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LO “SHAFAGH“ DELL’IRAN di Giancarlo Chetoni

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L’assemblaggio dei prototipi, i passaggi di modifica intermedi, le prove motore e di volo degli aviogetti per arrivare alla messa a punto definitiva, una volta soddisfatte tutte le specifiche di progetto, fino al via delle linee di montaggio, sono tutti passaggi che assorbono gigantesche e crescenti risorse ad una economia ancora non totalmente stabilizzata, dopo l’implosione del comunismo e la svendita della Russia alle oligarchie apolidi dell’era Eltsin.

Per mantenere in piedi una “struttura” che dà lavoro con l’indotto, nel settore militare e civile, a 3.000.000 di uomini e donne, tra ricercatori, progettisti, tecnici, operai specializzati e addetti al settore commerciale, la Russia ha la necessità di accantonare molti dei progetti che in fase di sviluppo rivelano ritardi di approntamento o necessitano di correzioni strutturali, dalla cellula, passando dalle turbine di spinta, alle modifiche aerodinamiche.
Mosca per quanto abbia ridotto sensibilmente questo svantaggio nei confronti dell’industria americana negli ultimi 5 anni, ha tempi di messa in linea dei suoi aviogetti militari in genere più laboriosi contrastati e sofferti di quelli USA.
Elemento che ha fatto segnare, in passato, grosse battute di arresto nell’export della R.S.K dal momento che i Paesi committenti richiedevano, e richiedono, tempi di fornitura definiti, disponibilità di ricambi, assistenza tecnica e contenuti tecnologici di avanguardia.
Per rimediare a questo svantaggio il Kremlino dal 2000 ha cominciato a decentrare con accordi bilaterali parte dei progetti usciti dal “kombinat” R.S.K verso Stati che mantengono solidi rapporti con Mosca e facciano parte di alleanze geopolitiche ed energetiche nel Centro e nel Sud Est dell’Asia con la Russia.
Legami finalizzati, in quelle aree, al contenimento dell’influenza politica e dell’avventurismo “armato” degli USA.
In questo contesto il Kremlino ha trasferito, a partire dal Giugno di quell’anno, in Iran i disegni e gli studi preliminari di fattibilità del Vityaz, un cacciabombardiere multiruolo del peso stimato tra le 12 e le 16 tonnellate al decollo, elaborati dalla Mikoyan-Gurevich nota a livello internazionale per la produzione ultradecennale dei jet della serie MIG, per contrastare il progetto Joint Strike Figther F-35 degli USA, destinato a sostituire l’F-16, il cacciabombardiere che insieme agli F-15 e agli F-18, costituisce il grosso dell’aviazione militare americana.
Nel 2002 l’aeronautica iraniana ha presentato all’Air Show di Teheran lo “Shafagh”, un caccia di 5° generazione dotato di tecnologia “stealth” che ha materializzato lo studio di fattibilità del Vytiaz della Mikoyan OKB.

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Mentre l’F-35 inizierà, forse, perché il programma sta slittando per difficoltà di messa a punto dell’aviogetto, le prime prove di volo nel 2007, l’industria aeronautica dell’Iran è riuscita a stare davanti a quella “stars and stripes”, approntando un dimostratore di tecnologia con 5 anni di anticipo sulla Lockheed, capocommessa del Joint Strike Fighter, un tempo che rappresenta un grave “gap” di credibilità militare per l’Amministrazione Bush.
Un “gap” che fa emergere il crescente affanno finanziario e industriale degli Stati Uniti, una potenza “planetaria”, assediata da “nemici” sempre più numerosi ed agguerriti e logorata, come ha messo in luce Katrina a New Orleans, dai costi astronomici che deve sostenere per l’avventura militare in Iraq e Afghanistan.
Come diceva De Gaulle, se il livello dell’industria aeronautica è lo specchio delle capacità tecnologiche e industriali di un Paese, gli USA, nel settore strategico dei jet militari per la prima volta dal 1945, stanno indietro, almeno in questo segmento di produzione, all’Iran di Ahmadinejad.
L’assemblaggio di un jet militare stealth come il nuovo cacciabombardiere di Teheran fatto di migliaia di componenti elettromeccanici ed elettronici certifica l’esistenza in quel Paese di un’industria militare ramificata ad alto contenuto di ricerca applicata.
Lo “Shafagh” dell’ I.R.I.A.F che in parsi significa “luce che precede l’aurora”, da dimostratore tecnologico, processo seguito anche per la realizzazione dell’Eurofighter 2000, monta nella prima produzione turbine Climov Rd 33, ha dimensioni simili al MIG 29, un radar di portata media e un‘altissima manovrabilità con decolli e atterraggi corti.
Le linee di profilo della cellula sono avveniristiche e segnano una totale discontinuità con quelle lunge e pesanti adottate per il MIG 31 della Mikoyan OKB Mukhamedov.
I display, avanzatissimi, di comando sono a colori MFD e ricordano da vicino quelli adottati sull’F-22 Raptor.
Sullo “Shafagh” è previsto l’impiego di motori sping-trush-vectoring che gli consentiranno ruoli tattici air-to-air e air-to-surface. Potente anche l’armamento che dovrebbe montare nuovi missili a lungo raggio aria-aria R-77.
Si sostiene che sia in gestazione una versione da attacco a lunga autonomia e dotazioni di munizionamento ad alta precisione in stiva per evitare turbolenze aerodinamiche durante il volo che prefigura l’ambizione di portare a completamento il progetto Mikoyan I -2000.
All’inserimento di tecnologia avanzata sullo “Shafagh” contribuisce un piano di finanziamento di 550 milioni di dollari che vede l’Istituto di Ricerca Aeronautica dell’Iran (I.A.C.I) collaborare con l’Università Malek Ashtar di Teheran.
Recentemente il Generale Alexander Dimidov della Forza d’attacco strategica della Russia ha dichiarato che la collaborazione con la Reubblica Islamica, al momento, è piena, senza ombre e destinata a durare.
Dimodov ha inoltre voluto sottolineare, con una punta di malizia, per rispondere alle accuse di “Kommersant” sull’asse Mosca-Teheran, che l’Iran è un partner che dispone di larghe disponibilità finanziarie, di autonomia tecnologica e militare al contrario di Israele, che appare economicamente fragile, politicamente inaffidabile come dimostra la vendita di radar avanzati alla Cina con brevetti USA, e totalmente dipendente da Washington, per la cancellazione d’autorità, durante il mandato Clinton, del progetto del cacciabombardiere LAVI portato avanti da Tel Aviv.
L’enorme salto di qualità tecnologica fatto dall’ Iran, dall’approntamento dei missili balistici Shahab 3 con una gittata di 2.000 km, alla fabbricazione di cruise-missile con un raggio di 3.000 Km e un margine di errore a bersaglio di 10-12 mt, allo sviluppo di un poderoso e pressoché insuperabile sistema contraereo dotato di missili a lunga, media e corta portata, integrato da una difesa satellitare, awacs, radar e antinave di produzione locale, è destinato nel medio e lungo periodo a modificare in profondità gli equilibri militari e di influenza geopolitica nel Medio Oriente e nel Golfo Persico così come nel Centro- Oriente dell’Asia.
Un salto di qualità quello dell’industria militare e civile dell’Iran che viene percepito dall’Amministrazione Bush come minaccia diretta ed intollerabile alla supremazia degli USA.
Una “sfida” che l’Iran ha lanciato agli interessi strategici americani anche con il completamento della centrale atomica di Bushehr e la sua decisione di arricchire, come gli consente il T.N.P, l’uranio per alimentare altri Power Points, ad acqua leggera, da costruire con l’assistenza di Mosca.
La dichiarazione di Teheran di essere pronta a trasferire la tecnologia atomica acquisita verso qualsiasi Stato Arabo che ne facesse richiesta agli occhi della Casa Bianca non può non apparire, nella logica distorta, malata, della Casa Bianca, del Dipartimento di Stato e del Pentagono come una gravissima minaccia agli interessi “globali” degli USA e alla “sicurezza” di Israele, da regolare, prima o poi, con una nuova guerra di aggressione capace, nella strategia di Washington, di spazzare via, insieme al programma nucleare dell’Iran, il grosso della sua industria di punta, per precipitare in un nuovo Medio Evo, radioattivo, le aspirazioni di indipendenza del Paese dei Mullah.
Un messaggio di alto contenuto politico, quello lanciato dall’Iran, che ha già prodotto un risultato devastante per gli USA: il premier Erdogan prevede di dotare la Turchia di un piano di costruzione per 5 centrali atomiche.
Un paese sospeso tra Europa e Asia, di religione musulmana, avrà, per la prima volta, insieme a un primo passo verso l’autosufficienza energetica, anche reattori e tecnologia nucleare.
Per capire la portata del “confronto” che vede gli USA in rotta di collisione con l’Iran occorre fare riferimento oltre che alla politica economica sviluppata da Teheran verso Cina, India e Pakistan anche alla crescente collaborazione diplomatica messa in moto da Amnedinejad con Arabia Saudita, Siria, Turchia, Turkmenistan, Tajikistan, Uzbechistan, Armenia e Kazakistan, che punta, secondo Washington, a destabilizzare la politica degli USA in Asia a partire dalla periferia della C.I.S fino alla dorsale dell’Afghanistan, incrinando la fascia di accerchiamento che l’Amministrazione USA sta tentando, con crescenti difficoltà e insuccessi, di stendere intorno alla Russia di Putin.
Un accerchiamento a maglie larghe, senza retroterra logistico, oneroso, che punta ad assicurarsi il controllo delle risorse energetiche di gas e petrolio del Caspio e del Centro Asia e delle vie di trasporto, per oleodotti, verso i terminali, ucraini, del Mar Nero.
A condizione che la già incrinata "coalizione arancione” messa in piedi dalla CIA possa ancora reggere a livello elettorale dopo tutti gli scandali e i pesanti processi di ristrutturazione economica in salsa liberalcapitalista adottati dal Governo Yuskenko per avvicinarsi a tappe forzate alla NATO e all’Europa di Barroso e Solana.
Un’Europa "democratica” vile e tubercolosa che mette al bando la Serbia, per tenere a distanza l’abbraccio, scomodo e pieno di energie vitali, dell’Orso Russo.

(Fonte: ricevuto via email)

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