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L’OFFERTA DI PUTIN: GIÀ LIQUIDATA di Maurizio Blondet

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Il sistema radar di Gabala in Azerbaijan copre precisamente le aree del mondo da cui l'America ed Israele dicono di temere lanci di missili: il Medio Oriente e l'Oceano Indiano.
Tempo fa, l'Azerbaijan offrì la base alla NATO, che non si mostrò interessata.
E' difficile sostenere che un sistema radar situato presso Praga sia meglio, per controllare lanci dall'Iran, di un sistema situato nel Caucaso meridionale.
Vuol dire forse che la proposta di Putin, e che Bush ha definito «interessante», del radar di Gabala che la Russia ha in affitto, sarà accettata, magari con entusiasmo?
Nient'affatto.
Lo conferma il Financial Times, organo della finanza anglosassone.
«Stephen Hadley, il consigliere della sicurezza nazionale» che era al seguito di Bush, «ha detto che la proposta dimostra la volontà russa di impegnarsi in una vera cooperazione sulla difesa missilistica. Ma…»
C'è dunque un «ma».
Eccolo: «Ma le due parti non sono d'accordo sul ruolo del radar di Azerbaijan come alternativa alle installazioni in Cekia. Hadley ha detto solo che l'Azerbaijan può 'essere un contributo' al più vasto sistema».
«Pavel Felgenhauer, un analista militare a Mosca, ha detto che la stazione radar di Gabala proposta non è un sostituto adatto alla installazione in Cekia perché troppo vicino all'Iran, uno dei Paesi da cui secondo Washington lo scudo missilistico è destinato a difenderci. E' inoltre troppo lontano dalla base di intercettazione missilistica che gli USA contano di piazzare in Polonia. 'Il Pentagono non lo vuole', ha detto Felgenhauer: 'La Casa Bianca non rigetterà l'offerta immediatamente, ma non prevedo alcun accordo'».
Pavel (Saul) Felgenhauer è un analista «indipendente» che è molto intimo della Jamestown Foundation, un fondazione «culturale» che ha tra i suoi membri Zbig Brzezinsky e James Woolsey, già capo della CIA.
Fu fondata nel 1984 per accogliere Arkady Shevchenko, la più alta personalità sovietica che sia mai passata al campo americano (era vicesegretario dell'ONU, quando tradì).
Da allora, si occupa di diffondere più che può le informazioni sgradite a Mosca, specie sulla Cecenia, che Saul Felgenhauer sostiene essere «l'Algeria della Russia», nel senso che i russi devono abbandonarla come De Gaulle si ritirò dall'Algeria.
Insomma l'analista indipendente dà voce all'umore dei circoli americani che lo pagano.
«Pare molto improbabile che Washington metta una parte del suo scudo missilistico nelle mani di uno Stato ex-sovietico».

Il Financial Times rende chiaro che la proposta di Putin ha colto di sorpresa Bush e il suoi consiglieri.
I consiglieri non ne erano stati avvertiti prima, e Putin ha fatto la sua offerta direttamente a quattr'occhi con Bush, che non ha saputo bene come reagire: non gli avevano fornito l'elenco delle obiezioni da opporre.
Dunque Putin ha colto un piccolo successo soprattutto d'immagine – dopo settimane di grancassa mediatica che lo dipingeva come quello che stava di nuovo puntando i missili nucleari sull'Europa – che non cambia la situazione di fondo.
Bush infatti è andato subito ad incassare l'opposizione di Varsavia all'offerta di Putin, e poi in Cekia (dove l'opinione pubblica è molto poco favorevole all'idea di diventare la punta avanzata dell'accerchiamento anti-russo) a stringere i tempi.
L'opposizione ceka vorrebbe un referendum sul tema, convinta che sarebbe bocciato dalla volontà popolare.
Vedremo se avrà la forza per imporlo.
Ma anche il piccolo successo tattico di Mosca non è disprezzabile.
Il G-8 è una palese tronfia inutilità, dove i «potenti della terra», assediati da no-global, hanno per l'ennesima volta assunto impegni «per aiutare l'Africa» a cui non daranno seguito, e pseudo-decisioni sul riscaldamento globale che non obbligano a nulla.
E' un gioco delle parti, in cui anche i no-global recitano la parte loro assegnata.
Il titolo della recita è «diplomazia pubblica», mostrare al mondo che i potenti si parlano davanti ai media.
Ovviamente, la diplomazia avviene per tutt'altre vie, e mai è stata più occultata e determinata da poteri occulti che oggi.
Il solo motivo per cui i «potenti» vanno al G-8 è, appunto, un fatto d'immagine.
E Bush, che ha un'immagine pessima – di uomo teleguidato da Cheney e neocon, fossilizzato in una strategia da demente e palesemente rovinosa per il prestigio degli Stati Uniti – ha cercato di migliorarla: con la sorpresina sul riscaldamento globale.
Putin gli ha rovinato la festa con l'altra sorpresina.
Con un'offerta che Washington non può rifiutare sui due piedi, per non rimettere Bush nella sua parte di fossile unilateralista e teleguidato dal regno di Khazaria.
Olmert infatti sta ponendo le basi per il fortemente voluto bombardamento dell'Iran: per questo, con grata sorpresa dei media occidentali («Com'è umano lei!», rantolano i nostri Fantozzi) ha teso la mano alla Siria: persino disposto a parole a restituirle le alture del Golan, pur di staccare Damasco da Teheran.
Insomma la strategia di fondo prosegue, al riparo dai polveroni pubblici.

In questo senso, ho sentito a Roma giornalisti eccitatissimi per la volontà di Bush di incontrarsi con la Sant'Egidio: ha voluto fare uno sgarbo al Papa?
O a D'Alema?
Ho sentito un vaticanista assicurare che siccome la Sant'Egidio è molto introdotta in Africa, Bush vuol parlare con loro della comune «lotta all'AIDS» e alla malaria.
Tutto ciò è molto commovente, per chi non ha visto come si comportano le petrolifere americane in Angola (l'AIDS, ve lo assicuro, non è in cima ai loro pensieri), e dimentica cosa stanno facendo gli americani nel Corno d'Africa.
Promemoria: hanno lanciato l'Etiopia nell'invasione della Somalia, e le stanno fornendo armi spaventose a man bassa per l'occupazione e le relative atrocità, completamente taciute; in più, loro partecipano bombardando e braccando con aerei senza pilota singoli capi somali che a loro non piacciono (la tecnica israeliana).
Stanno pensando come ampliare la guerra in Darfur, ennesima «guerra umanitaria», perché anche in Sudan c'è il petrolio; la sola cosa che li trattiene è che ancora non hanno trovato il vicino dittatore disposto a fare la guerra per loro, senza costringerli ad impegnare direttamente le loro forze armate già esauste in Iraq e in Afghanistan.
In questo progetto, occorre non avere contro il Vaticano – unico vero motivo della visita di Bush in Italia – ma il Vaticano è già assicurato dal super-consulente che si è scelto in politica internazionale, il noto devoto Henry Kissinger.
Il quale darà i più santi consigli al cardinal Bertone, il primo segretario di Stato che non parla alcuna lingua straniera e la cui vera passione sono le partite di calcio (di serie B e C).
La Sant'Egidio può essere persino un ostacolo più serio, per quanto incredibile sembri.
Una bella visita pubblica del più potente presidente di tutti i tempi fa molto per accrescere l'immagine della Sant'Egidio, e vellicarne le vanità.
Ma bisogna vedere se questa nuova immagine di ONG cattolica di fiducia di Bush non tenda, in realtà, a «bruciare» quei ben intenzionati cattolici di fronte ai loro interlocutori africani.

I media italioti si sperticano in lodi per Angela Merkel, che «ha salvato il G-8 dal naufragio» e anche la sua immagine.
Appunto, immagine.
L'immagine dell'Europa ne è uscita a stracci.
Nessuna posizione comune sull'Iran e le aggressioni passate e future di Bush.
Nessuna seria opposizione allo scudo spaziale: sicchè è la Polonia a governare la politica mondiale europea.
Irresponsabilità, vacuità, lingua di legno diplomatica così edulcorata, che nemmeno significa nulla.
Insomma non è cambiato niente.
Se qualche giornalista ha detto di aver avuto questa impressione è perché è pagato da lorsignori, come Saul, o Pavel, Felgenhauer.
Ma nemmeno questa è una novità.

Note
1) Andrew Ward e Neil Buckler, «Putin calls US bluff with base offer», Financial Times, 8 giugno 2007.

(Tratto da www.effedieffe.com)

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