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Le ragioni della crisi nella penisola coreana

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Cresce la tensione nella penisola coreana. Pyongyang ha deciso di chiudere il complesso industriale di Kaesong, un’area industriale mista con la Corea del Sud, e ha suggerito che le ambasciate straniere siano evacuate dalla Repubblica popolare democratica di Corea per motivi di sicurezza.  Più significativa, in questa serie di passi, è stata la decisione del Plenum del Comitato Centrale del Partito dei Lavoratori della Corea, svoltosi nel marzo 2013, riguardo la conferma giuridica dello status di potenza nucleare della Corea democratica e la decisione della Suprema Assemblea Popolare della Corea democratica “di rafforzare ulteriormente lo status di Paese in possesso di armi nucleari a fini di auto-difesa”. La maggior parte dei media, mentre dipinge un quadro vivido della militanza della Corea democratica, non cerca di capire le ragioni per cui il conflitto sul suolo coreano, oggi, abbia un’escalation così drammatica. Quando ci provano, di solito accusano Pyongyang di essere la causa di tutti i mali, sottolineando che dopo il terzo test nucleare della Corea democratica, si è attivato l’“incubo”. Di conseguenza, sorge la pressante necessità di esaminare le reali cause alla base di ciò che viene comunemente indicato come il “problema coreano”.
In breve, la causa iniziale è il nodo irrisolto della Guerra di Corea (1950-1953). Quest’anno è il 60.mo anniversario della fine della guerra e un accordo di pace tra i suoi protagonisti non è ancora stato firmato, vi è solo un accordo di armistizio (possibilmente solo sulla carta in questi giorni), quindi solo una temporanea cessazione delle ostilità, in altre parole. Ancora più importante, non vi sono relazioni diplomatiche tra le principali parti in conflitto, gli Stati Uniti e la Corea democratica.
La natura anomala di una situazione come questa appare ovvia. Pyongyang ha più volte suggerito che questo sorprendente anacronismo della guerra fredda venisse rimosso, ma invano: Washington si rifiuta ostinatamente sia di normalizzare le relazioni intergovernative sia di sostituire l’accordo di armistizio con un documento fondamentale che stabilisca una pace duratura nella penisola. In effetti, gli Stati Uniti dimostrano di avere “intenzioni ostili”, come vengono definite a Pyongyang; non a parole, ma con i fatti, una convivenza pacifica con la Repubblica Popolare Democratica di Corea non figura nei piani statunitensi. Piuttosto, cercano di eliminarla. Questo è il motivo per cui vi è un predeterminato stato di conflitto permanente nella penisola coreana, uno sviluppo ciclico della situazione di crisi acutizzata dalla relativa “remissione” e viceversa. Le azioni dell’occidente riguardo la Corea democratica appaiono come viziate dal comma-22. Gli appelli a sospendere il programma nucleare, evitando così la violazione dei principi del regime di non proliferazione delle armi di distruzione di massa, sono spesso utilizzati per coprire la realizzazione di un programma segreto: il cambiamento di regime nella Corea democratica…
Di conseguenza, nei casi in cui Pyongyang sceglie il modello contrattuale delle relazioni con la comunità internazionale ed è pronta ad accettare compromessi reciproci riguardanti le  preoccupazioni (sulla non-proliferazione), l’occidente non vede ciò come una decisione indipendente dei nordcoreani, ma come una dimostrazione di debolezza, un trionfo della sua politica di pressioni. Seguendo tale logica, Washington e i suoi alleati sono non hanno fretta di valutare le misure prese da Pyongyang in base al merito, utilizzandole ai fini di una cooperazione costruttiva e di un modo per far avanzare la soluzione della questione nucleare nella penisola coreana, ma piuttosto per agire completamente all’opposto. Sulla base della falsa idea che la Corea democratica abbia cominciato a fare concessioni sotto pressioni esterne, l’occidente ritiene necessario aumentare queste pressioni al fine di mettere alle strette il suo avversario. E ogni volta questa politica duplice, fallisce. Convinta dalle vere intenzioni dei suoi partner, Pyongyang, con l’intenzione di collaborare, ma in nessun modo di capitolare, smette di giocare al gioco altrui e si adopera per rafforzare la sua capacità di difesa nazionale. Di conseguenza, invece delle ulteriori concessioni, che ci si aspettava e del crollo tanto atteso della Corea democratica, l’occidente riceve in risposta nuovi test missilistici e nucleari.
La cronologia della crisi attuale è ben nota. Il lancio riuscito di un satellite nordcoreano del 12 dicembre 2012. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sceglie la forma più dura di risposta, sotto forma della risoluzione 2087 (22.01.2013), al contrario di un’occasione simile nell’aprile 2012, quando il Consiglio di Sicurezza si limitò a una dichiarazione del suo presidente. La Corea democratica, fortemente in disaccordo con tale decisione, così come con la logica statunitense, secondo cui “i suoi lanci non riguardano i satelliti, ma missili balistici a lungo raggio”, annunciava che “i colloqui a sei e la dichiarazione congiunta del 19 settembre non esistono più”. Come “segno di protesta”, Pyongyang ha effettuato il suo terzo test nucleare il 12 febbraio 2013, dopo aver sottolineato, in una dichiarazione del Ministero degli Esteri, che ci sono stati “più di 2.000 test nucleari e 9.000 lanci di satelliti” nel mondo, “ma il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non ha mai approvato una risoluzione che vieta i test nucleari o i lanci di satelliti”. In risposta, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la Risoluzione 2094, il 7 marzo 2013, imponendo le sanzioni più severe che la Corea democratica abbia mai subito negli ultimi decenni.
Qual è stato il motivo per il rapido peggioramento del confronto nel 2013? Ci sono molte ragioni.  Tra le principali, gli avversari di Pyongyang di solito citano i seguenti: le palesi inesperienza, immaturità e avventurismo del giovane leader della Corea democratica, il desiderio d’intimidire Seoul, costringendola a credere che le armi nucleari vengono schierate, la Corea democratica ha drasticamente alterato l’equilibrio militare nella penisola a suo favore, ottenendo l’immunità dalle azioni del Sud, ed è ora in grado d’intimidire e di effettuare impunemente “provocazioni militari” contro la Repubblica di Corea. Tali atteggiamenti sono ormai diffusi e di conseguenza sono supportati dall’opinione pubblica sudcoreana. Nella comunità politica e tra gli esperti degli USA, sono aumentate notevolmente le richieste per impegnarsi in un cambiamento immediato e decisivo della politica in favore dell’adozione di misure volte a forzare il cambio di regime nella Corea democratica, aumentando drammaticamente la pressione esterna, così come l’isolamento e l’incoraggiamento dell’opposizione interna. A livello ufficiale, l’idea di colpire il livello di vita della popolazione della Corea democratica, tra le altre cose, è stato discusso apertamente. I sostenitori di questo tipo di azioni preferiscono non notare che i test nucleari della Corea democratica, a cavallo del 2012-2013, sono stati in larga misura una risposta alla riluttanza dell’occidente ad aprire un dialogo costruttivo con Pyongyang.
Ricorderete che, dopo che la Corea democratica aveva annunciato il suo ritiro dai colloqui a sei, nell’aprile 2009, i cinque membri rimanenti avevano dichiarato che trovare un modo per convincere Pyongyang a tornare ai colloqui era una priorità. Ed ecco, quando questo obiettivo è stato quasi raggiunto, in gran parte grazie agli sforzi diplomatici di Russia e Cina, e quando il governo della Corea democratica, nel 2011-2012, ha ripetutamente annunciato di essere disposto a continuare il suo coinvolgimento nel processo diplomatico a sei, Washington, Tokyo e Seoul, in contrasto con le loro stesse dichiarazioni, iniziarono ad avanzare pretesti e sostanzialmente fecero del loro meglio per ritardare la ripresa dei negoziati il più a lungo possibile. Così facendo, ancora una volta rivelarono i loro veri scopi: estendere la politica della “pazienza strategica”, che molti esperti statunitensi definiscono una variazione della “strategia del contenimento” della Corea democratica, in modo da aumentarne l’isolamento con il fine ultimo del cambio di regime. Avendo perfettamente compreso ciò dei suoi avversari, e tenendo conto, sugli esempi di Libia e Siria, della crescente inclinazione dell’occidente a usare la forza militare per rovesciare i regimi indesiderati, Pyongyang si considera libera nella scelta dei mezzi e ha adottato le misure necessarie per rafforzare la sua capacità di difesa nazionale. Ciò non è l’unico motivo che spinge Pyongyang a prendere tali misure, naturalmente. E’ più che probabile che il desiderio del governo nordcoreano di compensare la sgradevole amarezza che nasce nella società, dopo il fallito lancio del satellite del 13 aprile, e la realtà della corsa allo spazio tra Corea del Nord e Corea del Sud vi gioca anche la sua parte. Inviando il suo primo satellite in orbita, come programmato, il 12 dicembre 2012, la Corea democratica ha vinto la corsa allo spazio. Ciò è stato preso piuttosto male al Sud, realizzando il riuscito lancio del proprio satellite un mese e mezzo dopo.
Nel frattempo, queste azioni trascinano verso un conflitto mettendo ormai la penisola coreana sull’orlo della guerra. Al fine di evitare ulteriormente il deterioramento della situazione, tutte le parti interessate devono avere autocontrollo, prima di tutto, e avere la massima concentrazione nella ricerca dei modi per riprendere i contatti politici.

Aleksandr Vorontsov, Strategic Culture Foundation, 12.04.2013

La ripubblicazione è gradita in riferimento alla rivista on-line della Strategic Culture Foundation.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

Fonte: aurorasito.wordpress.com

di Aleksandr Vorontsov – 6 maggio 2013.

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