Roma, 9 ago – Il 24 marzo 2016, il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia, ha condannato Radovan Karadžić, presidente della Repubblica Srepska (è l’entità territoriale che nacque in opposizione al risultato del referendum voluto in Bosnia dalla comunità europea e con il quale croati e musulmani votarono in favore di una Bosnia Erzegovina indipendente) dal 1992, a 40 anni di reclusione con l’accusa di genocidio, persecuzione e crimini contro l’umanità, deportazione e violazione delle norme e consuetudini di guerra per fatti commessi durante la Guerra in Bosnia, fra il 1992 e il 1995. I giudici della Corte lo hanno dichiarato colpevole, fra gli altri, per il genocidio di Srebrenica, quando un numero imprecisato (forse cinquemila, forse ottomila) di uomini non serbi, musulmani e bosniaci vennero uccisi e decine di migliaia di donne, anziani e bambini vennero forzatamente trasferiti e detenuti.
Nelle pagine della stessa sentenza, si legge però che non sussistono prove sufficienti per ritenere che Slobodan Milosevic abbia in alcun modo avallato il piano e le scelte di Karadzic, finalizzate alla sola eliminazione dei “non serbi”. La Corte ha rilevato inoltre che i rapporti tra Milosevic e l’accusato si sarebbero infatti deteriorati dal 1992, e fino al 1994, quando i due leader non avrebbero più condiviso la stessa opinione circa le azioni da intraprendere. Dal marzo 1992, il divario tra l’imputato e Milosevic, negli incontri con i rappresentanti internazionali, sarebbe stato tanto evidente che Milosevic e altri leader serbi avrebbero apertamente accusato i leader serbo-bosniaci di commettere “crimini contro l’umanità” e “pulizia etnica” e di lottare per il proprio interesse. Nelle duemilaseicento pagine della sentenza, la vera notizia sarebbe proprio questa: l’assoluzione di Slobodan Milosevic (che ha trascorso gli ultimi cinque anni della sua vita in carcere). Ciononostante, a fronte delle potenziali ricadute politiche che essa potrebbe avere, la portata mediatica che ne è seguita è stata pari a zero.
È un dato di fatto che né la stampa internazionale né i leader occidentali si siano presi la briga di parlarne, di approfondire. Né conferenze stampa, né tentavi di riabilitazione, né pubblici mea culpa da parte di chi, in quegli anni, ha voluto ad ogni costo la fine di Milosevic e la distruzione della Jugoslavia. Quel che risulta con ogni evidenza è che Milosevic avrebbe fino alla fine cercato un accordo con le potenze occidentali, ONU compresa, opponendosi anche alla creazione della Repubblica Srepska. Ancora una volta sulle conseguenze e sulle decisioni che devastarono per quasi una decade i Balcani aleggia lo spettro a stelle e strisce e quello della signora Albright.
Fonte: Il Primato Nazionale
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