Civiltà e stregoneria
L’impostura monetaria
di Carmelo R, Viola
In principio fu lo stregone. L’uomo nasce con la paura. Assieme al latte materno il neonato chiede coccole per essere rassicurato contro la paura. Ovviamente lo chiede l’inconscio – ovvero l’intelligenza inconscia – che c’è anche in una pianta e che è il fondo del nostro io. Più alto è il livello intellettivo, più grande è la paura e più urgente è il bisogno di rassicuranza. Poiché l’uomo è nato animale, è possibile che ai primordi il cucciolo fosse affettivamente meno o per nulla esigente. Ma poi ancora l’inconscio, che è anche il battistrada della persona, è andato sempre più percependo le fonti della paura: l’altro da sé (il mondo esterno e circostante: l’ambiente), il diverso, la malattia, la morte e il dopo (l’aldilà). Tali fonti non hanno mai cessato d’incutere paura, fino a spiegare la xenofobia, l’omofobia, l’odio razziale ed altri tristi fenomeni da paura inconscia e da incultura. Non sappiamo quanti millenni siano passati prima di potercene dare una spiegazione scientifica. Sappiamo che, almeno inizialmente, assieme alla paura sono sorti e cresciuti anche alcuni suoi antidoti o auto-illusioni. Uno di questo è certamente quello di credere di saperne più degli altri (pur sapendo, furbescamente, che non è vero). Nasce così quella figura di impostore primordiale che ha avuto varie denominazioni (anche in dipendenza dalla varietà linguistica) ma che noi preferiamo indicare con il termine convenzionale di stregone.
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Lo stregone era uno che si rassicurava (in parte) rassicurando gli altri: quelli che credevano in lui in un rapporto di reciproca complicità. Sono così nate le religioni, dapprima fluide (religiosità), poi sempre più sistematiche fino alle istituzionalizzazioni o religioni propriamente dette, che costituivano comunque tutto lo scibile di una gente. Lo stregone era quello che doveva sapere tutto ciò che c’era da sapere (e magari di più). Lo stregone – divenuto sacerdote – doveva provare piacere a dominare i suoi simili, che dovevano, a loro volta, provare altrettanto piacere nell’esserne dominati. E’ nata così la versione religiosa del rapporto naturale dominio-soggezione. Poi è venuto il concetto di autorità come “investitura magica”, quindi come autocrazia fino al moderno potere politico. Si può essere atei ma non si può non riconoscere nelle religioni la matrice paleologica della civiltà.
Dalle religioni si sono via via distaccate le filosofie come elaborazioni razionali di verità religiose fino alla formulazione del pensiero critico, al libero pensiero e alle scienze. A questo punto di stregoni avrebbe dovuto esserci solo il ricordo storico ma la paura non è scomparsa o meglio la conoscenza non si è diffusa abbastanza per dare a quella risposte diverse dalle religioni. Le religioni sono vive più che mai. Perciò, lo stregone è sopravvissuto fino ai nostri giorni: quello cattolico mi fa pensare ad un virus divenuto resistente a tutti gli antibiotici. Perciò ce lo ritroviamo fra i piedi con le sue tre caratteristiche epidemiche: l’invadenza (la catechizzazione infantile è l’invasione preventiva della coscienza o la cattura precauzionale della ragione); l’ingerenza (vedi confessione e somministrazione dei sacramenti per controllare la vita, familiare, privata e sessuale dei dominati: l’ingerenza negli affari politici e civili dell’Italia è favorita dai famigerati Patti del Laterano); l’imposizione o etero-coazione (vedi pressione sul potere legislativo perché imponga divieti e doveri anche a chi non è tenuto ad obbedire al papa). Anche gli spazi vengono occupati con processioni, e l’aria viene pervasa dal rumore liturgico delle campane.
Tra gli stregoni universalmente conosciuti abbiamo Mosè e Maometto, che d’Holbach mette assieme a Gesù, in un testo da me tradotto dal francese, e definisce senza esitazione impostori. Con questa parola voleva indicare uomini particolarmente evoluti che, anche per dettare norme di igiene, si vedevano costretti a farlo nel nome di Dio per essere creduti. Maometto volle lasciare un codice di vita quotidiana: i suoi seguaci ne hanno fatto una legge divina!
La figura dello stregone si è estesa in altri due àmbiti civili. Quello sanitario è in declino. Una terza categoria emergente da almeno un secolo e sempre più autorevole è quella dei cosiddetti economisti. Oggi tutto dipende da costoro, perfino le guerre che gli USA conducono, con le menzogne più grossolane, contro gli Stati-canaglia (cioè non succubi al loro dominio). Infatti per gli USA la guerra è un’industria nazionale. L’economia è diventata la scienza delle scienze, quasi una religione essa stessa con una teologia tutta da scoprire, e l’economista incute sempre maggiore rispetto, specie se è alla guida di un governo o di un istituto, che fa credito agli Stati. L’economista, è ormai il deus ex machina del quotidiano e della storia.
Il fatto paradossale è che la scienza degli economisti non ci dice come risolvere i problemi ma giustifica e legittima tutto ciò che lo Stato non risolve. Gli economisti assolvono lo Stato – questo Stato – il quale sarebbe impotente davanti a difficoltà di carattere economico. L’economia degli stregoni somiglia sempre più ad una meteorologia o meglio ad un clima perennemente inclemente da cui lo Stato – questo Stato – non sa più come difendersi. E con i suoi dati e numeri è sempre meno accessibile all’uomo della strada. Il che rafforza l’alone di magico mistero che circonda l’immagine dell’economista. Si pensi ad un Tremonti, il cui discorso ha il sapore di un oracolo: che cosa ne comprende l’uomo della strada? I disoccupati, i precari e i senza pensione – insomma gli abbandonati dallo Stato – si diranno scontenti ma non sapranno spiegarsi la ragione del loro stato.
Tutti gli Stati in cura dei suddetti stregoni-meteorologi, godono pessima salute. Essi accusano almeno tre ordini di patologie molto gravi: a) gli esclusi dal lavoro, da un’occupazione fissa, dalla pensione, b) la corruzione diffusa con esiti delinquenziali; c) le mafie. Gli stregoni-medici dello Stato fingono d’ignorare che quelle patologie sono conseguenze naturali della mancata soluzione dei problemi di base della convivenza. Ognuno di tali Stati è come condannato a vita a rincorrere delle soluzioni impossibili.
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La materia prima, manipolata dagli stregoni come i conigli del cilindro dell’illusionista, è la moneta che tutti conoscono ma non nel modo giusto. Nel nostro caso non importa sapere come sia nata, importa sapere che cosa è diventata una volta svincolata da un qualunque valore convenzionale (come il sale o l’oro):uno strumento di scambio (di beni e servizi) e di distribuzione (di potere d’acquisto). Lo Stato ne ha bisogno per fare funzionare la propria macchina. Semplice – direbbe qualcuno, ma solo se la moneta in uso fosse davvero uno strumento, cioè una moneta passiva, da potere produrre secondo il fabbisogno come tutti gli strumenti e se non ci fosse la resistenza di chi sta bene (anche fin troppo) grazie a “questo” Stato.
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Qual è il significato reale dell’economia fuori dall’accezione imposta dagli stregoni? La parola deriva dal greco e significa più o meno: “amministrazione della casa” (è sottinteso giusta). Amministrare una casa significa fare in modo che ogni suo abitante ne tragga il maggiore conforto possibile. Per estensione si riferisce anche ad una comunità ed allo Stato. In questo àmbito presuppone uno Stato giusto, come un buon padre di famiglia, che fa in modo che tutti i suoi cittadini – nessuno escluso – possano trarre il maggiore benessere possibile sulla scorta delle riserve e del lavoro comune. A tale Stato serve la moneta passiva (strumentale) secondo il fabbisogno esattamente come un motore ha bisogno di tanto carburante quanto ne consuma per il tempo richiesto per le sue prestazioni. Pensiamo ad un mezzo di locomozione pubblica, che debba percorrere, avanti-indietro, il tratto Roma-Milano. Se il carburante non basta, non può trasportare la gente da un punto all’altro. Lo Stato è come un motore, che deve realizzare un complesso di funzioni. Il suo carburante si chiama appunto moneta.
Fino a non molto tempo fa lo Stato coniava la propria moneta e sarebbe stato in grado di fare il buon padre di famiglia ma le condizioni culturali erano ancora tanto insufficienti quanto forte era (come è) la resistenza dei benestanti, cui fa comodo, paradossalmente, uno Stato-cattivo padre di famiglia, che privilegia chi già sta bene mentre abbandona a sé stessi tutti gli altri. Ricordo una battuta, magari innocente ma molto significativa di Prodi rivolta ai senza lavoro: “inventatevi qualcosa!” Quanti s’inventano modi per rubare, per commerciare droga o per fare gli invalidi? O per lavorare alle dipendenze di una mafia? Si può dare loro torto? Questo è lo Stato borghese, erede naturale della giungla. E quindi il miracolo (dello Stato- amorevole padre di famiglia), che miracolo non è, non è avvenuto.
Fino a non molto tempo fa lo Stato coniava la propria moneta e sarebbe stato in grado di fare il buon padre di famiglia. Poi il compito di coniare moneta è andato a vere e proprie botteghe di moneta (o monetifici), che prestano la moneta ad usura e con garanzie certe. Così se la procura il nostro Stato. La quantità di moneta presa in prestito non è mai sufficiente e mai i problemi di base vengono risolti. Se, allo scadere del termine pattuito, lo Stato non è grado di dimostrare di possedere tanta liquidità quanta ne è richiesta per estinguere il debito (pubblico), non solo non può rinnovare il debito stesso (accendere un debito per coprirne uno di pari ampiezza!!!) ma paga gli interessi sugli interessi. E’ la bancarotta. E’ il caso della Grecia, cui la Banca Centrale Europea (BCE) e il Fondo Monetario Internazionale (FMI) – per venirle incontro! – hanno imposto l’austerity, cioè una “camicia di forza” ovvero condizioni categoriche per essere soccorsa, aumentando il debito pubblico e le proprie difficoltà di gestione. Naturalmente, le condizioni imposte sono sempre nel senso liberista ovvero della conservazione dello Stato borghese.
Ogni anno è un dramma tragicomico l’elaborazione della cosiddetta legge finanziaria, ovvero del consuntivo e del preventivo, il quale ultimo prevede la totale cosiddetta “copertura finanziaria” di tutte le spese preventivate. E’ consentita l’approssimazione per difetto di qualche punto percentuale rispetto al prodotto interno lordo (PIL), il che fa procedere lo Stato sul filo del coltello. Quando il ridicolo recupero fiscale non basta lo Stato taglia le spese sociali più a rischio come quelle relative alla scuola ed alla sanità o vende dei beni demaniali (pezzi di Stato: spiagge, boschi, monumenti ed altro) o affida a privati qualche altro servizio (privatizzazioni secondo il piano del liberismo). E’ quanto è stato imposto alla Grecia, la quale deve nel contempo far fronte alle legittime rimostranze di piazza dei cittadini malconci e beffati. Noi assistiamo ad un fenomeno che ha dell’incredibile: non lo strumento-moneta si adegua al fabbisogno ma il fabbisogno si commisura alla disponibilità dello strumento-moneta. La materia prima in questione non sgorga dalle viscere della Terra ma può essere prodotto dall’uomo nella quantità richiesta. E, infatti, gli istituti di credito (ovvero le banche) se la fanno da sé e qui entriamo davvero nella sfera dell’arcano: non si comprende perché lo Stato prenda in prestito ciò che viene prodotto da altri dal nulla e che potrebbe produrre esso stesso. E’ un giochetto vergognoso, legittimato dagli stregoni del settore, dietro cui sta solo e sempre la convenienza di uno Stato borghese. Quando la Banca d’Italia era dello Stato, questo aveva la sovranità monetaria e di moneta avrebbe potuto coniarne quanta ne aveva bisogno. Non solo non ha saputo servirsene ma ha abdicato a favore di aziende affaristiche private, che hanno finito per prendere il sopravvento. Queste sono perfino assistite da agenzie di stima (rating), che studiano la solvibilità dei vari Stati ovvero la capacità di resistere, a quali condizioni e fino a quando all’usura e al nodo scorsoio del debito. Lo Stato italiano si è arreso al “signoraggio” (proprietà privata della moneta).
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Personalmente sono convinto della totale inutilità – anzi, nocività – delle banche, in specie di quelle che, preposte ai crediti agli Stati, vivono proprio per questo e i suoi azionisti-imprenditori si arricchiscono a dismisura per fare non saprei che cosa. Dico di più: non so come si possa controllare, in tempi di tecnologia magica (è il caso di dirlo) che la tale banca stampi solo la moneta commissionata e commissionabile. Penso che allo Stato basterebbe un solo ministero (della moneta, appunto) contro gli attuali tre rispettivamente del tesoro, delle finanze e dell’economia con una montagna di carteggi numerici, così complicati e cervellotici da fare venire la depressione ai non addetti.
Vogliamo constatare l’inefficienza fino al grottesco dell’economia di questo Stato etero-dipendente? Consideriamo come, in presenza del materiale occorrente e del complesso umano del lavoro disponibile, un ospedale non possa essere costruito solo “per insufficienza di cassa” ovvero per mancanza di moneta. Non credo ci possa essere niente di più sconcertante e stomachevole! La moneta, limitata e da recuperare attraverso il fisco, è la moneta attiva, propria di uno Stato borghese, un paradiso per le alte sfere, un purgatorio o un inferno per chi sta in basso. La crisi è sempre dietro l’angolo ma non è l’aumento della disoccupazione e della difficoltà di vivere: ma semplicemente per l’impossibilità di fare quadrare i conti: quando questo fine è raggiunto va tutto bene. Tale crisi, comunque, è la scusante più felice di tutte le inadempienze. “C’è la crisi”, si dice e lo si ripete ad ogni piè sospinto. Nella crisi, magari di provenienza ultratlantica, può capitare che un minore livello consumistico riduca il ridicolo PIL: allora, è calata anche la crescita. Ma siffatta crisi è anche la migliore occasione per parlare di ripresa. Anzi, di ripresa si parla tutti i giorni dell’anno. Della crisi, che è il sistema – che cade a pezzi – non si parla mai.
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Quante cose potrebbero essere fatte con una moneta passiva (statale e illimitata)? Solo a titolo discorsivo, di proposta e di ricerca, indico alcune linee maestre secondo me possibili.
Uno Stato, che voglia cessare di essere quello che è stato e quello che è ancora, cioè borghese, ed essere davvero uno Stato di tutti come capo di una comunità, è anzitutto un buon padre di famiglia, che agisce seguendo la razionalità di ciò che è giusto. A tal fine non fa che applicare l’economia intesa nel senso etimologico della parola. Come tale deve:
1) Appropriarsi della sovranità monetaria (nel caso nostro uscire dall’area dell’Euro e munirsi di una moneta nostra-nazionale dando una pedata a tutte le banche),
2) fare un inventario delle proprie risorse (energetiche, agricole e così via) ed umane (cittadini abili al lavoro),
3) espropriare tutti i mezzi di produzione (nazionalizzazione-socializzazione di ogni produzione),
4) utilizzare il lavoro di tutti gli abili (“piena occupazione”),
5) convertire progressivamente tutte le macchine produttrici esistenti in produzione secondo fabbisogno (piano),
6) fornire a tutti un adeguato potere di acquisto (“previdenza attiva per tutti”),
7) requisire tutti gli immobili usati come locazione lasciando i rispettivi abitanti (fine del parassitismo immobiliare),
8) gestire i prezzi dal meno al più (dal necessario essenziale come il pane all’auto voluttuaria) rendendo progressivamente gratuiti i servizi a partire da quelli essenziali (sanità, scuola e simili),
9) istituire un’anagrafe dei beni immobiliari (casa più terra) da ridistribuire secondo fabbisogno in possesso gratuito a tempo indeterminato con possibilità di trasmissione affettiva e permettendo ai contadini di conservare, a richiesta, almeno una parte della loro terra,
10) costruire le nuove città con ampi spazi di verde, anche coltivato (“città-campagna”),
11) recuperare la moneta, usata o distribuita, attraverso la vendita (non mercantile) dei beni e dei servizi prodotti dai cittadini abili al lavoro (eliminazione del fisco),
12) istituire un sistema scolastico, che, sin dai primi anni, avvii ogni cittadino a dare il proprio contributo lavorativo secondo attitudine.
Questo e ben altro può essere costruito con l’uso di una moneta passiva (strumentale ed autonoma, non dipendente né limitata) e soprattutto tagliare alle radici la corruzione, la delinquenza (per fame o emulazione) e le mafie. Un popolo impegnato a costruire la propria felicità, non ha bisogno di delinquere.
A tal fine, non occorre alcuna rivoluzione, tanto meno cruenta. Uno Stato autonomo, che viva delle proprie risorse, non è necessariamente autosufficiente. E’ la mutualità con altri Stati che lo rende meno insufficiente. La mutualità può estendersi a tutto il mondo ottenendo una globalità del tutto diversa da quella liberista. Globalità liberista significa mercato e predonomia senza confine, globalità mutuale significa scambi fra pari senza confine (con o senza l’uso della moneta).
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So che quanto detto sa di utopia. Gli stregoni sono abili a complicare ciò che è semplice, altrimenti non troverebbero scientifica la dipendenza degli Stati dalla piovra bancaria internazionale. A noi, invece tutta questa situazione sa di manicomio: da un lato abbiamo degli Stati con problemi di base (a partire da quello, semplice, della piena occupazione) irrisolti, con un tasso più o meno alto di poveri cristi, che magari attendono una vita per ritrovarsi vecchi, soli e senza alcun sostegno monetario (e sono milioni!) ; con un tasso più o meno alto di corrotti, di delinquenti e di mafiosi, tutte categorie quotidianamente combattute da quello stesso Stato che le produce (più manicomio di così?!); dall’altro, una serie di società per azioni, che prestano a tali Stati moneta limitata e a caro prezzo, di modo che i debitori ne dipendano totalmente. Tutto ciò non avverrebbe se lo Stato disponesse di una moneta passiva e potesse rispettare quella parte di Costituzione, che prevede il lavoro come un diritto (e non come una merce di cui al “mercato del lavoro”).
La responsabilità maggiore di tutto questo ricade su quella genia di stregoni, che hanno fatto della moneta una divinità capricciosa ed avara che si concede solo se e quando vuole. Si tratta invece di un simbolo. Si deve agli stregoni se si è consolidato un apparato parassitario mondiale, che non lascia respiro. Recentemente si è espresso compiacimento da parte italiana perché a coprire la carica suprema della BCE sia andato il connazionale Draghi, il quale dopo essersi arricchito come governatore della Banca d’Italia (non saprei con quanta fatica), si appresta così ad aumentare le proprie ricchezze utilizzando un monetificio superiore. C’è da chiedersi come mai tali privilegiati possano far credere di potere fare a meno di loro!
Mentre scrivo quest’articolo il nostro Tremonti presenta alla Camera il suo capolavoro: i conti di fine anno. Il compito è sempre lo stesso: farli quadrare. Il che non significa risolvere il problema della disoccupaziosne (per citare una sola insolvenza) ma solo e semplicemente la quadratura dei conti. Che l’operazione comporti maggiori sacrifici per il popolo “sovrano”, che dovrebbe essere il creditore naturale di ogni bene, ha un’importanza marginale. Quasi nulla. Infatti, Tremonti e compagni esprimono già soddisfazione e tranquillità. Blocco di assunzioni, ticket sanitari e così via: quisquilie, avrebbe detto Totò. E questo mentre migliaia di precari attendono da decenni di realizzare il diritto ad un’occupazione stabile per un futuro sicuro (il solo futuro di cui è dotata la vita di ogni essere umano). A questo punto è lecito chiedersi dove, in tema di stregoneria economica, finisca l’idiozia ed abbia inizio la criminalità. Ed anche quando, i fautori privilegiati di questo sistema manicomiale – tra cui lo stesso Tremonti, lo stregone di questo governo – comincino a convincersi che la vera economia, esente da conflittualità, convenga anche a loro in un contesto di fraterna mutualità.
In sincerità, il duo banche-agenzie mi fa pensare ad una raffinata associazione a delinquere di stampo mafioso. Ma se non si tratta di questa di che mai si tratta? Sta di fatto che gli stregoni in questione sono responsabili in solido di una impostura monetaria così grande da non trovare attributi atti a qualificarla.
Carmelo R. Viola
(impostura monetaria – 28.06.11 – 0015)