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Mangiamo meglio dei nostri nonni?

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Un estratto dell'articolo di Marco Cedolin tratto dall'ultimo numero di PuntoZero, che potete trovare in edicola o nel nostro shop onlne. Buona lettura [Redazione]


Il settore alimentare, inteso in maniera omnicomprensiva nell'intero suo ciclo di produzione, distribuzione e consumo è stato stravolto così profondamente nel corso dell'ultimo secolo da rendere necessaria una profonda riflessione sulla natura e sugli effetti di tali stravolgimenti. Noi oggi ingurgitiamo senza ombra di dubbio quantità di cibo superiori a quelle che mangiavano i nostri nonni e godiamo di una dieta assai più variegata della loro, ma questo non significa per forza di cose un miglioramento, perché la qualità della nostra alimentazione non reggerebbe il confronto con quella del passato e spesso i cibi che gustiamo risultano essere tossici per il nostro organismo.

Autoproduzione, agricoltura ed allevamento su piccola scala

Nella prima metà del secolo scorso l'autoproduzione del cibo costituiva il pilastro sul quale si basava l'alimentazione della famiglia e non uno stile di vita alternativo per pochi intimi come accade oggi. Nelle campagne e nelle montagne, non ancora spopolate dalla migrazione verso la città, praticamente ogni famiglia coltivava un piccolo appezzamento di terreno e possedeva una stalla dove allevare il bestiame. Le colture erano quelle permesse dalle specificità del territorio, facendo sì che la dieta risultasse spesso monotematica e l'esito del raccolto poteva essere pregiudicato dalle bizze del tempo, ma non venivano usati pesticidi e concimi chimici, così gli alimenti colti e consumati sul posto si manifestavano sani e ricchi di potere proteico e vitaminico. Il bestiame veniva alimentato con i prodotti della terra, anziché con mangimi adulterati nelle più svariate maniere e quando possibile passava la giornata all'aperto, facendo sì che la qualità della carne, degli insaccati, del latte e dei formaggi fosse di gran lunga superiore rispetto a quella che conosciamo oggi. Gli alimenti venivano conservati attraverso metodi naturali che non ne pregiudicavano il potere nutritivo e l'eventuale eccedenza rispetto al bisogno familiare era oggetto di dono o scambio all'interno della comunità o poteva essere venduta al mercato.

La città e le botteghe

All'interno delle città, che ancora non possedevano una dimensione metropolitana, l'autoproduzione era per forza di cose quasi inesistente e le famiglie si vedevano costrette ad acquistare tutto il proprio fabbisogno alimentare. Spesso i "cittadini" si recavano personalmente presso i cascinali sparsi nella campagna adiacente per rifornirsi del cibo, oppure acquistavano ciò di cui avevano bisogno all'interno dei mercati rionali o nelle botteghe. A prescindere da quale fosse la scelta di ciascuno, si trattava sempre di prodotti derivanti da coltivazioni o allevamenti locali, la cui natura variava in funzione delle stagioni e delle peculiarità del territorio. Cibi per molti versi "poveri" e scarsamente variegati che però brillavano per la propria genuinità, non avendo subito alcun trattamento chimico durante tutte le fasi della propria produzione. Le botteghe cittadine erano generalmente di piccole dimensioni ed altamente specializzate, gestite il più delle volte da bottegai che da tutta la vita facevano quel mestiere. Si trattava del fornaio, del macellaio, del salumiere, del verduriere, del fruttivendolo, del pescivendolo, del lattaio, del formaggiaio, del pastaio. Tutte figure professionali di grande esperienza e spesso tradizione familiare che erano in grado di consigliare adeguatamente il cliente e generalmente godevano della sua fiducia, all'interno di un rapporto conviviale formatosi negli anni.

Le fasce meno abbienti della popolazione potevano permettersi di consumare la carne, gli insaccati, il pesce o comunque gli alimenti di prezzo più elevato solo saltuariamente ed erano costretti a ricorrere ad una dieta povera, composta prevalentemente di pasta, polenta, pane e legumi. Spesso a causa delle ristrettezze economiche anche la quantità del cibo consumato e conseguentemente il suo valore calorico erano inferiori al necessario, ma nonostante ciò si trattava sempre di alimenti assolutamente genuini. Molte persone soffrivano di carenze vitaminiche (imputabili alla scarsa disponibilità di cibo) ma le intolleranze alimentari praticamente non esistevano, l'obesità era rarissima ed i tumori quasi sconosciuti.


Sopra: preparazione della sopressa vicentina negli anni '50. Fonte: web.


 

Lo spopolamento delle campagne e la fuga verso la città

A partire dal primo dopoguerra, il fiorire della grande industria iniziò a produrre un vero e proprio esodo dalle campagne e dalle montagne verso le città. Nel volgere di un paio di decenni una miriade di piccoli paesini e frazioni, abitate da persone che vivevano grazie all'autoproduzione, si spopolarono completamente. I giovani scelsero in massa di andare a lavorare in fabbrica, dove i salari consentivano di condurre una vita più agiata, anziché continuare a coltivare la terra ed allevare bestiame per la mera sopravvivenza o poco più.
Di contralto le città iniziarono ad espandersi in maniera esponenziale, raddoppiando quando non perfino triplicando (come accadde nelle grandi città del nord che raccolsero anche la migrazione dall'Italia meridionale) il numero dei propri abitanti. Vennero creati sempre nuovi quartieri ed il numero delle botteghe iniziò a crescere a dismisura.
Contemporaneamente il progredire della tecnologia aveva messo a disposizione delle famiglie gli elettrodomestici e fra questi i frigoriferi dove poter conservare i cibi, al contempo il progredire dei mezzi di trasporto e della rete stradale iniziava a consentire lo spostamento di grandi quantità di merce su distanze sempre maggiori, a fronte di costi via via inferiori.



Sopra: un'immagine del forno Cavalli negli anni '50. Fonte: sito web.


Nasce l'industria alimentare

La presenza di un numero sempre più consistente di persone costrette ad acquistare il proprio intero fabbisogno alimentare, non essendo più in grado di autoprodurre nulla, unitamente alle accresciute capacità tecnologiche e alla possibilità di trasferire le merci per centinaia di km con costi tutto sommato irrisori, furono le principali molle che innescarono una vera e propria rivoluzione nell'ambito della produzione di alimenti. L'industria alimentare sostituì di fatto i produttori tradizionali, ma ad essere rivoluzionata in profondità fu la stessa concezione di cibo, trasformatosi da alimento a prodotto, affiancato nella sua nuova natura a tutte le altre merci esistenti.

La sostituzione degli alimenti con i prodotti alimentari, unitamente alla necessità di disporre di sempre più "materia prima", indispensabile per sfamare le moltitudini che non producevano più nulla, cambiò radicalmente la scala dell'agricoltura e dell'allevamento. I piccoli appezzamenti coltivati dai contadini, destinati in larga parte all'autoproduzione, lasciarono il posto alle coltivazioni su larga scala, così come le stalle delle cascine furono sostituite dagli allevamenti intensivi praticati con metodi industriali. Alla base di tutta questa metamorfosi la parola d'ordine fu la massimizzazione del profitto, spesso ottenuta per mezzo della tecnologia e della chimica.
In campo agricolo l'uso dei pesticidi permise di ottenere un rendimento più alto delle coltivazioni, così come i concimi chimici elevarono la redditività dei terreni. Nell'allevamento le stalle ed i pollai si trasformarono in immensi capannoni, dove gli animali sopravvivevano stipati l'uno accanto all'altro senza mai vedere la luce del sole. Il fieno ed i tradizionali prodotti della terra furono sostituiti dai mangimi con additivi chimici e man mano anche larga parte dell'intervento umano lasciò spazio alle macchine, nella mungitura, così come nella macellazione. Iniziò anche la pratica dell’agricoltura all'interno delle serre per la coltivazione a raccolto continuo, in modo da ottenere qualsiasi prodotto in tutte le stagioni.
Ai tradizionali alimenti sfusi iniziarono ad affiancarsi i prodotti confezionati, risultato della lavorazione industriale, che ottennero in maniera sempre maggiore i favori dei consumatori. Nacquero così tutta una nuova serie di prodotti, dai formaggini agli hamburger, dalle merendine ai piselli in scatola, dai bastoncini di pesce ai concentrati di pomodoro, dai dadi alla maionese in tubetto, dalle patatine alle tavolette di cioccolata, dalle sottilette all'orzo solubile, dai datteri confezionati alle pesche sciroppate e la lista potrebbe essere infinita.

La dieta della popolazione progressivamente cambiò in maniera radicale e diventò sempre più varia…

Continua…

…su PuntoZero n.5 (aprile – giugno 2017), disponibile in edicola e nel nostro shop


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