTCOM) responsabile delle operazioni in Iraq, con l’ammiraglio William Fallon.
L’insediamento di un uomo della Marina per operazioni che dovrebbero – se limitate all’Iraq – essere terrestri, ha stupito molti.
Tanto più che Fallon è attualmente il capo del Comando del Pacifico (PACOM).
Invece, la nomina è un colpo da maestri, ci spiega Douglas Hanson, uno degli «analisti militari» sicofanti della strategia di Bush. (2)
Il CENTCOM ha fallito, dice Hanson, perché ha dovuto tener conto delle paure e delle ansie degli «alleati» nell’area, ossia sauditi ed emirati-satelliti.
Invece Fallon, «avendo potuto agire senza le limitazioni poste dagli alleati, ha chiuso le porte all’Iran ad est. La partnership strategica con l’India degli USA è l’eccezionale successo del PACOM nella guerra al terrore…gli USA hanno così tolto alla Persia il più grande mercato potenziale energetico. E non solo questo: [Fallon] ha determinato un mutamento epocale negli allineamenti geo-politici, che saranno efficaci nel contrastare ogni nuova alleanza composta dai nostri nemici vecchi e nuovi con accesso all’Asia centrale e al Pacifico».
I «vecchi nemici» sono palesemente russi e cinesi, oggi uniti nella Shanghai Cooperation Organization in alleanza militare con altri Stati minori centro-asiatici; nella visione neo-americana (o giudaica) sono messi nello stesso sacco dei nemici «nuovi», i terroristi di Al Qaeda, Iran e Siria.

Ciò che qui il sicofante prefigura è la terza guerra mondiale.
Difatti, aggiunge, «tra i meno visibili successi del PACOM c’è l’azione contro i gruppi terroristici delle Filippine, come quello di Abu Sayyaf»: la guerra del Pacifico è già in corso.
«In breve, l’ammiraglio Fallon è stato magistrale nel completare i nostri fini strategici di lungo raggio e contemporaneamente nel condurre combattimenti ravvicinati contro i terroristi del Pacifico», esulta Hanson.
«Se la coalizione si impegnerà davvero in una campagna aero-navale contro l’Iran è ancora materia di ipotesi. Ma possiamo essere certi che l’ammiraglio Fallon porterà [nell’offensiva] una visione e un’acutezza unica per conseguire la vittoria nella Regione Centrale, libero com’è dai pregiudizi e dall’inerzia istituzionale del Centcom».
Anche se, ammette Hanson, l’EUCOM (il comando USA in Europa) ha ben collaborato, nonostante le rerstrizioni degli alleati, «stringendo il cappio attorno all’Iran da nord e da occidente, stabilendo alleanze militari con la Georgia e l’Azerbaijan. Inoltre, un vasto riposizionamento delle forze USA in Europa è in corso nei Paesi sul Mar Nero, Romania e Bulgaria».
Questi Paesi che abbiamo appena lasciato entrare nella UE, sono già in guerra con gli USA in Asia, e ci trascineranno con loro.
Non basta.
Per completare il quadro, Hanson ci informa che Fallon e il suo PACOM dispongono «di centomila uomini stanziati nell’area di loro responsabilità, che possono essere rapidamente salire con l’aggiunta di altri 200 mila».
Truppe fresche non solo per rincalzo alle esauste forze in Iraq, ma per l’ampliamento previsto del conflitto.
Insomma tutto pare davvero pronto per la grande guerra globale, con un olocausto nucleare in aggiunta per l’Iran.

Dal punto di vista di Bush, probabilmente non si tratta nemmeno di conseguire la «victory», ma di spingere gli americani, contro la loro volontà, in un conflitto totale da cui non possono tirarsi indietro.
Non potranno i democratici, timidi e terrorizzati dalla lobby ebraica, pronta a bollarli come traditori se negano a Bush i fondi e i mezzi per la sua grandissima guerra; non il popolo americano, che sarà adeguatamente preparato da un attentato, una nuova Paerl Harbour, le cui premesse sono già presenti nell’affollata strettoia del Golfo Persico, traboccante di navi da guerra, portaerei, caccia e missili di fronte all’Iran.
Va detto che questa è precisamente la strategia prescritta dagli ebrei Kagan e Kristol, principali firmatari del documento del PNAC (Project for a new american century) che si augurò, prima dell’11 settembre, «una nuova Pearl Harbour» per trascinare l’America in una guerra di tipo israeliano, ossia perpetua, totale, senza compromessi né trattative, allo scopo di creare un’area di caos eterno attorno all’occhio del ciclone giudaico.
Lo ha compreso chiaramente Pat Buchanan (4), che cita il generale israeliano Oded Tira: «Dato che un attacco aereo americano contro l’Iran è essenziale per la nostra esistenza», ha detto il generale, «noi dobbiamo aiutare [Bush] a prepararlo, facendo lobby presso il partito democratico e i direttori dei media americani. Dobbiamo trasformare la questione iraniana in un tema bipartisan, e senza rapporto con lo scacco iracheno. Dobbiamo volgerci ad Hillary Clinton e agli altri potenziali candidati nel partito democratico, far sì che essi sostengano pubblicamente l’azione immediata di Bush contro l’Iran. Gli americani devono agire, altrimenti lo faremo noi… ci dobbiamo preparare immediatamente per una risposta iraniana all’attacco».
Difficile essere più espliciti di così.

E il generale Tira non fa che riecheggiare le dichiarazioni dell’ex premier sionista Bibi Netanyahu: «Israele deve immediatamente lanciare un’intensa campagna internazionale di pubbliche relazioni, diretta in primo luogo agli USA. Lo scopo è incoraggiare il presidente Bush a porre in atto l’impegno da lui preso, non lasciare che l’Iran si armi con ordigni nucleari. Dobbiamo chiarire al governo USA, al Congresso e al popolo americano che un Iran nucleare è una minaccia agli USA e al mondo intero, non solo per Israele».
Insomma, commenta Buchanan, «Bibi dice che la guerra di Israele deve essere venduta come una guerra dell’America. Siamo avvertiti: viene lanciata una campagna di propaganda, condotta da agenti israeliani e dai loro ausiliari e sicofanti neocon, che ci hanno trascinati nella guerra in Iraq, per prepararci a irrompere in una guerra in Iran. Ci vogliono convincere che l’Iran, che non ha forze aeree o navali di cui valga la pena di parlare, che non ha cominciato una sola guerra dalla sua rivoluzione di 27 anni fa, che ha un’economia pari al 2 % della nostra, stia per consegnare a terroristi, perchè la usino contro di noi, una bomba atomica che non è in grado di costruire prima di dieci anni».

Oh, li convinceranno.
E ci convinceranno tutti: come potremo negare «il pericolo islamico» quando i nostri soldatini saranno fatti a pezzi dal Global Jihad, or ora inventato dai generali sionisti?
Già Massimo Teodori su Il Giornale inneggia allo «storico condottiero» (sarebbe Bush).
Già Ferrara sul foglio riporta integralmente il discorso del condottiero: certamente perché gliel’ha scritto Kristol, o Kagan, o qualche altro likudink.

Note
1) «Did the president declare secret war against Syria and Iran?», Washington Note, 11 gennaio 2007.
2) Amos Harel, «IDF predicts possible conflict with Lebanon, Syria in 2007», Haaretz, 10 gennaio 2007.
3) Douglas Hanson, «Admiral Fallon and CENTCOM», The American thinker, 11 gennaio 2007.
4) Pat Buchanan, «Who is planning our next war?», Human Events, 9 gennaio 2007.

(Tratto da www.effedieffe.com)

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