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La televisione: il serpente sotto il letto di Paolo Cortesi

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i nostri quattordicenni, infatti,
considerano realtà ovvia che durante l’intero arco delle 24 ore
quotidiane la tv trasmetta programmi.

A qualunque ora, dallo schermo
vengono immagini e suoni.

Nelle notti insonni, quando
qualche preoccupazione o qualche malanno ci tengono svegli, uno
dei gesti più frequenti è ciabattare fino al divano che
sta davanti all’elettrodomestico e osservare ottusamente ciò che
viene trasmesso.

La programmazione sulle 24 ore,
alla Rai, è iniziata nel
dicembre 1991. Prima di quella data, esistevano momenti in cui dallo
schermo non usciva che un sibilo abbastanza sgradevole ed un’immagine
(il monoscopio…) che sembrava il bersaglio d’un tiro a segno.

Diamo un’occhiata ad un
documento che può sembrare più arcaico d’una tavoletta
cuneiforme: lo “schema settimanale delle trasmissioni televisive della Rai per il 1958”, oggi si dice
palinsesto.

Vediamo che le trasmissioni
iniziavano alle ore 17 (sì: alle cinque del pomeriggio) e
terminavano immancabilmente alle 23,20.

La pubblicità era
drasticamente confinata fra le 20,45 e le 21: quindici minuti che
davano vita all’inimitabile “Carosello”.

Nel corso della giornata
esistevano tempi in cui non si trasmetteva nulla: dal lunedì al
sabato, dalle 18 alle 18,30 non esistevano programmi.

Cosa si trasmetteva? Leggiamo
il palinsesto 1958:

“Spettacolo in pubblico.
Giuochi e indovinelli. Lezioni di lingue. Varietà musicale.
Rubrica culturale storica o scientifica. Rivista. Film o ripresa
teatrale esterna. Concerto musica sinfonica o da camera. Programma per
la donna. Programma per le fanciulle”.

Rigorosamente controllata dal
governo, minuziosamente monitorata dalla censura di pura marca
cattolica, strutturata da un codice comunicativo rigidissimo (vietato
usare parole che potevano scivolare nel doppiosenso, quali membri,
seni, falli…), la paleotelevisione era considerata un potente strumento
di educazione popolare, ma anche temuta come “potenza malefica e
più sconvolgitrice degli spettacoli cinematografici
perché capace di introdurre tra le stesse pareti domestiche
quell’atmosfera avvelenata di materialismo, di fatuità e di
edonismo che troppo sovente si respira nelle sale cinematografiche”,
come tuonava il papa nel 1957.

Alla fine di aprile, è
stato diffuso un documento della Società Italiana di Pediatria,
le cui conclusioni sono agghiaccianti: “Se un bambino guardasse per due
ore al giorno Italia 1
nella fascia oraria compresa tra le 15 e le 18, durante la quale
è trasmessa una programmazione specificatamente destinata
all’infanzia, quel bambino rischierebbe di vedere in un anno 31.500
spot pubblicitari”. (La Repubblica,
29.4.2005)

Dai 15 minuti giornalieri di
Carosello siamo arrivati alle 4 ore di spot quotidiani, e il dato
è ancora riferito alla sola fascia riservata al pubblico
più piccolo.

Direi che non occorre un
dottorato ad Oxford per poter
immaginare le conseguenze di questa situazione che trova un
corrispettivo solo nelle fantasie inquiete dei romanzi di sociologia
apocalittica.

Viviamo, infatti, immersi in
una realtà doppia: la televisione, proprio perché
onnipresente e continua, si sta sostituendo (o si è già
sostituita?) alla realtà vera.

E non è un caso che lo
spettacolo di moda ora è il “reality”: un’infame sceneggiata che
si propone come momento di vita vissuta sul quale aleggia l’occhio
inevitabile della telecamera, e dunque dello spettatore.

Che uomo sarà, che padre
sarà il ragazzino del 2005 la cui mente è solcata da
migliaia di spot pubblicitari? Quale sarà il codice etico del
bambino che viene allevato nella certezza che la vita è degna di
essere vissuta solo se sei bello, magro, forte, ricco, veloce, furbo e
spregiudicato quanto basta per far fuori i concorrenti?

La dose di esposizione al
trattamento è così massiccia che risulterebbe dannosa
anche se i messaggi trasmessi fossero educativi, formativi e sani
piuttosto che l’intossicazione attuale.

Anche i fondamenti morali di Kant, che pure sono
quanto di meglio abbia prodotto l’uomo nella storia della sua
riflessione morale, risulterebbero “pericolosi” se ripetuti con
l’ossessivo martellante stillicidio con cui si esprime oggi la tv.

Perché questo è
il nodo della questione: se il medium è il messaggio (McLuhan),
oggi il medium è la modalità con cui esso si esprime: la
ripetizione sistematica, inestinguibile.

La reiterazione non dà
scampo, non dà tempo per pensare e scegliere, per decidere. La
televisione è oggi un colossale laboratorio in cui noi tutti
siamo le cavie e lo scienziato pazzo è costituito dai gruppi di
potere.

Le tecniche pubblicitarie sono
state applicate alla propaganda elettorale: questa è la prova
più chiara, e preoccupante, di cosa pensino della tv coloro che
governano.

Ciò che non pare ancora
abbastanza acquisito dalla gente è che la tv non si presta
affatto all’esercizio della scelta consapevole.

Chi fa la tv dice: se non ti
piace, spegnila. Sembra tutto così facile… ma non è vero:
la televisione è oggi l’ambiente: è possibile vivere
indifferenti all’ambiente in cui ci troviamo? Sì, ma non
è certo facile.

Anche perché chi rifiuta
la tv è comunque costretto a vivere in mezzo ai milioni di
persone che dipendono dalla tv. È la tv che oggi crea, modifica
e influenza il linguaggio, ma anche i gusti, i costumi, il pensiero
comune.

È la tv che crea
funzioni: chi avrebbe pensato, solo fino a dieci anni fa, che le gente
sarebbe ricorsa ad un goffo pupazzo di stoffa rossa per esporre reclami
e per ottenere una spicciola giustizia amministrativa?

Credo che la televisione sia
oggi lo strumento più potente del controllo di massa esercitato
dai gruppi di potere occulto, i quali hanno trovato il mezzo ideale per
mantenere il dominio: uno strumento messo in funzione dalla stessa
“vittima”. Ma il controllo che viene agito ora non è quello
rudimentale modello Big Brother, bensì un dominio più
stringente perché colpisce le fondamenta stesse del pensiero.

Ciò che spaventa di
più non è che la tv ci induca a comprare questo o quello,
ma che essa sta profondamente mutando la nostra percezione mentale, la
nostra facoltà di scelta morale, la nostra capacità di
valutare gli eventi e le persone.

La tv sta diventando un culto
osceno terribile, scandito da riti demenziali officiati da
sacerdoti dementi.

Pio XII
sbagliava: la televisione non è sentina di vizio e teatrino
delle vanità; è una gigantesca brain machine che sta
mutando la specie umana, sostituendo alla libertà, alla
volontà e alla critica l’adesione incondizionata agli stereotipi
di massa decisi in qualche invisibile consiglio d’amministrazione.


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