Che siano associazioni culturali, movimenti più o meno politicizzati, o partiti veri e propri, i ”gruppi ideologici” di qualunque tipo formano da sempre l’unità di misura nell’analisi delle mutazioni del pensiero sociale.
Furono “gli illuministi” a portare la rivoluzione francese, furono “le femministe” a portare le leggi sul divorzio e sull’aborto, furono i “no global” a venire picchiati, a Genova, come se fossero dei delinquenti qualunque.
Sull’esempio dei “grillini”, qualcuno si è domandato se si potessero organizzare in Italia dei “gruppi di luogocomune” che si incaricassero in qualche modo di diffondere, anche a livello locale, un certo tipo di informazione.
A parte la differenza stratosferica fra i lettori di Grillo e quelli di luogocomune – qui non si tratta nemmeno di differenza numerica, ma di una diversa magnitudine – il vero problema si annida proprio nel concetto di gruppo, al di là di qualunque connotazione ideologica.
“Gruppo” significa organizzazione, e organizzazione significa gerarchia. Non si scappa. Per quanto “democratici” si voglia essere, nel momento in cui “c’è da fare” qualcosa, ci deve essere qualcuno che la fa, e qualcun altro che gli dice di farla.
Puoi scambiarti i ruoli, puoi umiliarti sistematicamente, puoi metter ai voti ogni minimo gesto che fai, ma l’azione necessariamente impone un’organizzazione, e questa a sua volta impone una gerarchia.
Anche se due persone devono spostare un divano, ci vuole sempre uno che dica “tu prendilo di là, che io lo acchiappo di qua”, se no il divano non si muove.
E finchè si tratta di spostare divani, non ci vuole molto a capire che è meglio afferrarli dai due estremi, invece di mettersi tutti e due al centro, ma quando la finalità è di tipo ideologico le cose si complicano immediatamente.
– Che cosa siamo qui a fare, di preciso?
– A portare informazione.
– Quale informazione?
– Questa, no?
– Ma non sarebbe meglio quella?
– Con quella non arrivi da nessuna parte. Questa è meglio.
– Non sono d’accordo.
– Qui ci vuole un manifesto.
E’ l’inizio della fine. Nasce il manifesto, con la sua nobile e limpida ”dichiarazione di intenti”, e da quel giorno tutti coloro che vorranno far parte del gruppo dovranno in qualche modo adeguarsi a quegli intenti.
– Ma cosa fai?
– Stavo dando delle informazioni a questo signore.
– Ma quelle informazioni non servono, non sono utili ai nostri intenti.
– Mah, a me veramente sembrava…
La tua libertà è già finita.
Nel momento in cui devi adeguare un tuo gesto ad una ideologia, invece di esprimere un’ideologia con il tuo gesto, non sei più un uomo libero. Sarai anche condizionato da una ideologia nobile e pura, ma sei comunque condizionato, perchè a te in quel momento veniva da fare un’altra cosa.
– Ma scusa, non potrei comunque provare a …
– Certo che puoi provare. Però esci dal movimento, perchè qui non c’entri niente.
A quel punto succede che ti incazzi e dici:
– Ah, sì? Va bene. Adesso te lo faccio vedere io, chi c'entra e chi no!
Esci sbattendo la porta, scrivi un altro manifesto, e ti fondi il tuo contro-movimento.
Nasce così il divide et impera. Girotondi, grillini e ambientalisti, pacifisti trafficanti e juventini, tutti a competere per salvare il mondo a modo loro, mentre si dividono, al loro interno, in correnti correntuzze e correntine.
Senza nessun bisogno che il potere stia ad aizzarli fra di loro, è sufficiente che la buona volontà della gente cerchi di organizzarsi in “gruppi” di qualunque tipo, e la sua sconfitta è garantita.
"Cazzo compagni, cordone!" – urlavano nel '68. E si sono legati tutti fra di loro.
Movimento studentesco, lotta continua, avanguardia operaia, movimento continuo, lotta operaia, avanguardia studentesca, alla fine bastò che l’Italia vincesse i mondiali, e tornarono tutti a casa felici e contenti.
Non parliamo poi dei partiti veri e propri, dove la buona volontà della gente viene direttamente incanalata in strutture rigide e ipercontrollate, dove vigono dinamiche di potere più feroci di quelle che a volte si vorrebbero combattere.
Purtroppo è una verità inconfutabile: qualunque organizzazione di tipo umano – dal partito politico al club di tifosi, dalla setta satanica all’associazione di pescatori – può funzionare solo a costo di una limitazione della libertà individuale.
Questa limitazione può essere accettabile finchè si tratti di questioni pratiche (cerchiamo tutti di rispettare i semafori, altrimenti finiamo per farci del male fra di noi), ma quando si tratta di libertà ideologica l’individuo rimane la massima unità di aggregazione possibile.
Abbiamo già dei grossi problemi ad andare d’accordo con noi stessi, figuriamoci con gli altri.
Al massimo, con gente che nemmeno si conosce di persona, si possono condividere dei principi “di grande respiro”, come la libertà di parola o il rispetto delle leggi vigenti, il desiderio di verità o il rispetto dell'individuo, ma nel momento in cui trasformi i principi in azioni pratiche ciascuno deve essere libero di farlo nel modo che ritiene più opportuno.
Se poi un giorno si decide di organizzare una proiezione de “Il Nuovo Secolo Americano” nel proprio quartiere, allora ci si riunisce per l’occasione, si decide chi trova il locale adatto e chi distribuisce le locandine, e poi ciascuno torna a casa sua, senza bisogno di “gruppi”, sedi o manifesti di alcun tipo.
Il manifesto, quello vero, sta dentro ciascuno di noi.
tratto da luogocomune