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L’Fbi già conosceva gli “attentatori” di Boston

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Mentre al mondo intero è stato chiesto di “dare la caccia e segnalare la presenza dei due sospettati ovunque si trovassero”, l’FBI sapeva benissimo chi fossero e dove abitassero, da almeno 5 anni. Lo ha rivelato la madre, che vive nella repubblica russa del Dagestan, in questa intervista telefonica alla BBC (Qui l’intervista completa):

Ci sono diversi modi per coltivare un patsy e poi manovrarlo fino a fargli compiere le azioni che servono a te, e che a lui finiranno per costare la vita (oppure l’ergastolo) . Il patsy infatti è il classico capro espiatorio al quale verrà data la colpa per un crimine che non avrà commesso, in modo da coprire e proteggere i veri responsabili di quel crimine.

Il più famoso patsy della storia è senza dubbio Lee Harvey Oswald. Agente CIA sotto copertura, venne coinvolto nell’omicidio Kennedy con una falsa motivazione, in modo che venisse a trovarsi nel Book Depository di Dealey Plaza il mattino del 22 novembre 1963. Quando poi andò all’appuntamento previsto, un’ora dopo, in un cinema vicino a casa sua, scoprì che era proprio lui il ricercato per l’omicidio Kennedy. Oswald non fece mai in tempo a raccontare la sua versione dei fatti, perchè 48 ore dopo fu messo a tacere per sempre da Jack Ruby. Nel frattempo però era riuscito a pronunciare la frase che avrebbe reso famoso il termine da lui usato: “I didn’t kill anyone, I’m just a patsy”. Non ho ucciso nessuno, sono soltanto un capro espiatorio.

La tradizione del patsy è continuata, nel corso degli anni, passando dai Timothy McVeigh agli Zacharias Massaoui, dai ragazzi pakistani di Londra al Ramzi Yousef della bomba del ’93 al World Trade Center. In tutti i casi è risultato a posteriori un collegamento decisamente ambiguo con l’FBI (o con altre agenzie simili), che naturalmente gli investigatori non hanno mai ritenuto necessario esplorare fino in fondo.

Oggi è toccato a due ragazzi di origine cecena, Tamerlan e Dzhokhar Tsarnaev, da tempo “osservati speciali” dell’FBI.

In un’altra intervista, la madre ha anche raccontato che Tamerlan l’aveva chiamata, il mattino prima di venire ucciso, dicendole: “L’FBI mi ha cercato al telefono. Mi hanno detto che sono sospettato per gli attentati di Boston, e mi hanno chiesto di presentarmi da loro. Gli ho risposto che se vogliono parlarmi sanno benissimo dove trovarmi.”

Ma invece di andare semplicemente a trovarlo – cosa che non avrebbero potuto fare, senza rivelare la loro trama – hanno dovuto coinvolgerlo in qualche modo nella sparatoria che è costata la vita al poliziotto del MIT. Solo così hanno potuto “imbattersi” ufficialmente nei due ragazzi, dando inizio all’ultimo atto della messinscena.

Pensate che coincidenza: anche Oswald è stato “trovato” casualmente mentre la polizia di Dallas cercava l’assassino del poliziotto Tippitt, che era stato ucciso nelle vicinanze del cinema, un’ora dopo la morte di Kennedy.

I paralleli con i “casi storici”dei patsy sono talmente tanti che torneremo sull’argomento con un articolo apposito. Nello stesso articolo analizzeremo anche a fondo i fatti di Boston, ed in particolar modo la “procedura” mediatica con la quale è stato sufficiente mandare in onda la fotografia di un paio di ragazzi con zainetto e cappellino per trasformarli automaticamente negli attentatori sanguinari, senza che nessun giornalista si sia posto nemmeno la più semplice delle domande: ma le provi quali sarebbero?

Massimo Mazzucco

Fonte: luogocomune.net

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