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Potere e grande reset

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1. IL POTERE RIGUADAGNA CONSENSO

Il rapporto di forza dominante, grazie all’emergenza epidemiologica, sfruttata o creata ad arte che sia, riguadagna il consenso che, come s’è evidenziato nel nostro Glebalizzazione. La lotta di classe al tempo del populismo (Rizzoli 2019), stava sempre più perdendo nell’era dei populismi, dei sovranismi e delle nuove jacqueries come Occupy Wall Street e le “giubbe gialle” di Francia. La paura e lo smarrimento generali, indotti e amministrati dal circo mediatico e dal clero giornalistico, ma poi anche la creazione di un nuovo nemico “invisibile”, quale è il virus, sortiscono un effetto che è sotto gli occhi di tutti: producono coesione e senso di appartenenza, ma poi anche fiducia nelle istituzioni e, in generale, in chi amministra il potere, da cui ora dipende il trionfo sul nemico invisibile e la conseguente “salvezza” dell’umanità tutta. Proprio come Osama Bin Laden, il “nemico invisibile” utilizzato nella precedente figura dell’emergenza terroristica, anche il Coronavirus, pur nel mutato contesto (medico-sanitario, non più “terroristico” in senso classico), svolge la funzione ideale per chi amministra l’ordine delle cose, principalmente dunque per le classi dominanti e per i governi che rappresentano la continuazione politica dei loro interessi economici.

Sempre più, in effetti, gli Stati nazionali, nell’evo del neoliberismo successivo all’annus horribilis del 1989, decadono a “comitati d’affari” della classe dominante, per riprendere l’efficace espressione di Marx. L’impiego, quando non la creazione, di un nemico invisibile svolge un niente affatto trascurabile ruolo duplice: a) di distrazione di massa, giacché trasla l’attenzione generale dalla contraddizione di classe al piano, prima, del terrorista sans frontières Bin Laden e, ora, del virus “terrorista” (ché anch’esso mette effettivamente a repentaglio le vite); b) di potenziamento del consenso da parte dello stesso potere liberal-capitalistico, che non solo dirotta l’attenzione dalla propria violenza economica quotidiana verso quella del terrorista prima e dell’epidemia poi, ma che può con successo presentarsi come soluzione al problema, come forza in grado di contenere l’attacco e di garantire la salvezza delle vite, se non di tutti, comunque dei più. L’ordine dominante, che sempre più platealmente appariva come frammentato secondo la dicotomia di servi e signori in seno alla nuova strutturazione oligarchica della società post-1989, può ora presentarsi come unitario e come compattamente impegnato in una lotta senza quartiere contro un nemico esterno, che, principalmente visibile nei suoi effetti e nella narrazione mediatica, richiede senso di unità.

Non vi sono più, a livello visivo, servi e signori, sfruttati e sfruttatori, né v’è più, in primo piano, la quotidiana violenza economica perpetrata dalle classi dominanti e sempre legittimata in nome delle imperscrutabili leggi del mercato e dell’economia come nuova teologia della disuguaglianza sociale: “siamo tutti sulla stessa barca”, come ideologicamente va ripetendo la réclame televisiva e giornalista, dacché tutti siamo impegnati sul “fronte” comune della guerra contro l’epidemia (in ciò il linguaggio marziale e il campo metaforologico di ordine bellico svolgono una funzione ideologica di primaria importanza). Il nemico, per gli sconfitti del globalismo, cessa di essere il potere economico-finanziario dei mercati e della loro classe di riferimento e prende a essere identificato, appunto, con il Coronavirus. Il potere transnazionale tecnocapitalistico, che cominciava sempre più a essere inteso e trattato come la contraddizione principale, può, ora, occultarsi, lasciando il proscenio al virus e alle chiamate all’unità e alla guerra comune contro l’epidemia.

Di più, il potere può ora addirittura agevolmente presentarsi come “amico”, perché impegnato nell’asperrima lotta in difesa della vita di tutti e di ciascuno contro il comune nemico che ha dichiarato guerra all’umanità. Mediante la crisi impiegata come metodo di governo e mediante una narrazione sospesa tra il vocabolario medico e quello bellico, la faglia del conflitto si trasla, così, in modo tutto fuorché neutro, dalla lotta di classe, che pure aveva preso a divampare nei già ricordati moti contestativi che stavano cominciando a infiammare il mondo, alla lotta dell’umanità (intesa come un unico gruppo, senza distinzioni) contro il principio maligno del virus. In altri termini, assumendo fittiziamente il ruolo di defensor della salute e della vita di tutti, il potere riconquista larghe quote del consenso che stava già da tempo iniziando a perdere: dalla stessa popolazione che iniziava a dubitare di esso, quando non a contestarlo apertamente, la governance globale della classe dominante (nonché le sue amministrazioni locali legate ai governi nazionali) inizia a essere del tutto indebitamente inteso come “benefico” e politicamente “amico”, dacché appunto il nemico non è più, ora, il potere, bensì il virus, contro il quale il potere combatte. “L’economia non è prioritaria”, “la salute viene prima di tutto”, “salvare le vite dall’epidemia è la priorità”: così vanno ora ripetendo, con potenziamento del messaggio garantito dalla grancassa mediatico-giornalistica di completamento, gli stessi membri della classe dominante. I quali, in virtù dell’emergenza e della nuova razionalità politica su di essa incardinata, per un verso spostano l’attenzione delle già da tempo insofferenti e insorgenti classi dominate verso il tema della salute (persuadendole, di fatto, ad abbandonare l’indocilità ragionata che stavano maturando in ambito sociale e politico); e, per un altro, continuano con zelo e con profitto a tutelare e a potenziare, peraltro indisturbatamente, i propri interessi economici di classe. Il paradosso è che nemico, come il Coronavirus, inizia a essere inteso e trattato anche chi al potere non abbia smesso di opporsi, seguitando nella contestazione che stava prendendo forma prima del Covid-19.

Chi non si “arruoli” nel fronte della nuova guerra contro il virus e perseveri, invece, nello “spirito di scisione” rispetto all’ordinamento liberal-capitalistico e alle sue ordinarie “patologie” sociali, politiche ed economiche, nonché alla sua involuzione autoritaria e repressiva resa possibile dal nuovo paradigma emergenziale introddotto con la gestione del Covid-19, è ora considerato come un “negazionista” del virus, come un nemico della “salute pubblica” e come un complottista che non si adegua alla nuova gestione delle cose e delle persone perché non crede che essa abbia come fine ultimo la salvezza delle vite. Se, per definizione, il nemico è il virus e amico è chi cerca di contrastarlo, id est il potere, ne segue sillogisticamente che, per l’ordine del discorso – che si erge a ideologia generale dai più condivisa con falsa coscienza necessaria –, diviene alleato del nemico e, dunque, a sua volta nemico chiunque non collabori fattivamente con il potere o, peggio ancora, osi contestarlo e metterlo in discussione, anche solo a livello teorico. Ancora, se il potere, per definizione, agisce per sconfiggere il nemico invisibile e, per farlo, chiede, come in ogni guerra, sacrifici e rinunce in termini di diritti e di libertà, quanti a questa riorganizzazione autoritaria si oppongano vengono, eo ipso, considerati e trattati alla stregua di alleati del virus e non come eventuali liberatori anche dagli stessi membri delle classi dominate, il cui immaginario è stato colonizzato dal nuovo ordine del discorso medico-scientifico e, insieme, militare.

2. THE GREAT RESET

Era nel vero Martin Heidegger, allorché distingueva tra un’umanità già franata e una non ancora franata, perché ancora resistente, anche solo a livello di immaginario, alla violenza dell’uniformazione tecnocapitalistica. Quello che stiamo vivendo, e a cui i più si sono già piegati con una resa colma di gratitudine (franando nel senso heideggeriano), non è un “grande reset” (great reset), come taluni lo appellano. È, au contraire, un “prolungamento organico” (Gramsci) della civiltà capitalistica, che si ristruttura autoritariamente in modo verticistico e consolida alcune sue nuove acquisizioni, tra cui la società digitalizzata dello smart working e del superamento delle democrazie parlamentari. Una svolta autoritaria, come da tempo sostengo, che affiora limpidamente dalle misure di blocco totale, o lockdown che dir si voglia, e dalle norme autoritarie che, in nome del contenimento della diffusione del virus, proibiscono le manifestazioni pubbliche in generale e, in particolare, quelle di massa e di protesta, nonché i convegni e le assemblee, in una parola gli spazi di elaborazione di idee critiche e di eventuale contestazione dell’ordine dominante.

L’epidemia fu l’ideale instrumentum regni anche per mutare il quadro socio-economico non solo europeo, in una prospettiva coerente con le esigenze del blocco oligarchico e della strutturazione di una nuova società ancora più asimmetrica, ancora più sussunta sotto il capitale. Come precisato da Agamben (blog “Quodlibet”, 23.11.2020), “ciò che sta oggi avvenendo su scala planetaria è certamente la fine di un mondo”, una fine guidata da coloro che “cercano di governarla secondo i loro interessi”. In particolare, spiega Agamben, “tramonta l’età delle democrazie borghesi, coi suoi diritti, le sue costituzioni e i suoi parlamenti”. E ancora: “va da sé che i governi preparano un mondo ancora più inumano, ancora più ingiusto”, ancora più sottoposto alla gelida logica del dominio tecnocapitalistico. The Great Reset – sia chiaro – non è una formula coniata da qualche carbonara conventicola di complottisti o dissidenti. È, invece, il nome scelto direttamente dal World Economic Forum per lanciare, nel giugno del 2020, la propria iniziativa annuale del 2021. Il World Economic Forum – giova rammemorarlo – è una fondazione senza fini di lucro con sede a Cologny, nei pressi di Ginevra. Nacque nel 1971 per iniziativa dell’economista Klaus Schwab. La fondazione organizza ogni inverno, presso la cittadina di Davos in Svizzera, un convegno che vede protagonisti esponenti di spicco della politica e dell’economia internazionale, nonché intellettuali e giornalisti opportunamente selezionati. Il tema discusso è sempre inerente alle urgenze che il mondo si trova ad affrontare sul piano principalmente economico e politico.

Così si legge sul sito del World Economic Forum  (www.weforum.org/great-reset): “there is an urgent need for global stakeholders to cooperate in simultaneously managing the direct consequences of the COVID-19 crisis. To improve the state of the world, the World Economic Forum is starting The Great Reset initiative”. Klaus Schwab, per inciso, ha pubblicato nel luglio del 2020, con con Thierry Malleret, un libro significativamente intitolato Covid-19: The Great Reset. E a lui viene attribuito il teorema secondo cui “the pandemic represents a rare but narrow window of opportunity to reflect, reimagine, and reset our world”. Ovviamente, è superfluo specificare che questa “stretta finestra di opportunità”, che come sempre viene ideologicamente presentata come aperta universalmente al genere umano, riguarda solo il blocco oligarchico neoliberale, quello che, appunto, si raduna annualmente a Davos per tutelare i propri interessi, per progettare il proprio futuro e per programmare l’abbattimento dei superstiti ostacoli.

È sotto questo profilo che l’emergenza epidemiologica rappresenta, per il blocco dominante, “a rare but narrow window of opportunity” per accelerare e potenziare la transizione a una nuova e ancora più radicale figura del capitalismo. È per questa ragione che, come dicevo, the Great Reset dovrebbe, più propriamente, intendersi come un “prolungamento organico” del vecchio mondo: il quale viene, sì, riorganizzato in forma inedita (e in ciò sta l’elemento di “azzeramento” o reset che dir si voglia), ma sempre in coerenza con i fondamenti della civiltà del capitale, che, in sintesi, sono 1) la valorizzazione del valore, 2) il feticismo della forma merce, 3) il mito della crescita infinita, 4) l’alienazione (l’Entfremdung, il “divenire straniero” dell’uomo rispetto alla propria natura umana), 5) l’ontologia utilitaristica, che pensa l’essente come “fondo” (Bestand) disponibile per la volontà di potenza illimitatamente autopotenziantesi. The Great Reset era anche, peraltro, il titolo che campeggiava sulla copertina di ottobre 2020 del “Time”, settimanale americano di informazione, per l’occasione uscito in collaborazione con il World Economic Forum e con Sompo Holdings. L’immagine di copertina era essa stessa emblematica: raffigurava il mondo ridotto a cantiere e bene alludeva alla “ristrutturazione” della società gestita dalla “rivoluzione passiva” delle élites dominanti. Così, poi, recitava l’introduzione al numero monografico della rivista: “the COVID-19 pandemic has provided a unique opportunity to think about the kind of future we want. TIME partnered with the World Economic Forum to ask leading thinkers to share ideas for how to transform the way we live and work”.

Ovviamente, le voci convocate a intervenire erano, come sempre, quelle di provata ortodossia neoliberale. La pomposa e seducente espressione the Great Reset alludeva, in verità, alla spietata rifeudalizzazione della società riplasmata a uso e consumo dal patriziato neoliberale dominante e a nocumento delle nuove plebi distanziate socialmente, confinate periodicamente nelle loro dimore e sorvegliate biopoliticamente. Vale, allora, la pena di richiamare quanto affermò, in tutt’altro contesto, la dottoressa Ilaria Capua, che si prodigò anche nello scrivere un libro di rieducazione dei bambini dall’emblematico titolo Ti conosco mascherina (La Coccinella, Milano 2020): “la pandemia che ha trasformato l'impossibile nel necessario ci offre una grandissima opportunità che non si ripresenterà almeno per noi” (“Il Correre sera”, 19.8.2020). Non è chiaro con chi coincidesse concretamente, nel discorso della dottoressa Capua, il “noi” beneficiario della “grandissima opportunità” della pandemia. Era, tuttavia, evidente che non si identificasse in alcun modo con le classi lavoratrici precarizzate o con i ceti medi suppliziati a colpi di lockdown e di shut-in economy. Se, poi, si considera che la dottoressa Capua aveva militato come parlamentare nelle fila del partito “Italia Civica” di Mario Monti (2013-2016), non è arduo capire a quale gruppo sociale possa riferirsi il “noi” da lei richiamato come beneficiario della pandemia.

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https://www.climaterra.org/post/naomi-klein-el-gran-reinicio
https://www.fisicaquantistica.it/spiritualita/provviste-alimentari-e-scorte-di-acqua
https://www.telegraf.rs/zivot-i-stil/zdravlje/3256650-naucnici-razvili-neuronsku-mrezu-za-otkrivanje-kovida
https://www.martindale.com/legal-news/article_oppenheim-law_2539913.htm
https://www.lavocedinewyork.com/news/economia/2019/06/14/economia-sostenibile-dibattito-chiuso-ormai-il-processo-in-corso-e-inarrestabile/

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