Ormai da giorni rimbalzano sui titoli dei giornali e nei notiziari le parole pronunciate da Bergoglio sul genocidio armeno compiuto nel 1915 dagli allora governanti turchi, riconosciuto come tale dal Capo della Chiesa Cattolica, che ha così provocato la reazione stizzita del governo di Anakara e del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Anche il Parlamento Europeo, nella giornata di oggi, ha riconosciuto che quello contro gli armeni fu un genocidio, mentre Erdoğan ora minaccia di espellere i centomila armeni che vivono in Turchia.
In questo trambusto, una versione storicamente diversa, e accurata, dei fatti viene presentata da Maurizio Blondet sul giornale online Effedieffe. Secondo il noto giornalista, Bergoglio avrebbe perso un'ottima occasione per dire davvero la verità sul genocidio armeno, che fu reale, ma compiuto dai Giovani Turchi, che avevano assunto il potere nel 1915 dopo aver deposto il sultano Abdul Amid. I Giovani Turchi, secondo Blondet, erano tutti dunmeh, ovvero ebrei seguaci di Sabbatai Zevi (autoproclamatosi Messia nel 1626) che si erano convertiti esteriormente all'Islam mantenendo in realtà le loro usanze e la loro fede ebraica.
Una storia di inganni, di equivoci, di false conversioni: guide politiche di un popolo che fingono per interesse di aderire ad una religione quando invece la loro fede, e quindi i loro intenti, sono diversi. E che vede la vera guida di una istituzione e di un popolo, in questo caso il sultano ottomano Abdul Amid, deposto e messo agli arresti domiciliari. Quando poi la Turchia perse la Prima Guerra Mondiale al fianco di Austria e Germania, gli Alleati ripristinarono la monarchia ottomana ed il nuovo sultano Mehmet VI nel 1919 condannò a morte i responsabili del genocidio armeno.
Una guerra, quella contro il popolo armeno, che in forme diverse sembra ripetersi, oggi che gli armeni sono tra le minoranze etniche e linguistiche vittime dell'ISIS e anche dei bombardamenti della coalizione anti-terrorismo.
Secondo Blondet, il vescovo Bergoglio oltre ad aver perso l'occasione per una chiarificazione su questa tragedia, avrebbe provocato uno scontro diplomatico con la Turchia di certo non necessario.
Oggi i giornali italiani riportavano la dichiarazioni del premier turco Davutoglu, secondo cui:
"Un fronte del male s'è formato contro di noi, ora pure il Papa vi ha aderito".
Uno scontro tra bene e male, tra Occidente e Oriente, tra Cattolicità e Vicino oriente islamico? A giudicare dai toni usati si direbbe di sì. Eppure Bergoglio sembrerebbe il meno indicato per un braccio di ferro tra Vaticano e Turchia. Durante suo viaggio a Istanbul, ex Costantinopoli, compiuto tra il 28 ed il 30 novembre, Bergoglio non solo aveva recato omaggio e ricevuto la benedizione dal Patriarca ortodosso Bartolomeo, predicando l'unità tra cattolici e ortodossi, ma aveva anche incontrato e stretto la mano allo stesso Erdoğan, oltre ad aver pregato rivolto alla Mecca all'interno della Moschea azzurra.
E anche Bergoglio sembra godere di questi buoni rapporti con l'Islam: durante la sua visita-lampo in Albania la sua omelia è stata accompagnata dal canto dei muezzin nell'unico paese a maggioranza islamica in Europa, che per Francesco è "un'esempio di convivenza pacifica" tra musulmani, ortodossi e cattolici, e in alcune occasioni Bergoglio ha addirittura usato il Corano come punto di riferimento per la sua omelia in Piazza San Pietro.
Addirittura durante l'incontro per la Pace nei Giardini Vaticani dell'8 giugno 2014 con Abu Mazen e Shimon Peres, l'imam incaricato della preghiera islamica ha invocato Allah per "la vittoria sui miscredenti", nell'imbarazzo di Radio Vaticana che ha censurato le parole coraniche.
Inoltre, la principale organizzazione di riferimento dell'Islam in occidente è la Fratellanza Musulmana, a cui fa riferimento anche l'Unione della Comunità Islamiche Italiane (Ucoi) e che gode di buoni rapporti con gli esponenti più progressisti della Compagnia di Gesù, di cui Francesco è stato il candidato -eletto- alla guida della Chiesa Cattolica. In Italia, sulla grande stampa solo l'ex vicedirettore del Corriere della Sera, Magdi Cristiano Allam, sembra essersi accorto di questa connessione tra Gesuiti e Islamismo radicale (a parte Alberto Roccatano, nel micro-saggio Ma cos'è questa crisi), tanto da segnalare il 28 settembre 2006 che il gesuita statunitense Thomas Michel scriveva sul sito islam-online.net, diretto da Yusuf al-Qaradawi. Qaradawi, di cui ho parlato qui, è il principale intellettuale di riferimento della Fratellanza Musulmana e presidente dell'Unione del Bene, da anni residente in Qatar dopo la messa al bando della Fratellanza in Egitto, sostenitore dell'integrazione della Sharia nella società occidentale, del diritto dei mariti di picchiare le proprie mogli e dell'"uccisione degli omosessuali" come "priorità politica".
La Fratellanza Musulmana ha appoggiato in Siria i ribelli filo-occidentali islamisti di Al Nusra contro il presidente eletto Bashar el-Assad e gli jihadisti che poi avrebbero istituito l'ISIS in Iraq e Siria. Tra i sostenitori del terrorismo islamico in Siria secondo diverse fonti vi sarebbe anche il governo di Ankara, e quindi il suo presidente Recep Tayyip Erdoğan, esponente… della Fratellanza Musulmana. La giornalista statunitense Serena Shim, inviata della tv iraniana Press TV, dichiarò mesi fa di avere le prove filmate dell'ingresso in Siria di jihadisti dell'ISIS trasportati nei camion dell'ONU ufficialmente destinati agli aiuti umanitari, e provenienti dal confine della Turchia. Purtroppo la Shim sarebbe morta in un indicente il 19 ottobre.
Mentre avveniva tutto questo, e l'ISIS cacciava la popolazione cristiana e cattolica dalle città e dai villaggi conquistati, in molti si lamentavano della mancata presa di posizione di Francesco (tra cui il giornalista cattolico Antonio Socci), al contrario del predecessore Benedetto XVI, che invece denunciò l'importazione di armi dall'Occidente come principale causa del conflitto in Siria, durante la sua visita in Libano del 2012. Solo di recente infatti il Vescovo di Roma avrebbe denunciato apertamente le violenze contro i cristiani in Medio Oriente, senza però citare la natura jihadista, e quindi l'origine coranica, di questa "guerra santa". Nè tantomeno la genesi occidentale, e soprattutto statunitense, dello stesso ISIS (gli USA si sono anche rifiutati di riconoscere l'ISIS come gruppo terroristico in seno alle Nazioni Unite, definendolo semplicemente "Al Qaeda in Iraq", per occultarne la genesi, come riportato dall'agenzia di stampa russa Sputnik).
Questa mancata presa di posizione da parte del Vescovo di Roma diventava quasi un riconoscimento ufficiale dello Stato Islamico, quando il 25 novembre Bergoglio affermava sulle possibilità di dialogo con l'ISIS:
"Io non do mai per perso nulla. Forse non si può avere un dialogo, ma non chiudo mai una porta. È difficile, si può dire quasi impossibile, ma la porta è sempre aperta".
Una dichiarazione che apre le porte, appunto, alla possibilità di riconoscimento del Califfato come un interlocutore politico, posizione oggi attribuita a Turchia a Qatar che starebbero valutando di chiedere per lo Stato Islamico di Iraq e Siria un seggio all'ONU in qualità di "osservatore non membro". Paradossale, se si pensa che l'ISIS è una creatura statunitense, composta da combattenti per l'80% stranieri e non siriani, come dimostra l'arresto da parte delle autorità irachene di agenti statunitensi, israeliani e sauditi insieme ai miliziani dell'ISIS, e la confessione di Mohammed Mehmet Rashid, che per conto del governo canadese arruolava giovani nella milizia islamica. Ancor di più se lo stesso governo canadese, in seguito, ha autorizzato i raid aerei che giorni fa hanno spazzato via diversi obiettivi sensibili dell'ISIS. Insomma, l'ISIS vince davvero solo quando viene lasciata avanzare, soprattutto quando la coalizione anti-terrorismo bombarda le infrastrutture siriane ed irachene anziché i pozzi petroliferi e i campi d'addestramento del Califfato. Non servirebbero quindi migliaia di uomini per combatterlo, men che meno il suo riconoscimento all'ONU.
"Con gli assassini di bambini non si tratta" dichiarava Vladimir Putin durante il sequestro della scuola elementare di Blesan, in Ossezia, il 6 settembre 2004 da parte di un gruppo di terroristi ceceni ben organizzati (300 i civili uccisi dagli islamisti ceceni, di cui la metà bambini). Vi immaginate Putin riconoscere gli infanticidi jihadisti di Beslan come interlocutori politici? (e i crimini compiuti dall'ISIS sarebbero ad oggi di ben maggiore gravità). Già all'epoca, quasi profeticamente, il presidente russo aggiungeva:
"Immaginate semplicemente che le persone che colpiscono alle spalle i bambini arrivino al potere dovunque nel mondo. Chiedetevi semplicemente questo, e voi non vi porrete più domande sulla nostra politica in Cecenia", che "non e' l'Iraq" ma "una parte vitale del territorio russo"
(vedi l'articolo Beslan: l'Islam e i timori dell'Italia).
Insomma, sembra esserci odore di “farsa”, nello scontro diplomatico tra Ankara e il Vaticano e nel risalto mediatico che gli viene dato in questi giorni. Quasi a voler nascondere un gioco molto, molto diverso da quello che appare. Un gioco condotto da quelle che qualcuno potrebbe definire “menti raffinatissime”.
E Vladimir Putin, almeno per ora, non è candidato a Vescovo di Roma.
Approfondimenti:
Tra Sacro e Profano. Un'altra storia possibile, di Jacopo Castellini
Ma cos'è questa crisi, di Alberto Roccatano
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo, di Alberto Roccatano