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Possessione, un fenomeno antico e moderno

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Estratto dal quinto capitolo di Pyramidion:

"Possessione: un fenomeno antico e moderno"

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando l’homo tecnologicus (l’uomo moderno assuefatto al medium tecnologico) sente la parola “possessione” l’associa a film come l’Esorcista, basato sul canonico cliché interpretativo del demone che s’impossessa del corpo del povero malcapitato per carpirne l’anima. Ovviamente questa chiave di lettura varia nei particolari da cultura a cultura ma la ritroviamo praticamente in tutte le società presenti nei cinque continenti. Questo significa che il fenomeno è presente o è percepito tale quasi all’unanimità dalla razza umana.
Nelle diverse tradizioni di tutto il mondo la possessione è opera sia di antenati, esseri umani deceduti e decaduti (1) ma soprattutto di esseri soprannaturali, classificati come demoni, divinità, esseri angelici, fino ad arrivare ai vertici dei due cosiddetti schieramenti del male e del presunto bene.
A questo millennario fenomeno l’umanità ha risposto con quello che è diventato nell’inconscio collettivo l’esorcismo in stile cattolico che, come andremo a vedere, è un rituale magico di possessione ad opera di una fazione rispetto ad un’altra, forze che hanno entrambe interesse ad acquisire l’energia umana. Qualcuno potrà trovare spiazzante quest’ultima frase poiché esula dai soliti binari mentali su cui l’essere umano è stato costantemente dirottato, ma a tale conclusione siamo giunti dopo alcuni eventi a cui abbiamo testimoniato, conclusione questa condivisa da altre persone che studiano approfonditamente questo complesso fenomeno. Se nel passato si attribuiva l’etichetta di “indemoniato” o “posseduto” anche a individui soggetti a squilibri neurochimici che potevano sfociare in patologie mentali più o meno gravi, ora il moderno conscio collettivo è stato dirottato nella sua più estrema ateizzazione e scientismo cui persino la Chiesa mette in relazione la possessione con malattie mentali quali schizofrenia, psicosi, sindrome da personalità multipla, sindrome di Tourette, ecc. Però, come solitamente capita, la verità sta nel mezzo e alcuni squilibri psichici possono essere la conseguenza di un fenomeno di interferenza che, generando una risposta endocrina alterata, danno vita a uno squilibrio neurofisiologico che la scienza crede ne sia la causa.
Ai giorni nostri tra gli esorcisti o gli studiosi del fenomeno ci si serve di una serie di parametri per classificare la possessione, ad esempio il soggetto:

 

  • presenta xenoglossia (comunica attraverso lingue a questi sconosciute, a volte antiche);
  • presenta forza fisica di molto superiore alla sua normale capacità;
  • presenta capacità predittive, telepatiche, ecc;
  • presenta avversione a elementi religiosi ritenuti sacri.

Per determinare se il soggetto sia affetto da disturbi psicofisici o di altra natura le pratiche esorcistiche fanno uso di preghiere dirette a quest’ultimo, se reagisce in forme estreme o non convenzionali durante la recita l’esorcista può stabilire di essere di fronte a un caso di possessione diabolica (2). Nella tradizione ebraica la possessione è ad opera del dibbuk o dybbuk, uno spirito maligno in grado di possedere gli esseri viventi attaccandosi al loro corpo per coabitarci. A causa della forma mentis prettamente umanocentrista gli ebrei ritengono che lo spirito disincarnato sia quello di una persona morta a cui non è stato permesso l’ingresso allo Sheol, il mondo dei morti, non contemplando l’idea dell’esistenza di altre intelligenze e altre realtà al di fuori di quella terrestre (3). La concezione del dibbuk presenta delle analogie con il karma orientale ma limitandolo ad un’unica esistenza in cui all’anima che non fosse stata in grado di portare a termine la propria funzione o le azioni richieste nella propria vita terrena, spesso macchiandosi di trasgressioni gravi, viene data una seconda opportunità per portare a termine ciò che non è riuscita a fare in vita, ciò attraverso la forma fantasmica di un dibbuk, a metà tra i due mondi. Nella tradizione ebraica quest’ultimo abbandonerà l’ospite (il soggetto parassitato) solo quando avrà portato a termine il compito “karmico”. La persona costretta a ospitare lo spirito maligno si trova nella condizione di essere usata con il rischio di non riuscire a compiere il proprio destino e trovare la propria identità che è in qualche modo fusa con quella del parassita, rischiando così dopo la morte di diventare a sua volta un dibbuk, per adempiere a ciò che non è riuscita a compiere nella vita terrena. Nell’Induismo la possessione è spesso associata alla feroce dea lunare Kālī, i cui connotati iconografici la vedono munita di una bocca grondante di sangue e provvista di lunghi canini e rimandano all’essere parassita per eccellenza, il vampiro, figura che ha riscosso un morboso interesse in Occidente nel periodo gotico e che non si è mai sopito nelle società sempre più decadenti che sono seguite. La dea è associata al suo oscuro sposo, il dio distruttore Shiva (4). Nella tradizione indù si crede che Kālī o le sue varie incarnazioni, a cui sono offerti sacrifici di animali, possano possedere gli esseri umani, considerando ciò come una condizione di maggiore santità (Fig. 1). Per assurdo i posseduti della dea sono venerati in India e proprio a loro vengono richieste benedizioni, fungono infatti da medium con il divino (5) ma paradossalmente, se poi la possessione persiste, viene interpellato l’esorcista del villaggio allo scopo di farne uscire lo spirito “divino”.


Figura 1: un adepto durante una possessione, considerata come una sorta di fusione con la divinità.


Approfondimento

Fino a metà dell’Ottocento i Thogi erano una setta dedita alla rapina e all’omicidio e professavano il culto alla dea Kālī a cui sembra fossero sacrificate e fatte a pezzi alcune vittime da loro rapite. Al di là della loro pessima fama — creata ad hoc dagli inglesi che invadendo l’India trovarono resistenza da parte dei Thogi supportati dai nobili signori locali — ci sono dei punti di contatto con altre sette legate alla dea o al suo oscuro sposo. Ad esempio, i monaci Aghori di Varanasi, adoratori del dio Shiva, sono noti per soggiornare in luoghi di cremazione o meditare sopra ai cadaveri, bere da teschi umani usati nella loro ritualistica, banchettare con carne umana in decomposizione, persino cibarsi di escrementi e urina o unirsi sessualmente con prostitute durante il loro ciclo mestruale. Questi monaci fanno uso di una combinazione di marijuana, alcol e particolari meditazioni per giungere in uno stato di mente che li possa avvicinare alla loro divinità.

Nello Shintoismo invece abbiamo gli yōkai, da , “maleficio, fattucchieria” e kai, “manifestazione inquietante”, il cui significato può essere tradotto con “apparizioni”, “spiriti” o “demoni”. Gli yōkai sono una tipologia di creature soprannaturali descritte nella mitologia giapponese, tra cui le kitsune e una loro specie denominata ninko, capaci di interagire con gli esseri umani possedendoli (6). La tradizione narra che alcune tipologie di kitsune hanno il dono dell’invisibilità e del volo, sono mutaforma, hanno la capacità di entrare nei sogni e di creare illusioni complesse ed elaborate. Le più dotate sono in grado di modificare lo spazio e il tempo e far impazzire le persone. La tradizione narra che quando gli esorcismi praticati nei santuari shintoisti non sortivano effetto il posseduto poteva persino essere bruciato vivo nella speranza di costringere la kitsune ad abbandonare la vittima. La ritualistica di possessione (7) è presente anche nella Wicca, religione fondata dal massone, rosacroce, teosofo e simpatizzante di Crowley, Gerard Gardner, che si basa sulla stregoneria europea druidica la cui ritualistica e simbolismo proviene dai millenari culti lunari (Fig. 2). Il rito wicca denominato Drowing down, letteralmente “tirare giù”, è un’invocazione alla “divinità”, solitamente femminile, affinché “scenda” in una sacerdotessa, mentre una seconda invoca la presenza di un’altra “divinità”, generalmente maschile che possiederà il sacerdote. Il rito Drowing down the moon è l’invocazione alla dea lunare (corrispondente alla dea Kālī degli Indù) mentre il Drowing down the sun, l’invocazione/possessione alla divinità solare, i cui nomi cambiano in base al culto ma la cui matrice di base è identica. Durante l’invocazione, spesso legata agli esbat e al plenilunio, la sacerdotessa e/o il sacerdote cercano di alterare la propria coscienza per permettere la possessione della “divinità” su di loro, questa interagirà nel cerchio magico costituito dagli adepti. In queste pratiche non sono previste forme di esorcismo poiché ingenuamente i wiccan sono stati indottrinati alla credenza che non esistano entità negative ma solo “naturali”. In molti Ordini magici riscontriamo come la possessione sia contemplata nei gradi più avanzati. 

Figura 2: l’Alta Sacerdotessa di Gerard Gardner, Monique Wilson, con il simbolo lunare sulla fronte, simbologia presente fin dai tempi della dea babilonese Isthar. L’Alta Sacerdotessa del culto della Wicca ha in mano la spada, strumento magico in uso negli Ordini magici in cui si contempla anche la ritualistica di possessione (solitamente nei gradi segreti), e lo skyclad, letteralmente “vestirsi di cielo”, ossia la nudità rituale, anch’essa in uso negli ambienti magico-esoterici.


Persino la new age non è immune a questa pratica, spesso ammantata di esotismo come il cosiddetto channeling che, quando non si tratta di simulazione e frode, è semplicemente una forma di possessione rivestita a nuovo. Il fenomeno della possessione nel Cristianesimo è presente nel Nuovo Testamento, con gli esorcismi ad opera di Gesù Cristo, ma c’è un’altra forma più subdola di possessione, ovvero quella ammantata di santità. Se nella Wicca la ritualistica della possessione coincide spesso con gli esbat, rituali neopagani legati ai cicli lunari, nel Cristianesimo abbiamo la Pentecoste proveniente dalla tradizione ebraica. Nel culto cristiano a questa festa è correlata l’effusione dello Spirito Santo, ovvero la discesa dello Spirito Santo che possiede l’adepto (Figura 3).

Figura 3: nell’opera Miracolo di Pentecoste di Fidelis Schabet si rappresenta la discesa dello Spirito Santo attraverso la discesa delle piccole fiammelle o globi luminosi, iconografia presente anche in altre culture all’altro capo del pianeta. Nei prossimi capitoli analizzeremo più approfonditamente gli occulti risvolti dietro a questo simbolismo archetipale con cui il nostro inconscio rappresenta la possessione della mente e del corpo umano ad opera di entità luminose definite “divine” dal culto e rappresentate attraverso l’immagine di fiammelle vicine al capo o grandi fiamme che avvolgono l’intero corpo quando si tratta di possessioni ad opera di entità luminose di più alta gerarchia.


Il fenomeno è ben contemplato anche nell’Islam che tratta la possessione ad opera degli jinn, gli spiriti maligni, o addirittura di Shaitan, Satana. In ben nove versetti del Corano c’è un esplicito riferimento alla possessione degli spiriti maligni ma, proprio come per il Cristianesimo, le possessioni delle presunte divinità, in questo caso di Allah e dei suoi messaggeri, vengono ammantate di santità per spingere i fedeli a rendersi disponibili a questo subdolo fenomeno ancora troppo sottovalutato e poco conosciuto (Fig. 4).

Figura 4: Maometto, il portavoce del culto con il volto velato, dipinto con un grande spirito luminoso che gli avvolge l’intero corpo mentre entra in contatto con l’arcangelo Gabriele, messaggero dell’oscura divinità dietro all’Islam e alle altre religioni, la cui ritualistica è prerogativa di una mente primitiva e ritualizzata che ha ideato tali forme distorte di schiavitù mentale transgenerazionale divenuta nel tempo la realtà di consenso umana chiamata “religione”.


La possessione è alquanto nota anche nelle varie società tribali sciamane, ad esempio gli Hausa del Niger meridionale hanno un culto di possessione chiamato bori. Nei riti bori viene impiegata la pianta allucinogena Datura metel L. sia per un uso esorcistico sia per indurre o facilitare alcuni tipi di possessione. Il rito di possessione ha per questa società tribale una finalità prettamente terapeutica, ovvero quando una persona malata non trova guarigione con le terapie tradizionali provenienti dalla recente influenza islamica, ci si rivolge alla ritualistica bori. Nella tradizione degli Hausa la malattia è presidiata da una delle divinità da loro venerate aventi il potere di guarire l’uomo. In questo culto tribale sono possedute le “donne-bori”, chiamate “giumente degli dèi” e proprio come in altre tradizioni sciamane i “posseduti alla divinità” ricevono l’abilità di guarire la persona malata. Come c’era da aspettarsi in tutto questo, la scienza ufficiale ha avuto il compito di declassare e dunque screditare il fenomeno, segnalando l’assenza di attività paranormali nei casi studiati, senza però informare di non possedere gli strumenti per rilevarle in tutte le loro complesse sfumature e che in questo ancestrale fenomeno non ci sarebbe solo l’attività paranormale ma anche il presunto aspetto tecnologico che a breve tratteremo. In tale superficiale e affabulistica ricerca ad opera del mainstream scientifico si è voluto ridimensionare il fenomeno a mera chiave d’interpretazione psichiatrica ove questo nel suo complesso è frutto di psiche malate.

 

Note:

1. Questi sono a volte classificati in varie tipologie in base al tipo di morte occorsa: spiriti vendicativi, coloro che sono morti di stenti e privazioni imposti da qualcuno; spiriti di rancore, coloro che in vita hanno subito gravi ingiustizie, abusi e torture che li hanno portati a una morte atroce; spiriti vaganti, coloro che non sono consapevoli di essere morti e rimangono agganciati a luoghi e persone credendosi ancora fisicamente vivi. Probabilmente questo è il motivo per cui è nato il culto degli antenati in molte società del passato come quella romana o giapponese, al fine di ottenere protezione ed eventuale aiuto da tutti i potenziali spiriti ostili.

2. L’assenza di risposte di rilievo non implica automaticamente che il soggetto sia libero da interferenze potendo queste semplicemente rimanere inalterate e indifferenti alla liturgia del culto cristiano o ad altre forme di culto praticate sulla Terra.

3. Se analizziamo storicamente la nascita delle scienze scopriremo che il Collegio Invisibile di matrice rosacrociana, che ha dato i natali alla Royal Society e al materialismo scientifico, sembra trarre origine dalla forma mentis ebrea visto anche il loro gran numero tra le file di scienziati e pensatori. Va detto anche che molti di questi scienziati erano visionari e metafisici al punto da rompere con la tradizione, ma il loro aspetto più esoterico e mistico è stato prontamente nascosto alle masse presentandoli nella veste edulcorata di padri della scienza meccanicistica, della fisica quantistica, ecc. o simpatici eccentrici nella vita privata.

4. Shiva, il cui epiteto “Signore degli animali” apparteneva anche a un dio cornuto, da alcuni identificato con il dio fenicio Baal, portato in Oriente, specialmente in Tibet, diversi millenni fa. Shiva è la divinità indù i cui attributi sono i più simili a quelli dati a Satana.

5. Il concetto di divino nelle varie religioni è alquanto discutibile se diamo a questa parola un’accezione positiva o benevola poiché la sua ambivalenza tra bene-male è molto labile.

6. In Giappone questa tradizione è rimasta viva al punto che si è dubitato che le kitsune avessero posseduto alcuni adepti della setta giapponese Aum Shinrikyo, nota a seguito delle strage nella metropolitana di Tokyo il 20 marzo 1995 quando ufficialmente alcuni seguaci della setta rilasciarono gas tossico sarin uccidendo dodici persone ed intossicandone circa seimila.

7. La ritualistica della possessione presenta diverse analogie in molti culti e religioni, l'ipotesi di tali motivazioni saranno espresse nei prossimi capitoli. 

 

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