Il liberismo può essere definito anche – nel suo divenire – una paranoia per privatizzare ciò che è naturalmente pubblico, cioè lo Stato, il potere pubblico per eccellenza. Privatizzare sta per desocializzare! Pubblico non vuol dire che il più forte può occuparlo – sia pure con il giochetto elettorale – e farne ciò che gli pare, altrimenti non ci sarebbe potere più pubblico di quello di una dittatura. Anche se è possibile il contrario: che una dittatura sia al servizio del sociale, cioè della collettività. E’ tale per l’appunto il fine dello Stato.
Lo Stato è nato – non certo dall’oggi al domani – in contrapposizione al Medioevo, di quando ogni forza costituiva un “potere” concorrenziale di parte in un contesto di “bellum omnium contra omnes”. Stato sarebbe dovuto significare sin da sempre strumento giuridico (per meglio intenderci: espressione del diritto naturale) per la soddisfazione di tutti i diritti reali dei soggetti di una collettività, non più sudditi ma cittadini “sovrani” (come recita, ma solo retoricamente, la nostra Costituzione) ma anche per regolare l’altra faccia dei diritti, che sono certamente i limiti dei beni usufruibili e quindi i doveri.
Non è avvenuto così. Quando la monarchia assoluta – creatura medioevale nata dal principato – si è fatta, per forza di cose, costituzionale, ripudiando l’autocrazia (più o meno divina) e aprendo la strada alla democrazia, le cose sembravano avviate verso il meglio. La socialdemocrazia ha fatto pensare per poco ad uno Stato dispensatore di socialità in uno spirito di equità e di sensibilità al bisogno. Ma, sotto le spoglie della pratica elettorale, spacciata come panacea “democratica” di tutti i problemi sociali, si è insinuata, subdola e traditora, la restaurazione medioevale non già rinnegando lo Stato – ormai imprescindibile – ma svuotandolo di ogni “intervento protettivo” a favore della collettività.
E’ il neoliberismo, caratterizzato dal passaggio dei servizi naturalmente pubblici dalla gestione statale, che può avvenire senza fini di lucro, alla gestione di privati, ovvero di uomini di affari, che avviene sempre e necessariamente per fini di lucro, più precisamente di parassitismo, usura e ladrocinio a tutto danno dei veri produttori della ricchezza (lavoratori) e della collettività in genere. Pertanto, non comprendo tanta preoccupazione di avere padroni italiani come se questi, in quanto padroni, non fossero tanto predatori quanto quelli stranieri. Quella di una compagnia di bandiera, di sola facciata, è una retorica che affonda in un mare di pietoso ridicolo. La verità è che i nostri “padroni di casa” vogliono sentirsi più a loro agio chiamando in causa la patria, l’italianità, il paese e pretesti demagogici della fattispecie.
La logica della vera economia (che è scienza naturale!) vorrebbe che, in casi di gravi crisi del genere, la prima cosa da fare fosse l’assunzione della gestione da parte dello Stato, operazione che si chiama “nazionalizzazione” – ma questo significherebbe creare un precedente nella logica del liberismo, che è tutto un insieme di “giochi” competitivi tra padroni, grossi e piccoli, e che chiama spregiativamente assistenzialismo ogni intervento dello Stato se non addirittura – con una logica da “apprendista stregone” – comunismo, il quale, invece, è l’assenza di ogni mercato, privato o pubblico.
Lo Stato cessa di essere il tramite del diritto naturale per diventare esso stesso strumento “paramedioevale” dei servizi sociali nelle mani di speculatori o di loro fiancheggiatori parlamentari. E’ quanto sta avvenendo con le ferrovie, con l’energia elettrica, con il gas, con l’acqua (sic!), con la telefonia e, in modo palesamente abusivo e vergognoso, con le Poste.
In queste condizioni, differenze abissali, povertà, disoccupazione e criminalità rimangono e prosperano. Ed è come dire “ogni crimine di Stato”. Il tentativo del governo Berlusconi di debellare le mafie con l’esercito è una nuova barzelletta di principotti medioevali in veste democratica. E’ evidente che il promotore non ci creda! Anche l’Alitalia deve trasmutarsi in potere paramedioevale non per ragioni di necessità economica ma solo perché persista il sistema dei giochi a chi diventa più ricco. E la soluzione ci sarà comunque perché ove vige il capitalismo là ci sono padreterni che offrono sostegno “umanitario”(quando non “di carità”) e la c’è sempre gente che ha fame e che si offre al mercato delle pulci in mancanza di meglio. Nel nostro caso, di questuanti ce ne sono circa venti mila! Pertanto, la soluzione – una soluzione – è dietro l’angolo. Sapete cos’è la “cordata capeggiata da un Colaninno? Una muta di lupi predatori, titolari in proprio o meno (a buon intenditore poche parole), che aspettano il via per inseguire la preda. Ma forse questo nessuno ha il coraggio di dirlo. Piuttosto vi parleranno di salvatori (del Paese!) e non è escluso che qualcuno di quelli chiuderà la propria carriera in odore di santità. La storia ufficiale è ancora questa.
Il timore di un secondo 1929 ha indotto il governo della Casa Bianca a nazionalizzare alcune banche in fallimento: si è parlato di crisi del capitalismo e di ritorno al socialismo. Certo, il capitalismo è in crisi ma lo è da sempre: esso è la crisi della civiltà umana. Ma non saranno gli Stati liberisti, seguendo le opinioni disperate – e magari sagge! – di qualche sedicente economista, a salvare la civiltà. Ci vorrà ben altro per superare la paranoia del “meno Stato e più privato”.
di Carmelo R. Viola