Ho letto recentemente due articoli: uno è “Tutti Neanderthal, tranne gli africani” di Tiziana Moriconi (del 5/10/2011), l’altro “Emigrazoni dall’Africa ai primordi? Falso” di Gabriele Beccaria (del 5/10/2011). Sono conferme sul modo di procedere della scienza ufficiale e della divulgazione scientifica.
La Vita è unica, non ci sono barriere, anche il concetto di specie è solo uno schema, un artificio, una nostra comodità di comunicazione. Lo sappiamo fin dai tempi di Lamarck, cioè da due secoli, ma i pregiudizi sono duri a morire, anche, o soprattutto, nella scienza.
Per decenni la versione ufficiale dell’origine dell’uomo è stata la derivazione da un filone unico che parte dall’Africa, dopo diverse migrazioni precedenti di specie affini, cioè altri ominidi che poi si sono estinti. C’è voluta una ciocca di capelli per “buttare all’aria tutte le “certezze” (!) sulla colonizzazione del Pianeta”. Da profano, ho sempre diffidato delle stranezze migratorie ufficiali. C’è voluto un secolo per “scoprire” che il Sapiens e il Neanderthal formavano famiglie miste!
Ora salta fuori che “la storia delle migrazioni umane, finora rozzamente rappresentate come una serie di linee che dall’Africa prima salgono in Europa e poi piegano verso l’Asia, sono clamorosamente sbagliate.”
Avete presenti le normali divulgazioni televisive delle origini umane? Di solito viene presentato il Neanderthal come brutto, sporco, pieno di capelli, affamato di carne. Il Sapiens, un po’ più “bello”, che contende sempre la preda al Neanderthal e spesso “vince” perché “più evoluto”. Insomma, erano sempre in lotta, in competizione per la sopravvivenza. Ma “noi” abbiamo vinto.
Molto probabilmente invece si incontravano, comunicavano, formavano famiglie miste, qualche volta litigavano. Le scoperte citate negli articoli non sono poi così sorprendenti. Ma tutto ciò che non rientra nel paradigma ufficiale è visto con grande sospetto. Di solito, nelle divulgazioni, si fa grande uso del termine “preistoria” e di aggettivi correlati, mettendo in un unico contenitore i dinosauri, i mammuth, i Neanderthal e gli altri “primitivi”. La preistoria sarebbero due miliardi di anni, cinquemila culture umane, tutti gli ominidi e i “primitivi”, mentre la storia del vero uomo sarebbero gli ultimi cinquemila anni di “civiltà” sfociati nell’Occidente e quindi nel massimo del progresso, la civiltà industriale. Se ci pensiamo bene, è un cumulo di amenità.
Anche gli ominidi di cui si sono trovati fossili soprattutto in Asia probabilmente si accoppiavano fra loro e hanno contribuito a dare origine all’umanità attuale, o a parti di essa. Purtroppo molti si sono estinti, o mescolati… e alcuni siamo noi.
Ricordo di aver letto, una trentina di anni fa, in un giornale serio, che uno scienziato, dopo diversi tentativi, era riuscito ad ottenere una fecondazione “in vitro” unendo due gameti, uno umano e uno di scimpanzé. Si era formato un embrione, vissuto pochi giorni, o poche ore. Non se n’è saputo più niente: l’Occidente non poteva sopportare una notizia simile, l’ha ignorata e occultata, alla faccia del metodo scientifico. Forse c’era stata la sdegnata rivolta degli scienziati “ufficiali”, che invece sono pronti a plaudire ed approvare ogni manipolazione allucinante che riguardi soltanto “cellule animali” (!). Nel pensiero corrente si continua a vedere l’umanità come contrapposta all’animalità, ma si tratta di una contrapposizione insostenibile già da due secoli, anche in Occidente.
Passiamo a qualche considerazione su altri esseri senzienti:
– Nel libro di Konrad Lorenz “E l’uomo incontrò il cane” si dice chiaramente che il cane è derivato non solo dal lupo, ma anche dallo sciacallo dorato: poi i nostri amici cani hanno formato un complesso in cui sono possibili incroci fra esseri che provengono da derivazioni diverse;
– Un pinguino di Magellano, inanellato presso la Terra del Fuoco, è stato trovato fra i pinguini di Humboldt, cinquemila Km più nord, evidentemente percorsi a nuoto: era un esploratore. La notizia è stata riportata dicendo che “probabilmente si era perso”;
– Le strutture delle società dei bonobo, degli scimpanzé, dei gorilla, dei delfini e di tanti altri sono molto articolate e complesse: non sono affatto immutabili;
– Ci sono trasmissioni culturali fra gruppi di moltissimi esseri senzienti;
– Un ricercatore primatologo (e psicologo dei Primati) ha riferito che una femmina di orango si era palesemente innamorata di lui (non solo in senso affettivo).
Sono solo esempi, ma vengono sempre presentati al pubblico come fatti “sorprendenti”, “strani”, degni di ulteriori approfondimenti o probabili smentite. Strano è invece sostenere uno stacco anche comportamentale fra la nostra specie attuale e gli altri esseri senzienti.
Sono andato a cercare un altro articolo: E’ italiana la smentita del big bang di Pasquale Galianni (del 04/09/2006): è un’ulteriore dimostrazione di come procede la scienza, quella che viene divulgata. Chi si mette contro le teorie ufficiali approvate (da chi?), viene ignorato, nella migliore delle ipotesi, anche se porta indizi validi e osservazioni dirette a sostegno delle sue tesi. Il Big Bang non piaceva molto neppure a cosmologi del calibro di Fred Hoyle e Dennis Sciama. Ma il pubblico deve considerare certo il Big Bang. Tra l’altro, questa teoria si è affermata in una cultura che ha l’idea fissa dell’espansione. Ed è diventata un paradigma entro cui inserire tutte le osservazioni astronomiche.
In sostanza, sembra che al pubblico debba essere fornita qualche certezza, che – guarda caso – è in accordo con il sottofondo della cultura giudaico-cristiana-islamica. Ci sono premesse che ormai vacillano da tutte le parti, ma si vogliono salvare ad ogni costo. Sono più o meno le seguenti:
– La nostra specie ha un’origine unica (naturalmente per competizione-selezione);
– C’è una barriera, o un fossato invalicabile, fra l’uomo e gli (altri) animali;
– L’Universo ha un inizio e una fine.
Cioè si vuole sostenere ad ogni costo una visione del mondo per salvare dei pregiudizi culturali, anche in contrasto con l’osservazione. Spesso ciò avviene in buona fede, ma, ancora una volta, alla faccia del metodo scientifico.
Guido Dalla Casa