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    Processo alla Relativitá

    Il titolo di questo articolo è volutamente ironico. Oggi, infatti, è proprio la Relatività ad essere divenuta un’intoccabile pietra di paragone, utilizzata per mettere sotto processo qualsiasi altra teoria alternativa. Ma quali sono le ragioni che hanno determinato la supremazia quasi assoluta della teoria di Einstein nel mondo della fisica odierna? E fino a che punto tale supremazia è giustificata? Questo articolo tenta di dare una risposta a tutto ciò. 


    Questo articolo è dedicato alla memoria di Aristarco di Samo, primo scienziato eretico della storia, e all’indiscutibile principio di cui fu portatore:
    ​“
    Non sempre le cose sono come sembrano”.

    Introduzione

           La storia dell’uomo è spesso segnata da teorie dogmatiche e onnicomprensive che vogliono  controllare vaste aree del sapere, e finiscono solo col frenare il progresso e il libero pensiero. Il sistema Aristotelico Tolemaico fu una di queste. Nonostante fondata sul falso postulato che poneva la Terra al centro dell’universo, essa divenne nei secoli un’inattaccabile cattedrale di pensiero. Questo perché il tortuoso apparato matematico della teoria, modellato a forza sui dati sperimentali, riusciva a prevedere, e addirittura con ottima approssimazione, tutti i moti celesti allora conosciuti. Giudicando col  senno di poi, è chiaro che si trattava di una teoria sbagliata, in quanto basata su un principio sbagliato. Ma nonostante ciò, essa funzionava egregiamente. E dal momento che qualsiasi tipo di osservazione astronomica accurata, e quindi in grado di mettere in crisi il postulato geocentrico, rimase per lungo tempo al di là della portata dei mezzi di indagine disponibili, l’idea di un pianeta Terra felicemente posto al centro dell’universo dominò incontrastata per parecchi secoli. In verità, il dubbio che le cose non stessero proprio così deve essersi manifestato più volte nella mente di isolati pensatori. La prima ipotesi eliocentrica di cui siamo a conoscenza risale addirittura a tre secoli prima di Cristo, frutto del genio precursore del filosofo e matematico greco Aristarco di Samo. Costui riuscì ad arrivare al modello eliocentrico per pura astrazione mentale, date le pressoché nulle risorse tecnologiche del suo tempo. Ciò non deve stupirci più di tanto, dato che quest’uomo eccezionale fu anche il primo a misurare le distanze della Luna e del Sole dalla Terra, nonché ad attribuire correttamente la causa dell’alternanza delle stagioni all’inclinazione dell’asse terrestre. Purtroppo, proprio la sua idea più geniale, il modello eliocentrico appunto, non riscosse il favore che avrebbe meritato. Tutto ciò che Aristarco ricavò da essa fu una condanna per empietà e corruzione della gioventù, per averla concepita ed insegnata. È probabile che alcuni in seguito abbiano nuovamente accarezzato l’idea eliocentrica di Aristarco. Ma per lungo tempo nessuno ebbe più il coraggio di professarla pubblicamente. Pertanto essa rimase per quasi duemila anni una verità nascosta, un’idea giudicata dalla scienza o pseudoscienza ufficiale come troppo blasfema e rivoluzionaria per essere presa in considerazione: l’idea di abitare in un pianeta al centro dell’universo e di costituirne l’unica specie intelligente era troppo perfetta e appagante per essere accantonata in nome di un punto di vista più razionale, ma decisamente meno elegante. Ci vollero secoli di battaglie scientifiche, combattute da uomini intellettualmente isolati e guardati con sospetto dalle autorità ecclesiastiche e dalla comunità, per dimostrare che la “folle” intuizione di un uomo dell’antica Grecia era vera, e che il Sole non girava affatto attorno alla Terra. A dimostrazione del fatto che a volte le apparenze ingannano. Ma il cambiamento non fu né facile, né indolore. Copernico e Keplero, i principali fautori del modello eliocentrico, vennero dapprincipio isolati e derisi. Quanto a Galileo, il più autorevole sostenitore della teoria in Italia, proprio per aver fortemente appoggiato l’ipotesi copernicana basandosi sulle sue osservazioni al telescopio del moto dei satelliti maggiori di Giove e delle fasi di Venere, fu, come purtroppo sappiamo, accusato dalla Chiesa Cattolica di eresia e costretto a sconfessare le proprie idee con una celebre “abiura”, cui seguirono agli arresti domiciliari a vita – condanna per la quale la Chiesa ha chiesto pubblica ammenda solo pochi anni fa, su sollecitazione del fisico Antonino Zichichi.

           Anche i nostri tempi, proiettati ormai nel terzo millennio e tanto intrisi di scienza e tecnologia, sono dominati da una possente e onnicomprensiva cattedrale di pensiero: la Teoria della Relatività di Einstein. Proprio quest’anno essa compie il suo primo secolo di vita. Nata per risolvere i problemi posti dall’elettrodinamica di Maxwell, la Relatività conquistò molto presto un ruolo predominante nel mondo della fisica, paragonabile solo a quello occupato in precedenza dalla dinamica newtoniana. Questo nonostante il fatto che per lungo tempo il credito conferito alla teoria sia stato essenzialmente basato sulla fiducia, dato che la verifica dei singolari effetti previsti da Einstein era del tutto al di là della portata dei mezzi d’indagine disponibili – non va dimenticato che agli inizi del ‘900 non esisteva né la radio né l’aviazione, e si discuteva ancora sull’esistenza degli atomi. Oggi lo scenario scientifico è decisamente cambiato. Disponiamo di acceleratori di particelle in grado di frantumare la materia nei suoi costituenti più elementari e rilevare particelle sempre più piccole o elusive, costruiamo orologi atomici che misurano il tempo con una tolleranza di pochi nanosecondi. E anche se non siamo ancora in grado di costruire apparecchi che viaggino a velocità confrontabili con quelle della luce, è innegabile che le più recenti tecnologie rendono i cosiddetti effetti relativistici sempre più osservabili e misurabili. È quindi proprio da tali tecnologie che ci si aspetterebbe una definitiva conferma della teoria di Einstein. Invece, sono proprio esse a mettere sempre più in crisi il postulato base della teoria, e cioè quello che stabilisce la costanza della velocità della luce per ogni osservatore inerziale. È il caso ad esempio degli orologi atomici a bordo dei satelliti del sistema GPS, che evidenziano una costante asimmetria est-ovest nella propagazione delle onde elettromagnetiche sulla Terra (conosciuta come effetto Sagnac e di cui parleremo in seguito). E ancora, dei recenti esperimenti in cui la luce è stata rallentata sino ad essere addirittura fermata – risultato conseguito contemporaneamente dallo Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics e dal Dipartimento di Fisica dell’università di Harward – o di quelli in cui al contrario la luce è stata fatta viaggiare più veloce del limite imposto da Einstein –  Istituto di ricerca sulle onde elettromagnetiche del CNR di Firenze e Istituto di ricerca NEC di Princeton. La posta in gioco è alta. Nel caso la falsità del postulato sulla luce venisse definitivamente confermata, si tratterebbe dell’abbandono della Relatività “in toto”, dal momento che, come dichiarò Einstein stesso, l’intera teoria poggia sul postulato della costanza della luce, venendo meno il quale, essa crolla come un castello di carte. Forse proprio per questo, una delle principali occupazioni dei fisici teorici di oggi sembra essere quella di trovare continui escamotages teorici che giustifichino le sempre più frequenti trasgressioni sperimentali al postulato sulla luce, rendendo inevitabile il parallelo con l’affannoso tentativo degli uomini di scienza del passato di tamponare le incongruità tra i moti dei pianeti e il modello Aristotelico Tolemaico. Ovviamente non è facile analizzare in un articolo divulgativo una teoria che in passato si diceva compresa da tre persone soltanto al mondo, Einstein incluso, ovviamente, e che a tutt’oggi è digerita a fatica da buona parte degli studenti dei corsi di fisica, e spesso inconfessabilmente incompresa persino dai loro docenti. I sostenitori della Relatività affermano che, proprio a causa delle complesse implicazioni del modello fisico-matematico alla base della teoria, sia praticamente impossibile per un profano riuscire a farsene un’idea seppur approssimativa, e men che meno un’opinione critica coerente.(1) Ma su questo punto mi sento di dissentire fortemente, per ribadire una volta di più un concetto a mio avviso fondamentale: ciò che più conta in una teoria non sono i modelli matematici, ma le idee che stanno alla base di essi. Il linguaggio matematico, dal più semplice algoritmo al più complesso sistema di equazioni, è indubbiamente un insostituibile strumento per quantificare concetti che comportino relazioni precise e complesse. Ma proprio in quanto linguaggio, esso è criticabile solo formalmente. Ovvero, eleganza e correttezza formale di un modello matematico non garantiscono che esso corrisponda necessariamente alla realtà, esattamente come una frase grammaticalmente ineccepibile non esprime necessariamente un concetto vero. Solamente un’idea può essere compresa, e di conseguenza accettata o rifiutata.  Questo articolo vuole esporre al lettore i principali problemi posti dalla Relatività Speciale, nonché i fatti sperimentali che oggi sembrano falsificarla, tentando di trattare la materia nel modo più chiaro e comprensibile possibile, affinché ognuno possa trarre le sue personali conclusioni. La scelta di limitare la nostra analisi alla Relatività Speciale, ovvero a quella parte storicamente più antica della teoria di Einstein che, sulla base del rivoluzionario postulato sulla costanza della luce, riscrive la dinamica dei moti inerziali, è dovuta al fatto che la successiva Relatività Generale, riguardante moti accelerati e forza di gravità, consiste in effetti in una generalizzazione ai moti non inerziali dei principi contenuti nella Speciale. Per cui, la Relatività Speciale costituisce a tutti gli effetti il fondamento dell’intero edificio teorico di Einstein, senza il quale anche la Generale non ha più ragione di esistere, almeno nella forma oggi conosciuta. Dato che si tratta di un argomento complesso, perdonatemi se lo affronterò da lontano, partendo da qualcosa a noi tutti familiare, il suono. 

    Continua…

    leggi qui la seconda parte dell'articolo


    Il presente articolo è stato pubblicato originariamente su NEXUS New Times nr. 68 (giugno – luglio 2007) – qualsiasi ripubblicazione è gradita, previo riferimento alla fonte originaria cartacea e al corrente link dell'articolo:

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    NOTE

    (1) La grande quantità di libri e articoli divulgativi sul tema oggi disponibili sembrerebbe contraddire tale affermazione, ma in realtà buona parte di essi opera una semplificazione  (e distorsione) di concetti tale, da rendere di fatto inattuabile qualsiasi approccio critico.      


    Nota sull’autore
    Daniele Russo ha un background culturale fortemente eclettico, che spazia sia sul versante scientifico sia su quello artistico. Figlio del noto illustratore scientifico e cartografo Fernando Russo, intraprende giovanissimo lo studio della chitarra classica sotto la guida di Mauro Storti, docente al Conservatorio G. Piccolini di Piacenza. Pochi anni dopo è già considerato una delle giovani promesse della chitarra. Dopo il diploma e il perfezionamento, si dedica alla composizione con tecnologie MIDI, ed a una pionieristica attività concertistica tesa a riportare in auge l’antica arte dell’improvvisazione musicale negli stili colti. Parallelamente conduce studi di fisica teorica, sua seconda passione, e in particolare, si interessa in senso critico alla Teoria della Relatività di Einstein.
    L’articolo qui presentato è parte di un più complesso e ampio lavoro di ricerca, confluito tra l’altro in alcuni articoli specialistici pubblicati sulla rivista scientifica Apeiron (http://redshift.vif.com/) che hanno come oggetto un’analisi minuziosa e disincantata dei modelli fisico/matematici alla base della Relatività Speciale, nonché delle più note evidenze sperimentali ritenute a favore della teoria.

     



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