Sembra che il Mossad si sia fatto prendere col sorcio in bocca. I professionisti per eccellenza delle “covert operations”, i maestri a cui guardano con deferenza tutti gli altri servizi del mondo, si sono fatti prendere come dilettanti allo sbaraglio dal controspionaggio di uno staterello “qualunque” come l’Emirato del Dubai. Lo racconta Bob Baer, l’ex-analista della CIA e accusatore del proprio governo per l’inside job del 9/11, in un articolo comparso ieri su Time.com.
Secondo la sua ricostruzione, ben 26 agenti del Mossad hanno partecipato all’operazione per eliminare un dirigente di Hamas nella sua stanza d’albergo di Dubai, lo scorso 19 gennaio. L’uomo era sospettato di vendere armi iraniane ai palestinesi di Gaza.
Come si vede nelle immagini delle telecamere di sicurezza due insospettabili turisti, travestiti da giocatori di tennis, seguono in ascensore la vittima che viene accompagnata nella sua stanza da una hostess dell’albergo. Più tardi gli uomini del Mossad si introducono nella stanza e lo uccidono lasciando il corpo nel letto, in posizione naturale, con i vestiti ben ripiegati sulla poltrona, in modo da far apparire il tutto come un normale attacco di cuore. Come tocco finale gli assassini, giustamente, escono lasciando la porta chiusa a chiave dall’interno.
Impeccabile, almeno all’apparenza.
Peccato che l’autopsia abbia rivelato nel sangue della vittima …
… la presenza di composti chimici di tipo paralizzante, che sarebbero serviti per poterla soffocare con tutta comodità con il proprio cuscino.
L’uso inoltre di una nuova tecnologia digitale, in grado di ricercare con grande rapidità fra milioni di fotogrammi archiviati dalle telecamere di sicurezza, ha permesso di ricostruire passo per passo le azioni degli agenti del Mossad, dal momento in cui fanno il check-in all’albergo fino a quando lo abbandonano, per dirigersi rapidamente all’aeroporto e lasciare il paese.
In particolare, si vede uno degli agenti che finge di chiamare l’ascensore, mentre comunica rapidamente con un palmare nel corso dell’operazione.
Forse gli israeliani non pensavano che il “piccolo” Dubai disponesse di tecnologie di questo tipo, che infatti – suggerisce Baer – gli sarebbero state fornite da “altri paesi”.
Ben 26 gli agenti smascherati in questa operazione, che ovviamente rappresenta una debacle di portata storica per la gloriosa agenzia israeliana: non solo vedersi bruciare così tanti operativi in un colpo solo sarebbe una mazzata per chiunque, ma il fatto che questi agenti abbiano usato passaporti con false identità, rubate a cittadini inglesi e francesi, comporta ora degli strascichi di tipo internazionale non da poco.
Ma a stupire è soprattuto la scelta di portare a termine una operazione così delicata proprio nel Dubai, stato la cui alleanza è assolutamente indispensabile ad Israele nel suo interminabile braccio di ferro con l’Iran. È infatti da Dubai che passa il 75% della benzina raffinata che l’Iran utilizza per il suo consumo interno, facendo così del piccolo emirato una pedina-chiave a cui rivolgersi eventualmente per ricattare il nemico iraniano.
Ora invece la tensione fra i due stati monta di giorno in giorno, riducendo al minimo le possibilità di Israele di formare una valida coalizione di stati arabi “moderati” contro il perfido Ahmadinejad.
Curiosamente proprio in questi giorni il vicepresidente americano Biden è stato a Tel Aviv. Ufficialmente l’ha fatto per andare a riaffermare – come se ce ne fosse bisogno – il completo e totale supporto degli Stati Uniti ad Israele, ma in realtà sembra che sia andato proprio per cercare di calmare le bollenti intenzioni di Israele, che sembra non voler rinunciare al suo malaugurato progetto di bombardare l’Iran.
Sempre in attesa di qualcuno che si decida finalmente a staccare la spina al fondamentale, e probabilmente unico, vero pericolo che mette oggi a rischio gli equilibri internazionali in medio oriente, e cioè il sionismo in Israele.
Massimo Mazzucco
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