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L’altra Europa e il retaggio di una perduta civiltà

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Nel primo articolo dedicato a L’altra Europa di Paolo Rumor (2010, Hobby & Work) si è visto che i contenuti del libro riguardano due materie apparentemente diverse: una di natura politico-economica; l’altra storico-archeologica, con la singolare intrusione di racconti dal carattere mitico-leggendario. La prima materia è già stata esposta; ora si prenderà in esame la seconda.
Paolo Rumor confessa che non avrebbe riportato questa seconda parte delle memorie se non si fosse reso conto, pochi anni fa, di una singolare corrispondenza con nomi e situazioni presenti anche in certa recente saggistica che affronta temi storici, scientifici, archeologici, mitologici con approcci decisamente “alternativi” (appartengono a questo filone autori come De Santillana, Hapgood, Hancock, Bauval, Baigent, Leigh, Collins e altri). L’impressione era che la fonte ispiratrice di tale saggistica fosse già conosciuta, ed in modo assai più completo, negli ambienti che il padre Giacomo aveva frequentato molto tempo prima; tuttavia secondo l’autore, nonostante queste singolari assonanze, la peculiarità più intima di quel che si è definito la “Struttura” e il suo “progetto” (vedi primo articolo, NEXUS nr. 94) sembra ancora sfuggire ai moderni ricercatori. Si tratterebbe di qualcosa decisamente dissimile da ogni altra consorteria apparsa nel corso della storia, non mostrando altra tipicità se non quella evidente di mirare ad una specie di ricostruzione di situazioni appartenute ad un determinato passato.
Nei circoli intellettuali in cui si muovevano i primi ispiratori dell’Unione Europea (e dietro ai quali si profilava la Struttura), sin dai tempi della Restaurazione, vi era la convinzione che un periodo storico plurimillenario stesse per concludersi, e per avviarsi un nuovo ciclo di evoluzione umana. L’idea del compimento di un ciclo storico si sarebbe rafforzata con la scoperta, avvenuta in due tempi fra la fine del sec. XIX e l’inizio del XX, di alcuni documenti che confermavano e integravano il complesso di tradizioni e conoscenze (incluso un elenco cronologico degli affiliati) che la Struttura si tramandava da secoli. Da tali documenti, tenuti segreti per la loro straordinaria importanza, deriverebbero le informazioni contenute nel materiale appartenuto a Giacomo Rumor. Fatta la doverosa premessa che, al momento, non ho trovato prova dell’effettiva esistenza di tali reperti (ma, come detto, sarebbero appunto tenuti segreti), vediamo di che si tratterebbe.

 

I rotoli di Nusaybin

Agli inizi del sec. XX nella sinagoga di Nusaybin (in passato Nisibis, cittadina turca presso il confine con la Siria) sarebbero stati rinvenuti alcuni lunghi rotoli di rame, facenti parte di un più ampio materiale considerato perduto; Giacomo Rumor avrebbe ricevuto stralci delle traduzioni dai testi originali in greco, copto e siriaco.
I rotoli sarebbero attualmente conservati nientemeno che nella cappella di Roslin (o Rosslyn), in alcuni bauli posti “sotto la cripta di sud-est, interrati nella camera sotterranea di mezzo, nel luogo corrispondente al punto ove si trova […] San Pietro che tiene in mano una squadra” [sic]; e in effetti, nella cripta della cappella di Roslin (che fu edificata nel sec. XV da William Sinclair, la cui famiglia è citata nell’elenco dei nominativi del livello consultivo), si trova una statua di San Pietro. Come è noto a chiunque abbia letto o visto Il codice da Vinci, si tratta di un luogo di importanza capitale nel mito di Rennes-le-Château e del Priorato di Sion (alcuni elementi di tale mito sono ben riconoscibili nel materiale di Rumor − vedi primo articolo).
Il testo di Nusaybin conterrebbe la descrizione di un’età proto-storica caratterizzata da un elevato livello di organizzazione sociale ed economica, nonché da avanzate conoscenze che si potrebbero già definire scientifiche e che l’umanità avrebbe nuovamente conseguito solo nell’età illuministica. In quest’epoca remota sarebbero esistite delle comunità urbane in località costiere del Mediterraneo e di altre regioni, ora sommerse dal mare; poi, a causa di sconvolgimenti globali e repentine mutazioni climatiche, sarebbe seguito un lungo periodo di decadenza; quindi una fase di lenta, faticosa, parziale ricostruzione, in cui sarebbe stata determinante l’opera svolta da un gruppo di “Illuminati”. È precisamente a questo momento che risalirebbe l’istituzione della Struttura, la cui azione si sarebbe protratta nei millenni sino ai nostri giorni, attraverso un lungo elenco di persone che il testo di Nusaybin riporta espressamente, e da cui è derivato l’elenco parziale riportato nelle memorie (relativo al livello consultivo); nella parte più antica di tale elenco i membri vengono collettivamente designati come il “Collegio dei Sorveglianti” o anche i “Custodi”, corrispondenti agli “Illuminati” di cui sopra.
Nel testo inoltre sarebbero citate tutte le località dove erano diffusi gli Illuminati, specificando che sono “prima dell’acqua”, da intendersi: prima che venissero sommerse dall’innalzamento del livello marino seguito al termine dell’ultima glaciazione (circa 10-11.000 anni fa). Alcune località sono riportate nelle memorie: “l’isola di Galonia” nel Mediterraneo (la Galonia Leta dei romani), situata nel luogo di Malta, ma più grande di questa e un tempo persino unita alla Sicilia da una lunga lingua di terra emersa; la “altura nel basso corso del Nilo”, identificabile con la piana di Giza; il “golfo partico, quello antico”, intendendosi con ciò la valle che anticamente esisteva in luogo dell’attuale golfo Persico; il golfo di Cambay, nell’oceano Indiano, anch’esso un tempo terraferma; “la penisola di Kumari, con i suoi quarantanove territori”, identificabile con il continente perduto delle leggende tamil − Kumari Kandam − una lingua di terra unita all’estremità sud della penisola indiana e comprendente le isole Maldive e Sri Lanka; “il continente di Seille, prima della riduzione”, ovvero Ceylon (Sri Lanka) prima che il mare se ne prendesse una parte; “il continente Sondien”, identificabile con una vastissima regione un tempo emersa e unita alla penisola dell’Indocina, ma di cui oggi restano solo gli arcipelaghi dell’Indonesia e delle Filippine; “l’isola dei progenitori degli Jomon, prima dell’ascensione di Sosano”, che potrebbe corrispondere all’arcipelago delle Ryukyu (fra Taiwan, Okinawa e l’estremità meridionale del Giappone), in prossimità di un vastissimo territorio ora sommerso dalle acque del mar Giallo e del golfo di Corea; “il continente di Kambu o Colba” (identificabile con Cuba), “sito cinquanta giorni di navigazione a ponente dello scoglio di Calpe” (identificabile con Gibilterra); “l’arcipelago di Vacca, il cui nome è precedente a quello di Colba, unica terra rimasta” (pertanto identificabile con il vasto complesso di terre emerse esistenti un tempo nella regione caraibica, in particolare presso la penisola della Florida e le isole Bahamas).
Oltre all’elenco degli affiliati e alla descrizione delle località, il testo di Nusaybin conterrebbe anche le rappresentazioni cartografiche di talune regioni costiere riportate in differenti condizioni e periodi di tempo (sarebbe questa la fonte delle mappe incluse nei documenti originali di Rumor); riporterebbe inoltre una sorta di rappresentazione, metaforica e allusiva, degli eventi che si sarebbero abbattuti su quell’antica civiltà. A tali eventi si riferivano termini quali “caduta delle luci”, “accoppiamento”, “grande freddo”, “palo rotto”, “ritardo del sole sulla cima dell’adunanza” e “incursioni della stella sulle regioni del monte”; ciò era associato all’idea di una punizione che avrebbe colpito l’umanità per la colpa di avere « guastato gli animali; creato le vite che lo Spirito e l’ordine non avevano voluto; acceso le luci che non danno calore; violato il corpo della madre e misurato le sue estremità; separato il seme della terra; bruciato l’acqua marcia; contato le anime nei loro orizzonti e studiato i loro cammini per poterle sorprendere all’uscita dalla porta del cielo ». Altri brani, ricopiati e tradotti dallo stesso Paolo Rumor, dicono: «[…] prima dello spostamento del fuoco, quando il trapano non si era ancora scardinato; il leone era ancora sacrificato; gli angeli non si erano ribellati; l’acqua del mare obbediva all’abisso e non aveva iniziato a crescere. […] i forzatori del cielo erano arrivati di seguito al leone […] l’abisso e le onde di pietra avevano abbattuto gli uomini perché questi avevano profanato il corpo della madre misurando le sue estremità, saccheggiando le sue vene, rivelando i suoi segreti, accendendo luci che non danno calore, creando animali che lo Spirito non aveva voluto.» Si parlava poi di “Giganti” che, oltre ad essere responsabili delle colpe di cui sopra, avrebbero “spinto la ruota fuori del solco”, e in conseguenza di ciò “l’acqua contenuta nei suoi depositi si era riversata sulla terra”. Subito dopo i Giganti sarebbero arrivati i Sorveglianti. Il linguaggio è evidentemente mitico, ma il testo di Nusaybin preciserebbe espressamente trattarsi di rappresentazione allegorica di fatti reali.

Le tavolette di Giza

Un altro passaggio nel testo di Nusaybin affermerebbe: «I Sorveglianti sono divenuti Illuminati quando hanno posto le tre piattaforme rialzate sulla collina a fianco del fiume, nel luogo in cui l’alto e il basso si bilanciano, lungo la via d’acqua che serpeggia fra le canne, sul punto di maggiore intersezione della rete, scrivendo con la pietra gli avvertimenti da rispettare.» Le cosiddette “piattaforme” sarebbero state completate migliaia di anni dopo, secondo il progetto originario che vi era stato depositato, ma con alcuni orientamenti modificati in base a mutati riferimenti spaziali e stellari; ciò a causa di un evento geofisico a cui ci si riferisce con l’espressione di “scivolamento del manto”. Questo luogo, chiamato anche “l’altura”, non sarebbe altro che Giza.
Si è visto nel primo articolo che fra i documenti di Rumor vi sono degli schemi grafici (planimetrie e sezioni) che rappresentano un sistema di corridoi e ambienti sotterranei esteso a tutta l’area della Sfinge e delle piramidi di Giza. Questi schemi indicano anche il punto in cui nel 1872 sarebbero state rinvenute, da un spedizione privata, delle tavolette di gesso incise: un ambiente artificiale sotterraneo ubicato nel corridoio che collega la Sfinge (chiamata il “puntatore”) alla piramide di Khufu (chiamata la “prima piattaforma”), sotto la “pancia” della Sfinge stessa. Queste incisioni (in prevalenza costituite da segni grafici e geometrici a noi familiari, ma con simboli numerici differenti) sarebbero state interpretate grazie all’illustre archeologo Alexander Thom, insieme al testo di Nusaybin di cui si è già parlato, alcuni decenni dopo la loro scoperta. Vi sarebbe scritto che coloro i quali avevano realizzato le “piattaforme” e scavato il “puntatore”, lo avrebbero fatto affinché fosse trasmessa per sempre, «a chi possiede la “conoscenza” e ai ricercatori della “via”, il contenuto dell’avvertimento». Il cosiddetto “avvertimento” consisterebbe in una serie di schemi geometrico-matematici, di coordinate geografiche, di allineamenti con località e con corpi celesti (espressi a volte per mezzo di ignote unità di misura di spazio e tempo) correlati a fenomeni di natura geofisica: la rottura dell’equilibrio nella rotazione terrestre e lo scivolamento degli strati più superficiali rispetto a quelli più interni del pianeta. Il riferimento è, evidentemente, allo stesso tipo di disastrosi eventi descritti nel testo di Nusaybin: terremoti (chiamati “onde di roccia”) e “grandi piogge”, inondazioni, trasgressioni marine (“scalini d’acqua”) che avrebbero colpito la Terra in due periodi diversi, circa 8.000 anni fa e ancora prima 11.000 anni fa, “nell’età [precessionale] del Leone”. In seguito a ciò, il collegio dei Sorveglianti avrebbe operato per preservare la conoscenza della civiltà precedente a tali eventi, realizzando un cosiddetto “tabernacolo” dove custodire «“l’essenza spirituale” di coloro che avevano messo in movimento la nuova era». Una sorta di archivio, dunque, costituito appunto dalle tavolette rinvenute.

Consulenti della Struttura

La Struttura avrebbe incaricato numerosi e diversi specialisti allo scopo di studiare i rotoli di Nusaybin e le tavolette di Giza: Alexander Thom, come si è detto, sarebbe stato uno dei “consulenti” interpellati per la traduzione e l’interpretazione dei testi; altri sarebbero stati incaricati di comprendere e descrivere in termini scientifici i fenomeni geofisici a cui tali testi, aldilà del linguaggio figurato, si riferivano come a fatti reali.
Si tratta di nomi ben noti a chi abbia un minimo di familiarità con la saggistica “alternativa” a cui si è accennato all’inizio e che perciò sorprende trovare citati in un contesto, almeno in apparenza, del tutto estraneo. È il caso di Alexandre Lenoir (1761-1839); Waynman Dixon (1844-1930) e il fratello maggiore John; Hugh Auchincloss Brown (1879-1975); Alexander Thom (1894-1985); Marcel Griaule (1898-1956); Charles Hutchins Hapgood (1904-1982); Livio Catullo Stecchini (1913-1979); Adolf Erik Nordenskiöld (1832-1901); Arlington H. Mallery; James H. Campbell.
Alcuni sono nomi di archeologi, antropologi, storici, come Lenoir, i fratelli Dixon, Thom, Stecchini, Griaule. Lenoir, archeologo, raccoglitore e conservatore del patrimonio culturale, fu anche massone e convinto della discendenza della massoneria dall’antico Egitto; i fratelli Dixon, ingegneri ferroviari e archeologi dilettanti, sono noti per aver scoperto nel 1872 i cunicoli della Camera della Regina nella piramide di Khufu (e alcuni oggetti all’interno di essi); Thom è noto per le sue ricerche sulle civiltà megalitiche europee (la “yarda megalitica” è una sua scoperta, anche se non concordemente accettata); Stecchini, professore di storia antica, fu autore di ricerche sulla storia della scienza, della metrologia e della cartografia (formulò anche una controversa teoria numerologica sulla piramide di Khufu); Griaule (insieme a Germain Dieterlen), compì lunghi studi sulla cultura africana dei dogon grazie ai quali si rivelarono inspiegabili (anche se tuttora controverse) conoscenze astronomiche sul sistema triplo di Sirio.
Se la presenza in elenco di questi nomi è abbastanza singolare, lo è ancora di più per gli ultimi tre sopra citati, perché a ben vedere vi sono precise e significative relazioni che li legano reciprocamente. Cominciamo da Nordenskiöld: si tratta di uno studioso di cartografia antica il quale, esaminando approfonditamente i portolani medievali, giunse alla conclusione che tali mappe (molto − troppo − precise per l’epoca), dovevano avere un modello di riferimento prodotto in età antica, probabilmente dai navigatori fenici. Guarda caso, il cartografo citato e utilizzato da Claudio Tolomeo era un certo Marino di Tiro (città fenicia, appunto). A dire il vero Tolomeo è l’unico a citare questo cartografo che l’avrebbe preceduto, tant’è che ad alcuni è sorto il dubbio che Marino non sia una persona in carne ed ossa, ma rappresenti invece la tipologia di carte nautiche prodotte e utilizzate dai fenici, e forse ispirate a loro volta ad una cartografia ancora più antica, come Tolomeo fa esplicitamente capire descrivendo il lavoro di Marino. L’ipotesi che Marino non sia una persona reale sembrerebbe rafforzata dal fatto che “marinos” in greco significa “pesce di mare”.
C’è un passaggio delle memorie di Rumor che si collega direttamente a questo punto, e anzi diviene comprensibile solo grazie ad esso. Per descrivere le ubicazioni in cui si sarebbe sviluppata la civiltà antidiluviana, le memorie fanno riferimento ad un “prototipo del pesce di mare”, oscura espressione che potrebbe stare ad indicare proprio l’opera di Marino di Tiro, intesa nel senso precisato da Nordenskiöld, ossia come lo sconosciuto modello cartografico postulato all’origine dei portolani medievali. Le mappe incluse nei documenti consegnati a Giacomo Rumor potrebbero avere la stessa origine e far riferimento direttamente a tale “prototipo”; in ogni caso rappresentano senza ombra di dubbio, e con sostanziale precisione, la situazione del golfo Persico, del Mediterraneo e delle Antille prima che il livello del mare cominciasse ad alzarsi per effetto dello scioglimento delle calotte glaciali.
Tornando all’elenco dei nominativi nelle memorie, consideriamo ora Hapgood. Il collegamento con Nordenskiöld è evidente: in Maps of the ancient sea kings del 1966 Hapgood si riallaccia direttamente agli studi di Nordenskiöld e avanza l’ipotesi dell’esistenza di un’antica e sconosciuta civiltà che avrebbe mappato l’intero pianeta e prodotto una cartografia le cui tracce si sarebbero viste poi, appunto, nelle carte fenicie, nei portolani medievali e in altre sconcertanti mappe del sec. XV-XVI, di tipo diverso dai portolani, recanti informazioni anomale, come la celebre mappa di Piri Re’is. Questa in particolare fu fatta oggetto di un attento studio da parte di Hapgood; ma il primo a segnalare, nel 1956, le anomalie contenute in tale mappa fu Mallery, un altro nome del nostro elenco: dopo una carriera nella marina militare, Mallery si era dedicato allo studio della cartografia antica (in particolare le mappe vichinghe del Nord America e della Groenlandia); interpellato per esaminare la mappa di Piri Re’is, giudicò che la parte più meridionale della mappa rappresentasse le coste dell’Antartide prive della coltre glaciale che oggi le ricopre.
Nordenskiöld-Hapgood-Mallery costituiscono un terzetto contraddistinto dagli studi di cartografia antica; un altro terzetto, contraddistinto dagli studi di geofisica, è costituito da Brown-Hapgood-Campbell, con Hapgood a far da cerniera fra le due tematiche. Infatti, l’altra parte fondamentale della ricerca di Hapgood fu indirizzata a dimostrare la validità della teoria degli slittamenti della crosta terrestre, un evento che sarebbe causato dalla distribuzione asimmetrica delle masse del pianeta (in particolare i ghiacci polari) e che avrebbe castastrofiche conseguenze a livello globale (cfr. Earth’s shifting crust, 1958). In verità Hapgood non fu il primo a proporre questa teoria: il primo fu Brown nel 1948. Quanto a Campbell, fu amico di Hapgood e suo collaboratore nello sviluppo e nella verifica analitica del modello geofisico alla base della teoria.
Secondo la documentazione di Rumor, Hapgood avrebbe ricevuto la traduzione delle tavolette di Giza e da ciò ricavato alcuni spunti per l’elaborazione e lo sviluppo della sua teoria degli slittamenti della crosta terrestre. Ora, si deve ammettere che tale teoria (aldilà della sua validità, molto controversa) sia assolutamente pertinente nel contesto del materiale di Rumor e capace di fornire significato ad asserzioni che resterebbero altrimenti incomprensibili.

L’altra Europa e Il segreto di Giza

Che l’edificazione della Sfinge e delle tre piramidi di Giza fosse anche la codifica di un avvertimento affinché i posteri potessero comprendere gli eventi accaduti, è esattamente una delle conclusioni del mio libro Il segreto di Giza (Newton & Compton, 2003).
La chiave per la decodifica del progetto di Giza e per la rivelazione del suo messaggio sarebbe nella combinazione di due pre-esistenti teorie: quella di Bauval sulla correlazione stellare Giza-Orione (integrata con nuovi elementi e contributi originali), e quella di Hapgood sugli slittamenti della crosta terrestre. Ne risulterebbe una sorta di “disegno planetario” in cui l’ubicazione di numerosi antichi siti in tutto il mondo acquista un preciso significato geodetico alla luce dei precedenti assetti della Terra; la stessa diffusione di determinati toponimi il cui significato rimanda a concetti astronomici, come “Meru” (la montagna sacra degli induisti, simbolo dell’asse polare), sembrerebbe ricollegarsi alle linee di scorrimento della crosta terrestre in occasione degli eventi presumibilmente accaduti più volte in passato e descritti dalla teoria di Hapgood.
È stato per me sconcertante ritrovare nelle memorie di Rumor proprio alcuni di questi concetti che io ritenevo inediti, come nel seguente passaggio: «[…] vi sarebbe stata in India, in epoca [remota, …] una struttura gemella con rapporti reciproci, poi estinta o riassorbita dalla prima. Essa è data per ubicata nell’antica valle dell’Indo, in una zona chiamata “Mero” […] che veniva tenuta in considerazione […] quale incrocio significativo di due linee della Terra identificate in epoca molto antica, corrispondente a quelle in cui erano avvenuti gli sconvolgimenti climatici […] assieme alla cosiddetta “caduta degli angeli”, al “sobbalzo” della terra e allo “spostamento o rottura del palo (asse, colonna)”.» Nel mio libro si esprime sostanzialmente lo stesso concetto e si evidenzia il dato di fatto della grande concentrazione di toponimi “Meru” nel territorio dell’attuale Pakistan. Un altro elemento di sorprendente affinità fra le memorie di Rumor e il mio libro si ravvisa nell’interpretazione fornita al mito della “caduta degli angeli”, presente in molte tradizioni fra cui naturalmente quella ebraica: un’interpretazione in chiave astronomica, come appare chiaro dai passaggi nei documenti di Rumor in cui si accenna alla registrazione del «movimento di discesa degli “angeli” cattivi e la corrispondente ascesa di quelli “buoni”». Ciò, detto nel consueto linguaggio figurato e allusivo, sarebbe conseguenza di una “colpa”; ma che non si tratti solo di un racconto mitologico lo si capisce dalla descrizione della Terra come formata da un “asse o pilastro” unita a una “struttura armillare” e circondata da un “vortice”: tutte espressioni che per De Santillana (cfr. Il mulino di Amleto) sono da intendersi come rappresentazione della Terra nello spazio, con particolare riferimento al movimento precessionale. In altri termini, gli “angeli” non sarebbero altro che le stelle, le “incursioni della stella sulle regioni del monte” significherebbero l’ingresso di una stella nelle regioni celesti più settentrionali, per effetto del ciclo precessionale; e la “caduta”, al contrario, non solo significherebbe la discesa nelle regioni celesti più meridionali (sempre per effetto del ciclo precessionale), ma alluderebbe anche alla discesa di un astro sotto l’orizzonte in conseguenza di uno slittamento della crosta terrestre.

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In cerca di conferme

Tirando le fila di quanto detto nei due articoli dedicati a L’altra Europa di Paolo Rumor, non si può nascondere che la credibilità delle informazioni ivi contenute si fondi quasi esclusivamente sull’autorevolezza e rispettabilità delle persone coinvolte; molto poco, purtroppo, su riscontri concreti. Ciò è spiegabile, si potrebbe dire, con la natura segreta della Struttura; ma, naturalmente, la ricerca non può accontentarsi di questo. Pertanto vorrei concludere riportando quegli elementi oggettivi che possono contribuire ad avvalorare i contenuti del libro; pochi elementi, per ora, ma forse abbastanza significativi.
Innanzitutto c’è da dire che il richiamo a cataclismi naturali, abbattutisi sulla Terra nel periodo terminale dell’ultima era glaciale, trova oggi precisi riscontri scientifici: non solo la riduzione delle terre emerse per effetto dell’innalzamento del livello del mare, come descritta nei documenti e nelle mappe di Rumor, è sostanzialmente corretta; sembrerebbe, altresì, di poter confermare che siano effettivamente accaduti, nello stesso periodo, eventi di natura astronomica e geofisica con disastrose conseguenze globali. Nel 2006, al meeting dell’American Geophysical Union ad Acapulco, un gruppo di ricercatori americani ha presentato una teoria secondo cui una cometa sarebbe caduta sulla calotta glaciale che ricopriva il Nord America, 12.900 anni fa, causando devastanti inondazioni ed estinzioni di massa; altri studiosi, primo fra i quali l’americano Paul LaViolette, ritengono che la Terra sia stata colpita dagli effetti di una potentissima esplosione del nucleo galattico, circa nello stesso periodo (cfr. Earth Under Fire – Il codice dell’Apocalisse, 2006, Nexus Edizioni Srl); inoltre, anche la stessa possibilità di un riorientamento degli strati più esterni della Terra rispetto all’asse di rotazione sembra trovare conferma (benché non dell’ampiezza ipotizzata Hapgood).
Che nelle terre, un tempo emerse e poi cancellate dall’innalzamento del livello marino, possano trovarsi vestigia di civiltà evolute è una possibilità concreta, avvalorata da recenti ritrovamenti di estese rovine sommerse, ancora oggetto di studio, proprio in alcune delle ubicazioni che le memorie citano: uno è il tratto di mare che separa la penisola indiana da Sri Lanka; un altro, ancora in India, è nel Golfo di Cambay (cfr. Graham Hancock, Civiltà sommerse, 2002, Corbaccio). Ma vale la pena ricordare anche le presunte strutture sommerse di Yonaguni nel mar della Cina, e la presunta città sommersa al largo di Cuba: benché i dati siano ancora molto controversi, è suggestivo il fatto che si tratti anche in questi casi di ubicazioni citate nelle memorie.
Per concludere il riscontro più impressionante, che riguarda il luogo del ritrovamento delle tavolette di gesso, nei pressi della Sfinge. Secondo i documenti di Rumor questo luogo sarebbe «[…] situato nel “PR” (termine testuale non abbreviato) ubicato sotto [la Sfinge], in un ambiente artificiale semiallagato, con degli incavi laterali, al cui centro è ricavato un rialzo su cui giacciono delle colonne cadute». Ora, questa descrizione richiama innegabilmente quella del cosiddetto “pozzo di Osiride” scoperto da Zahi Hawass nel 1999. Dopo aver drenato l’acqua che riempiva quasi completamente il pozzo, Hawass descrive un vano con al centro un grande sarcofago su un basamento tagliato nella roccia e i resti di quattro colonne agli angoli; secondo uno schema simile all’Osireion di Seti I ad Abydos, il canale d’acqua che circonda questa sorta di isola ed è interrotto in corrispondenza dell’ingresso alla camera prende così la forma della parola geroglifica “pr” (pronuncia “pir”), che significa “casa” e che Hawass riferisce all’epiteto “pr wsir nb rstaw” (“casa di Osiride, signore di Rastaw”) attribuito alla piana di Giza. Significativamente, Rastaw (il nome di Giza per gli egizi) era espressamente riferito all’idea di cunicoli sotterranei. Hawass non nega la possibilità che nel sottosuolo della piana di Giza vi sia un’estesa rete di passaggi, come è rappresentato nelle mappe di Rumor; peraltro lo stesso archeologo ha parzialmente esplorato un cunicolo che parte dal vano del sarcofago e procede per lungo tratto in direzione della piramide di Khufu.
A parte la discrepanza nell’ubicazione (il vano descritto nelle memorie sarebbe sotto la Sfinge, mentre il pozzo di Osiride si trova circa a metà strada fra la Sfinge e la piramide di Khafre), le somiglianze nelle due descrizioni insieme alla straordinaria coincidenza che in entrambe sia espressamente evidenziata la parola “pr”, sono meritevoli di attenta considerazione, e segnano a mio avviso un punto favore della credibilità di tutto il materiale raccolto da Paolo Rumor in L’altra Europa.  Note: 1. Cfr L.L.A. Veermersen, A. Fournier, R. Sabadini, Changes in rotation induced by Pleistocene ice masses with stratified analytical Earth models, Journal of Geophysical Research vol. 102, 1997. 2. Cfr http://www.drhawass.com/blog/mysterious-osiris-shaft-giza e intervista a Hera del 25/03/2001 riportata nell’audiovisivo La via di Horus. L’autore: Loris Bagnara è nato nel 1964; architetto, vive a Faenza con la compagna e i due figli. Il suo interesse è rivolto alla ricerca dei segni lasciati da antiche ignote civiltà, segni presenti nell’archeoastronomia, in molti siti archeologici, in numerosi miti tramandatici, e perfino in alcune unità di misura ancora oggi in uso. Le sue prime ricerche sono sfociate nel libro Il segreto di Giza (Newton&Compton, 2003); recentemente ha presentato sul sito http://ilmodellocelestedigiza.wordpress.com una nuova lettura, sempre in chiave archeoastronomica, del sito di Giza. Ha collaborato alla pubblicazione del libro L’altra Europa (Hobby&Work, 2010) di Paolo Rumor, con il contributo di Giorgio Galli: un libro che getta nuova luce sul retroscena della storia europea del XX secolo, in un intreccio fra esoterismo e politica che finisce per spingersi ben più addietro nel tempo ed evocare la inquietante presenza di una “struttura” che agirebbe nell’ombra governando le sorti dell’umanità. È iscritto alla Società Teosofica e ne condivide fermamente i principi di libertà di pensiero, di tolleranza, di ricerca della conoscenza e della verità.

di Loris Bagnara

Tratto da Nexus New Times nr.95

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