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L’Inquisizione virtuale “per interposta persona”

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Le alterne vicende giudiziarie del giudice Luigi Tosti sono ben note. Esse sono cominciate quando costui – con un atto di “anarchismo etico”, che farà storia – decide di rifiutarsi, in piena legittimità, di operare all’interno di una Magistratura non anche visivamente laica, cioè contrassegnata da un qualche simbolo religioso e non solo in aule non esenti dal fatidico crocifisso, simbolo storico – e non solo ideologico – della dominazione ecclesiale. Parlo non a caso di “anarchismo etico” perché l’attore, mettendo a repentaglio perfino la propria sussistenza, si è posto contro tutti per una causa ritenuta giusta in nome della sola propria coscienza. Per estrema encomiabile coerenza lo stesso non si è accontentato nemmeno di un ambiente reso asettico (cioè laico anche sul piano visivo) ad hoc, perché questo avrebbe avuto il sapore di un ghetto (tanto più per un soggetto che, a quanto pare, professa, con pieno diritto, la religione ebraica) e non avrebbe raggiunto lo scopo del promotore, che non è – lo sottolineo – personale, ma rigorosamente sociale.

L’ultimo – ma forse non estremo – atto della grottesca commedia è stato recitato dal CSM – Consiglio Superiore della Magistratura – che ha rimosso il giudice Tosti dall’ordine giudiziario: è come dire che lo ha radiato – anzi cacciato via a pedate – perché ritenuto incapace o, in ogni caso, indegno della propria funzione per essersi opposto all’esposizione forzata del crocifisso nel tempio della giustizia contro la laicità ufficiale del nostro ordinamento statale.

La questione è di una semplicità sconcertante al punto che non si sappia se riderci sopra a crepapelle o se, al contrario, piangerci lagrime a dirotto. Forse è questa seconda reazione emotiva quella che più si addice a ciò che, in verità, non è proprio una commedia ma piuttosto una specie di deprofundis della civiltà “eticamente adulta”, per definizione laica, laica significando capace di distinguere nettamente il pubblico dal privato e di rispettare questo fino al limite dell’ innocuità sociale. E’ inequivocamente ovvio:

1- che l’esposizione di un simbolo religioso caratterizza l’ambiente interessato;

2 – che il crocifisso è il simbolo della religione cattolica;

3 – che i cittadini italiani, utenti o frequentatori delle varie strutture pubbliche contrassegnate da simboli religiosi, professano religioni diverse o non ne professano alcuna;

4 – che la caratterizzazione religiosa di un ambiente pubblico a mezzo dell’esposizione di un simbolo specifico mette a disagio i diversi o in una posizione di inferiorità oggettiva;

5 – che un simbolo religioso, esposto in luogo pubblico, non lascia indifferente nessuno, meno che mai coloro che tale simbolo esigono, altrimenti non lo esigerebbero; a me, per esempio, fa pensare ad un uomo morto od agonizzante su uno dei più crudeli strumenti di morte romani oltreché all’inquisitore che addita alla vittima il crocifisso mentre la tortura con sadismo sottile e feroce in nome di Cristo per salvarle l’anima;

6 – che il simbolo religioso del crocifisso viene esposto proprio per “agire nella sfera psicomentale ed emotiva”di chi ha occasione di osservarlo: diciamo, in termini più espliciti, per dominare liturgicamente i fedeli e per dar prova di superiorità ai diversi;

7 – che, perfettamente fisiologico in ambienti specifici, come la chiesa, il simbolo del crocifisso – imposto all’attenzione per esposizione pubblica – acquista una particolare valenza in ambienti di pertinenza della “res pubblica”, per esempio nella scuola, istituto finalizzato alla formazione non di credenti ma di persone capaci di autonomia critica e morale, proprie della civiltà “eticamente adulta”; o nella magistratura, istituto finalizzato alla valutazione di colpe e di crimini e all’intervento di “pene riabilitative” secondo parametri di giustizia, per essenza – e quindi per definizione – estranei ad ogni e qualsiasi criterio che non sia improntato all’oggettività e alla scienza;

8 – che attenersi, nell’esercizio della professione didattico-pedagogica (scolastico-educativa) e di quella giudiziaria (giuridico-punitiva) all’oggettività e alla scienza significa ritenere incompatibile ogni altro criterio;

9 – che ritenere incompatibile con il pubblico o sociale ogni parametro non oggettivo e non scientifico, significa “dare a ciascuno il suo”, cioè ritenere di pertinenza privata e come tale legittima e rispettabile al limite dell’innocuità sociale, ogni sentimento religioso, fideistico o soggettivo; significa il rispetto di tutte le fedi religiose e, per converso, l’assenza di ogni razzismo religioso;

10 – che lo Stato italiano, dichiarando la religione cattolica non più religione di Stato, ha scelto la laicità contro la confessionalità del potere e di tutti i luoghi pubblici;

11 – che in uno Stato laico, appunto perché tale, non può essere esposto nessun simbolo religioso in un luogo pubblico senza contravvenire all’incondizionato rispetto della laicità dello Stato.

Ne consegue che l’esposizione di un simbolo religioso in un luogo pubblico con atto di prepotenza a danno della laicità, nel caso specifico, del crocifisso, significa:

a) non conoscere la storia criminale della Chiesa cattolica in quanto tale;

b) essere affetti da analfabetismo giuridico

c) o piuttosto – anzi peggio – scegliere di abbandonarsi all’analfabetismo etico, di comportarsi non da uomini ma da antropozoi, di mentire premeditatamente, di piegare il ramo di potere pubblico, di cui si dispone e che si dovrebbe gestire e curare nell’esclusivo interesse del bene collettivo, e di usarlo come strumento di parte, specificatamente clericale, e quindi di addurre motivazioni (come quella della tradizione e dell’identità storiche) che si sa essere destituite di ogni fondamento logico e scientifico;

d) di fare rivivere in versione virtuale e per quanto possibile nei fatti, “per interposizione della propria persona”, il famigerato tribunale dell’Inquisizione all’interno di un “contesto costituzionale e democratico” laico;

e) di imporre alla collettività la millenaria volontà dominatrice della Chiesa cattolica attraverso l’ignobile strumento del Sant’Uffizio, così redivivo, il quale, conformemente alle limitate possibilità storiche del momento, è tuttavia in condizione di imporre l’esposizione del proprio simbolo di dominio – anche contro sentenze ed ordinanze di organi giudiziari superiori – e di perseguitare, fino alla possibile condanna alla disoccupazione con disonore o “gogna virtuale” e alla fame (equivalente di condanna a morte), coloro che, come il giudice Luigi Tosti, hanno il coraggio di opporsi ad essa in nome della coscienza laica.

Non è gratuito far notare, per chiudere in bellezza:

I – che un comportamento analogo in un contesto militare-bellico si chiama non obiezione di coscienza ma diserzione o tradimento, ed è punibile con l’esecuzione immediata delle armi;

II – che quanti “tradiscono dal di dentro” la struttura laica di uno Stato laico, tradiscono sé stessi e delinquono contro tutti, si manifestano ipso facto indegni della funzione che rivestono per palese volontario rinnegamento della stessa;

III – che proiettando retroattivamente il tribunale dell’Inquisizione – così richiamato in maniera surrettizia – ai tempi del suo splendore storico, vediamo il reo Luigi Tosti, condannato al rogo con tanto di mordacchia esattamente come Giordano Bruno;

IV – che in un’Italia dichiaratamente-giuridicamente laica non sono più concepibili roghi di eretici, nemmeno in versione virtuale;

V – che i primi a comprendere e ad esplicitare quanto abbiamo appena esposto, dovrebbero essere i buoni cattolici, se invece di essere dei sudditi dell’istituto-Chiesa, fossero anzitutto dei veri cristiani secondo la versione evangelica (come dicono di essere);

VI – che la condanna dell’eretico – o giudeo deicida – Luigi Tosti va ben oltre la persona per investire l’intera civiltà italiana, oggettivamente incapace di fare onore agli obblighi della maggiore età morale “necessariamente-giuridicamente laica”.

Articolo di Carmelo R. Viola

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