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Prossima fermata: povertà

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Il 14,6% delle famiglie italiane ha dichiarato, nel 2006, che non arriva a fine mese con il proprio stipendio (fonte: Unioncamere). Per un 4,2% di famiglie va ancora peggio, poiché non dispone di denaro sufficiente per assicurarsi il cibo. Il ministero del tesoro ha fornito dati relativi ai primi sei mesi di questo 2008 dai quali si rilevano rincari preoccupanti che colpiscono non bracciali di diamanti o profumi di marca, ma generi alimentari primari come pasta, cresciuta del 30,4% rispetto al 2007, o pane (+13,2%), latte (+11,8%), mentre benzina (+24,5%) e gasolio (+31,9%) sembrano destinati ad aumenti costanti e sostanziosi. (fonte dei dati: la Repubblica, 21.8.2008)
In questa generale crisi economica, stanno diffondendosi strutture di pubblica assistenza privata, come la Caritas che, proprio in questi giorni, ha aperto a Roma un emporio che regala alimentari a chi non ha un reddito sufficiente.

 
Se un normale cittadino domanda ad un "addetto ai lavori" (economista, politico, sociologo…) i motivi di questa situazione che volge progressivamente al peggio non avrà risposta. O meglio: otterrà una risposta "tecnica" che, farcita di parole gergali e magari di cifre, non ha alcun interesse per chi vive sulla propria pelle, tutti i giorni, il disagio e la precarietà. Buttare in faccia a chi stenta a vivere osservazioni sulla macroeconomia o sui meccanismi teorici è come gettare un manuale di nuoto a chi sta affogando.
 
Cerco di proporre, qui, alcune riflessioni non tecniche (non sono un economista, grazie al cielo!), ma morali e storiche.
La situazione generale è chiara e tragica: si sta allargando, rapidamente, una sacca di povertà che erode la piccola borghesia e la fa cadere nell'indigenza: non solo vengono per necessità abolite tutte le spese voluttuarie, ma si fatica ad assicurarsi l'indispensabile come il cibo, mentre mutui e debiti assorbono fette ingenti del reddito familiare.
Si sta imponendo una economia di sussistenza, la quale coinvolge un nuovo tipo di famiglia italiana che non esisteva nei decenni precedenti: la famiglia esiste solo come transito di denaro: dal datore di lavoro il denaro scorre, invariabilmente, a chi possiede la casa abitata (affitti, mutui) e a chi fornisce servizi irrinunciabili (acqua, luce e gas).

 
Si tratta di una sorta di allucinante "tassa sull'esistenza", poiché quanto si guadagna è appena sufficiente per esistere, per non crollare nella fascia dei barboni, dei senzatetto. Ogni spesa che non sia destinata a vitto e alloggio è impossibile, così un libro, una cena al ristorante, la visione di un film al cinema, le vacanze sono un lusso che torna ad essere, come sessant'anni fa, non più per tutti.
Il governo, anzi tutti i governi che vedono in quello statunitense un modello da imitare, non interviene, non fa nulla, ma appare indirizzato a scelte che si muovono in una dimensione assistenziale, filantropica, caritatevole: regalare poche centinaia di euro a famiglie nullatenenti non è un'azione sociale ma una forma di elemosina che non cambia nulla, ma condanna il povero ad una povertà istituzionalizzata. Ora, il quadro generale – qui sintetizzato troppo brevemente – non sembra una situazione folle sfuggita di mano ai cervelloni, ma sembra piuttosto una scelta, una ricetta, un allucinante esperimento di ingegneria sociale il cui disegno non è nemmeno troppo occulto.

 
I gruppi di potere non sanno che farsene di piccoli impiegati, di piccoli artigiani, di operai: questa è gente che spende poco, che tenta di risparmiare perché nella sua cultura familiare mettere da parte qualcosa è utile e giusto, questa è gente che non fa girare il denaro, ma cerca di amministrarlo, se ne ha, con la vecchia saggezza che i nonni affidavano come un dono ai figli. I gruppi di potere hanno bisogno di gente che acquista molto e spesso, che cambia l'auto ogni due anni e sceglie cilindrate sempre maggiori, che dispone di quantità di denaro dell'ordine di quanto percepisce un deputato italiano. La corsa alla povertà fa parte, temo, di un piano, non è il punto debole del sistema, ma ne fa parte integrante. I gruppi di potere hanno una cultura fondata su un aberrante pseudo-darwinismo sociale: chi non vince deve sparire; chi non ha conquistato potere e ricchezza è un fallito e deve sparire; non importa come hai raggiunto la ricchezza, non interessa sapere se hai violato leggi, se hai avuto complici infami, se hai calpestato diritti altrui: ciò che conta è che ora sei ricco, enormemente ricco, ora sei parte di quella élite – ormai non più solo sociale ma biologica, di "razza"…- che domina e svetta su tutto e tutti.
I gruppi di potere ignorano concetti come solidarietà, aiuto reciproco, rispetto per gli svantaggiati, moralità: la loro cultura di classe, che si identifica perfettamente con la cultura individuale, è fondata sul successo. Chi fa lavori umili viene in fondo disprezzato dal potente, che lo considera non la vittima di un sistema sociale inumano, ma un perdente, un incapace, una scoria. La società che i potenti vogliono costruire – e stanno già costruendo – è fatta da una oligarchia di ricchissimi e potentissimi (capitalisti), cui segue una minoranza di alti borghesi (professionisti). Null'altro. La piccola borghesia – quella che non consuma abbastanza – deve rassegnarsi a confluire nel proletariato, cui vengono ridotti e depotenziati i diritti, primi dei quali quelli sul lavoro. Per l'imminente massa di poveri sono previste misure di assistenza filantropica affidata al buon cuore dei ricchi, i quali non avranno alcun dovere sociale, ma saranno esortati (forse da quella parte della chiesa cattolica che non starà a fianco degli ultimi, come predicava Cristo) ad avere un atteggiamento benevolo e caritatevole verso i derelitti che accorreranno, cenciosi, ad inchinarsi alla bontà dei padroni.

 
La crescente povertà non allarma i potenti: un tempo, la gente assaltava i forni e impiccava ai lampioni gli affamatori; ora la progressiva militarizzazione della società, il diffondersi continuo del controllo armato e della repressione, lo sciagurato mito della tolleranza zero lasciano dormire sonni beati alla casta dei potenti.
Forse stiamo vivendo nel più cupo e folle laboratorio sociale della storia umana.


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