Le diagnosi di disturbi mentali si affidano a criteri discutibili, e in genere i trattamenti richiedono l’uso di almeno un pericoloso psicofarmaco, per il profitto delle case farmaceutiche.
E a questa “epidemia” di prescrizioni di psicofarmaci si accompagna un preoccupante aumento delle malattie e dei tassi di mortalità.
[Un estratto da Deadly Psychiatry and Organised Denial di Peter C. Gøtzsche]
Verità, falsi miti e idee errate
La psichiatria non è una specialità facile. Richiede molta pazienza e comprensione, e le delusioni sono tante. La maggior parte dei pazienti non risponde ai farmaci, e purtroppo questo induce spesso gli psichiatri, frustrati dall’assenza di progressi, a prescrivere altri farmaci o dosaggi maggiori, danneggiando ulteriormente i pazienti. La pericolosità degli psicofarmaci è tale da uccidere, negli Stati Uniti e in Europa, oltre mezzo milione di persone all’anno fra la popolazione ultrasessantacinquenne. Per questo, gli psicofarmaci sono la terza causa di mortalità dopo le malattie cardiache e il cancro.
Molti psicofarmaci non solo aumentano la mortalità totale, ma anche il rischio di suicidi e omicidi, e nel mondo nessuna agenzia per l’approvazione dei medicinali ha mai confermato che un farmaco sia efficace nel prevenire i suicidi (l’unica eccezione, secondo quanto si ipotizza, è il litio). Spesso i disturbi mentali vengono diagnosticati con eccessiva superficialità, e il problema è che dopo aver ricevuto una diagnosi psichiatrica si verifica un fenomeno per cui ogni cosa che si fa o si dice diventa sospetta, in quanto ora si è sotto osservazione: il che significa che la diagnosi iniziale, anche se azzardata, diventa facilmente una profezia che si autoadempie.
A mio avviso, sarebbe possibile ridurre l’uso attuale di farmaci psicotropi del 98% e allo stesso tempo migliorare la salute mentale e la sopravvivenza delle persone. Il motivo principale dell’attuale disastro farmacologico è che i più eminenti psichiatri si sono lasciati corrompere dall’industria farmaceutica, creando corruzione anche nella loro disciplina accademica. Un segno della profonda crisi in cui versa la psichiatria è che più della metà dei pazienti crede che il proprio disturbo mentale sia causato da uno squilibrio chimico nel cervello. Sono i loro dottori a instillare questa idea sbagliata, il che implica che più della metà degli psichiatri mente ai pazienti. In cima alla gerarchia psichiatrica ci sono quelli che chiamo “gorilla silverback”, perché sono quasi sempre maschi e si comportano come i primati silverback nella giungla, tenendo gli altri lontani dal potere assoluto, che in natura offre ricompense come l’accesso facilitato alle femmine. Nel mondo della psichiatria, questo si traduce in denaro e fama. Questi gorilla silverback soffrono di un fenomeno collettivo e organizzato di negazione. Si rifiutano di riconoscere il danno che provocano, anche quando le prove sono schiaccianti. Per di più, sono compatti nel difendere con testardaggine alcuni falsi miti che si rivelano molto dannosi per i pazienti, i peggiori dei quali sono:
- le diagnosi psichiatriche sono affidabili;
- dare una spiegazione biologica o genetica di un disturbo mentale riduce la stigmatizzazione;
- l’uso di psicofarmaci è un riflesso del numero di persone che hanno disturbi mentali;
- le persone con disturbi mentali hanno uno squilibrio chimico nel cervello, e gli psichiatri possono curare questo squilibrio con i farmaci, esattamente come gli endocrinologi usano l’insulina per il diabete;
- i trattamenti a lungo termine con psicofarmaci sono giusti, perché prevengono le ricadute;
- le cure di antidepressivi non danno dipendenza;
- si possono somministrare antidepressivi a bambini e adolescenti per prevenire i suicidi;
- depressione, ADHD e schizofrenia possono provocare danni al cervello;
- i farmaci possono prevenire i danni al cervello.
Sono giunto alla conclusione che la ricerca psichiatrica è in gran parte pseudoscienza. Le ricerche affidabili raccontano sistematicamente una storia diversa rispetto alla favoletta di cui gli eminenti psichiatri vogliono convincerci.
Io sono specializzato in medicina interna, e ho iniziato a interessarmi alla psichiatria nel 2007, quando Margrethe Nielsen del Comitato dei consumatori danese mi ha parlato di un’idea per la sua tesi di dottorato intitolata “Perché la storia si ripete? Uno studio su benzodiazepine e antidepressivi (SSRI)”. I suoi studi dimostravano che effettivamente la storia si è ripetuta. Con gli SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) abbiamo ripetuto gli stessi errori già commessi con le benzodiazepine e in precedenza con i barbiturici. Abbiamo creato un’enorme epidemia di abuso di farmaci, e i tossicodipendenti da SSRI non sono meno di coloro che erano dipendenti dalle benzodiazepine.
Le agenzie per l’approvazione dei farmaci hanno dato un contributo fondamentale all’infelice situazione attuale, e la maggior parte dei danni farmacologici sono inflitti dai medici di base, che prescrivono circa il 90% degli psicofarmaci.
I dati di Margrethe non sono stati ben accolti da due dei suoi esaminatori, che avevano interessi da difendere. Uno, Steffen Thirstrup, lavorava per l’agenzia danese di regolamentazione dei farmaci; l’altro, John Sahl Andersen, era un medico di base. Costoro hanno bocciato la tesi senza una valida motivazione, ma Margrethe l’ha difesa presentando ricorso all’università e vincendo. I dati scomodi vengono continuamente insabbiati e io stesso [nel libro Deadly Psychiatry and Organised Denial] offro numerosi esempi del funzionamento della “macchina del dubbio”, in cui non si fa che pubblicare ricerche ritoccate per supportare delle idee insostenibili. Dopo aver studiato con grande cura gli aspetti scientifici, ho notato che alcune persone e organizzazioni che ho conosciuto sono giunte alla conclusione che l’attuale sistema di prescrizione degli psicofarmaci e il modo in cui è praticata la psichiatria fanno più male che bene. Il pubblico generale è concorde, e si rende conto che gli antidepressivi, gli antipsicotici, l’elettroshock e il ricovero nelle strutture psichiatriche spesso fanno più male che bene. Io sono sicuro che sia effettivamente così, e i test clinici randomizzati in doppio cieco controllati con placebo – che non sono così ciechi come lascia intendere la parola – hanno dimostrato quasi sempre che sono gli psichiatri a credere che i farmaci siano efficaci, e non i pazienti. Se non sono stati sufficientemente “accecati”, i ricercatori possono vedere l’esatto opposto di quello che è la realtà dei fatti nel trattamento dei pazienti. Vedono ciò che vogliono vedere, ovvero ciò che fa comodo a loro e alla loro specializzazione, non ciò che succede davvero.
I dati di Cochrane mostrano che non esistono autentiche prove di efficacia degli antidepressivi per la depressione e degli antipsicotici per la schizofrenia. Alcuni farmaci a volte possono servire per certi pazienti, in particolare nella fase acuta in cui un paziente è in preda al panico o alle allucinazioni, nel qual caso può essere utile smorzare le emozioni con un tranquillante. Tuttavia, a meno che i medici non diventino molto più esperti nella posologia degli psicofarmaci – il che significa usarne in pochissime occasioni, a bassi dosaggi e sempre con un piano per la progressiva riduzione – sarebbe piuttosto meglio che gli psicofarmaci venissero ritirati del tutto dal mercato.
Che cosa significa avere una malattia mentale?
Per avere un’idea più chiara dei problemi diagnostici in psichiatria, può essere utile iniziare facendo riferimento alla medicina generale. Se ai pazienti che presentano problemi simili assegniamo l’etichetta di una certa malattia, lo facciamo per facilitare la comunicazione, per poter svolgere ricerche e trattare e prevenire le malattie. Queste etichette diagnostiche sono utili soprattutto quando sappiamo che cosa causa una particolare malattia. È molto utile, per esempio, sapere che un certo tipo di polmonite è causata da pneumococchi, e dunque possiamo curarla con la penicillina. Allora suddividiamo i tipi di polmonite in base alla loro eziologia, e a volte usiamo quest’informazione per definirli: ad esempio parliamo di polmonite pneumococcica.
Esistono molti tipi diversi di diagnosi in medicina: in alcuni casi sono preliminari e si limitano a descrivere un sintomo, come il mal di stomaco, che potrebbe diventare una diagnosi finale qualora non si trovi una causa, altrimenti la diagnosi finale potrebbe essere un’ulcera gastrica. Alcune diagnosi sono sindromi che annoverano numerosi sintomi, segnali e dati paraclinici (come i risultati di un esame del sangue o di una radiografia). (1)
Un buon esempio è l’artrite reumatoide. Non sappiamo che cosa la causi, benché sospettiamo che si tratti di un’infezione. Nel 1975 si verificò un numero notevole di casi di artrite nel Connecticut, negli USA, e in seguito si dimostrò che erano causati da un batterio, la Borrelia, trasmesso dalle zecche. Prima che l’eziologia fosse nota, si trattava di una diagnosi di sindrome, dove i pazienti in genere presentavano rash cutanei, mal di testa, febbre e altri sintomi e segnali oltre all’artrite. Possiamo curare questa malattia con la penicillina e altri antibiotici, diversamente dall’artrite reumatoide che si cura con farmaci piuttosto pericolosi. La maggior parte dei pazienti riceve farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) per il dolore, e alcuni muoiono perché questi farmaci possono provocare ulcere gastriche e infarti. Anche gli agenti modificanti la malattia sono pericolosi, e dunque il trattamento farmacologico incide parecchio sulla minore longevità di questi pazienti rispetto ad altre persone.
Fotomicrografia al microscopio elettronico della Borrelia hermsii, agente causativo della febbre ricorrente trasmessa dalle zecche, che interagisce con i globuli rossi (fonte: US NIAID)
L’attuale grado di comprensione delle malattie psichiatriche è piuttosto basso se paragonato alla conoscenza delle altre malattie in medicina, e i trattamenti sono molto più dannosi e letali di quelli usati per l’artrite reumatoide. Non sappiamo molto su che cosa provochi le malattie mentali, e l’incertezza diagnostica è molto maggiore che in altre aree della medicina.
Uno degli elementi che fanno parte della diagnosi sindromica dell’artrite reumatoide è la presenza nel sangue del fattore reumatoide, un anticorpo diretto contro i tessuti della persona. Non esiste un esame del sangue per i disturbi mentali, e non è mai stato dimostrato che le persone che soffrono di comuni disturbi mentali abbiano un cervello diverso da quello delle persone mentalmente sane.
Non è facile definire che cosa si intende per malattia, e quando si parla di questi temi non c’è coerenza. Spesso gli psichiatri preferiscono parlare di “disturbi” mentali, anziché malattie o patologie mentali, perché le diagnosi psichiatriche sono dei costrutti sociali. Tuttavia, il personale della Mayo Clinic nel Minnesota usa il termine “malattie”. (2) Dato che non sappiamo che cosa sia una malattia mentale, la definiamo come una costellazione di sintomi che creano difficoltà nella vita del paziente.
Le diagnosi psichiatriche si fanno parlando con i pazienti, ma l’attuale approccio basato su questionari assomiglia un po’ troppo al gioco “trova gli errori”. Per esempio, diciamo che una persona che ha almeno cinque sintomi su nove possibili è depressa. (3)
Se ci sforziamo abbastanza, troveremo senz’altro degli “errori” in gran parte delle persone. L’intuito e l’esperienza di un medico potrebbero suggerirgli in pochi secondi qual è il problema di un particolare paziente, e c’è il rischio effettivo che a quel punto il medico inizi a porre domande mirate, ottenendo il numero di errori richiesti e formulando una diagnosi scorretta.
Anziché cercare di capire i pazienti, la psichiatria è diventata un esercizio di compilazione di sintomi, (4) che potrebbe anche svolgere una segretaria o il paziente stesso. Alcuni psichiatri mi hanno detto che è ciò che fanno spesso i medici di base prima di formulare una diagnosi. Uno studio statunitense del 1993 svolto da RAND Corporation rilevava:
“Oltre la metà dei medici ha scritto ricette per farmaci dopo aver parlato di depressione con i pazienti per tre minuti o meno.” (5)
Alcuni studi hanno dimostrato che spesso i medici non utilizzano i questionari ufficiali, ma piuttosto si affidano all’intuito per capire quale può essere il problema, il che non fa che aumentare il rischio di diagnosi errate o sproporzionate. Malgrado il DSM-IV (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, quarta edizione) comprenda 374 diagnosi, solo la metà delle persone in cura farmacologica soddisfaceva i criteri diagnostici per un disturbo. (6)
Si tratta di uno sviluppo davvero spiacevole. Spesso le malattie mentali gravi sono legate a traumi precedenti, e vivere situazioni traumatiche durante l’infanzia triplica il rischio di sviluppare una psicosi.7 Se non si dedica il giusto tempo all’anamnesi del paziente, i trattamenti difficilmente saranno efficaci.
Essere sani in luoghi malati
Le mie preoccupazioni su come vengono svolte le diagnosi in psichiatria non sono esagerate: si tratta di uno dei problemi principali della psichiatria, e probabilmente vi sorprenderebbe scoprire quanto poco tempo basti per ricevere una diagnosi psichiatrica. Per esempio, è molto rischioso che un paziente dica di sentire delle voci.
Nel 1973, lo psicologo David L. Rosenhan fece pubblicare su Science il suo articolo ormai famoso “Essere sani in luoghi malati”. (10) Rosenhan e altri sette soggetti sani si presentarono in diversi ospedali psichiatrici dicendo di aver sentito delle voci. Il loro obiettivo era riuscire a uscire con i propri mezzi convincendo il personale di non soffrire di disturbi mentali. Non appena furono ricoverati, smisero di simulare i sintomi e si comportarono in modo completamente normale. Eppure restarono in degenza per una media di 19 giorni (Rosenhan fu ricoverato per due mesi prima di essere dimesso), e ricevettero farmaci che evitarono di ingerire, per un totale di quasi 2.100 pillole di vario genere, nonostante gli pseudopazienti presentassero tutti gli stessi “sintomi”. Furono tutti dimessi con una diagnosi di “schizofrenia in remissione”, malgrado i loro unici “sintomi” fossero il fatto di udire delle voci, un’esperienza che può riguardare anche le persone sane.
Molti dei veri pazienti psichiatrici si accorsero che gli pseudopazienti erano sani, ma il personale non notò la loro normalità. Questo illustra come la diagnosi crei un forte pregiudizio.
Una volta ricevuta una diagnosi, è difficile tornare indietro: resta attaccata come un’etichetta. Rosenhan spiegava che l’etichetta era talmente potente che molti dei comportamenti normali degli pseudopazienti erano stati del tutto trascurati o profondamente fraintesi dal personale in modo da farli rientrare in una teoria popolare delle dinamiche di una reazione schizofrenica.
Gli pseudopazienti presero appunti e osservarono che molto spesso il personale fraintendeva i comportamenti dei pazienti. Se un paziente si inalberava perché era stato maltrattato da un assistente, raramente un infermiere gli chiedeva cosa lo turbasse, ma dava per scontato che il comportamento derivasse dalla sua patologia o da una recente visita di familiari. Il personale non ipotizzava mai che potesse essere un dipendente della struttura o la struttura stessa a causare il comportamento del paziente.
Rosenhan descriveva come ovunque si respirasse impotenza. Il paziente veniva privato di molti dei suoi diritti legali, e non gli si attribuiva alcuna credibilità a causa della sua etichetta psichiatrica. Gli pseudopazienti osservarono comportamenti di prevaricazione, che venivano improvvisamente nascosti non appena si avvicinavano altri membri del personale. I dipendenti della struttura erano testimoni credibili, i pazienti no. Rosenhan concluse che negli ospedali psichiatrici non siamo in grado di distinguere chi è sano da chi non lo è. Si chiede quante siano le persone sane che non vengono riconosciute come tali negli istituti psichiatrici, e se tanti pazienti che potrebbero essere sani al di fuori delle strutture psichiatriche appaiano invece malate al loro interno perché reagiscono a un ambiente bizzarro.
Sono davvero tante le persone a cui viene diagnosticata erroneamente la schizofrenia. Uno studio del 1982 aveva scoperto che due terzi di 1.023 soggetti afroamericani con schizofrenia non presentava i sintomi necessari per la diagnosi secondo le linee guida di allora.11 Nel 1985, il primario di psichiatria del Manhattan State Hospital riesaminò le cartelle di 89 pazienti con schizofrenia e concluse che solo 16 avrebbero dovuto ricevere la diagnosi.11
Ma questo eccesso di diagnosi non è così strano come potrebbe sembrare. La psichiatria è radicalmente diversa da altre aree della medicina, dato che le persone normali hanno sintomi e sentimenti simili a quelli dei pazienti psichiatrici: è per lo più una questione di livelli. Anche per la schizofrenia è così. Una psicosi non è una malattia biologica come l’artrite, e molte persone normali hanno di tanto in tanto delle esperienze psicotiche, fra cui anche allucinazioni.
“Che disturbo sia”
“E il DSM disse: che disturbo sia.” (13)
Il DSM-IV dell’American Psychiatric Association (APA) cercò di definire che cos’è un disturbo mentale. Ho enfatizzato in corsivo alcune delle parti più problematiche:
“…una sindrome o un modello comportamentale o psicologico clinicamente significativo che si presenta in un individuo ed è associato a disagio (es. sintomo algico) o disabilità (es. compromissione di una o più aree del funzionamento) o ad aumento significativo del rischio di morte, di dolore o di disabilità, o a un’importante limitazione di libertà. Inoltre, tale sindrome o modello non deve essere una semplice reazione prevedibile e culturalmente accettata a un particolare evento, per esempio la morte di una persona cara. Qualunque sia la sua causa originale, deve attualmente essere considerata come manifestazione di una disfunzione comportamentale, psicologica o biologica dell’individuo. Né il comportamento deviante… né i conflitti che sorgono principalmente fra l’individuo e la società sono disturbi mentali, a meno che tale devianza o conflitto sia sintomo di una disfunzione dell’individuo…” (14)
Questa definizione è estremamente elastica e contiene diversi giudizi, anche in riferimento al grado del fenomeno descritto. Questa ambiguità produce un’ampia variazione dipendente dall’osservatore quando più psichiatri indipendenti valutano se un certo soggetto abbia o meno un disturbo mentale, e di che disturbo si tratti. (14, 15)
È pressoché impossibile rendere operativa tutta questa ambiguità e soggettività, e sarebbe facile suggerire una definizione più significativa e solida. Il DSM però è un documento basato sul consenso, e le sue diagnosi sono arbitrarie e non scientifiche. Le vere scienze non decidono dell’esistenza e della natura dei fenomeni che studiano per alzata di mano in base a interessi personali e sponsorizzazioni dell’industria farmaceutica. (16)
L’idea che il nuovo e complesso sistema di questionari diagnostici introdotto nel DSM-III nel 1980 fosse affidabile è stata smentita con argomentazioni convincenti nel libro del 1992 The Selling of DSM. (15) I risultati deludenti dei casi in cui due psichiatri valutavano una stessa persona sono stati celati da una nube di retorica positiva all’interno di articoli sorprendentemente brevi, data l’importanza dell’argomento. La documentazione è difficile da reperire, ma il libro è esauriente. I due autori hanno svolto un lavoro formidabile nel fare luce su questo tema di cui nessuno, all’American Psychological Association, ha voluto discutere. Anche lo studio su più ampia scala, su un campione di 592 persone, fu deludente nonostante la grande premura prodigata dai ricercatori nell’istruire gli psichiatri che eseguivano le valutazioni. (17)
Dato che non possiamo dire con certezza che cosa sia un disturbo mentale, potremmo provare le procedure diagnostiche accettate su soggetti sani, per vedere se anche loro ricevono diagnosi psichiatriche. In effetti è così. Ho visitato il sito PsychCentral.com, un ampio sito Web che ha ricevuto apprezzamenti da osservatori neutrali e ha vinto diversi premi.18 Io e altre sette persone, normali e realizzate nella vita, abbiamo provato i test per la depressione, l’ADHD e le manie, e nessuno di noi si è salvato. Due risultano depressi e quattro affetti da ADHD certo, probabile o possibile. Sette soffrono di manie: uno ha bisogno di cure immediate, tre hanno manie da moderate a gravi e tre hanno manie più lievi. I miei risultati sono stati confermati da altri, secondo cui c’è almeno una diagnosi psichiatrica ad attendere ogni persona. Non sorprende, dunque, che quando agli psicoterapeuti si chiede di usare i criteri del DSM su soggetti sani, un quarto di loro emette una diagnosi psichiatrica. (16)
Il DSM-III del 1980 è stato sostituito nel 1994 dal DSM-IV, che fa persino di peggio del suo predecessore e allunga del 26% l’elenco dei modi per essere considerati malati mentali. (16)
Allen Frances, presidente della task force del DSM-IV, oggi ritiene che non si debba più affidare all’APA la responsabilità di definire le condizioni psichiatriche, e sostiene che le nuove diagnosi sono pericolose tanto quanto i nuovi farmaci. (19) Sottolinea che il DSM-IV ha creato tre false epidemie, perché i criteri diagnostici erano troppo ampi: ADHD, autismo e disturbo bipolare infantile.
Negli Stati Uniti, l’1% dei bambini fino a quattro anni è sottoposto a una cura di psicofarmaci – nonostante i primi tre anni di vita siano un periodo di rapido sviluppo neurologico (22) – e circa un quarto dei bambini nei campi estivi americani viene curato per l’ADHD, disturbi dell’umore o altri problemi di salute mentale. (18) È la psichiatria che è impazzita, non i nostri bambini. Alcuni psichiatri infantili vantano di riuscire a effettuare la valutazione iniziale di un bambino e prescrivergli dei farmaci in meno di 20 minuti, e ad alcuni pediatri bastano 5 minuti. (23)
Perché questi luminari della psichiatria sono così implacabili? Non vi pare che questo comportamento così bizzarro, anomalo, socialmente disfunzionale e nocivo per gli altri, secondo la mentalità degli psichiatri stessi, possa meritare una diagnosi inventata appositamente? Un nome appropriato potrebbe essere “disturbo da diagnosi ossessivo-compulsiva” ovvero “pulsione comune all’arricchimento”. I criteri diagnostici potrebbero essere una situazione persistente da almeno sei mesi, durante i quali siano presenti almeno cinque dei seguenti elementi:
- Il soggetto ha un lavoro retribuito nel settore psichiatrico da almeno tre anni.
- Desidera inserire il proprio nome su articoli scritti su commissione.
- Crede nell’innocuità delle diagnosi.
- Crede nell’innocuità dello screening, dato che i farmaci non hanno effetti collaterali.
- Crede che le persone con disturbi psichiatrici abbiano uno squilibrio chimico nel cervello.
- Dice ai pazienti che gli psicofarmaci sono come l’insulina per i diabetici.
- Crede che la depressione e la schizofrenia distruggano il cervello e che i farmaci possano evitarlo.
- Crede che gli antidepressivi proteggano i giovani dal suicidio.
- Crede che le informazioni delle compagnie farmaceutiche siano utili.
Mi sono imbattuto in diversi psichiatri per cui sono validi tutti e nove questi criteri. Io sono contrario all’obbligo di cura, ma sono a favore dell’obbligo di radiare i medici che soffrono del disturbo da diagnosi ossessivo-compulsiva, se questo serve a proteggere altre persone dai danni che possono causare.
Forse penserete che io sia ingiusto nei confronti della psichiatria, ma in realtà i miei criteri sono più ragionevoli di quelli del DSM-III per diagnosticare il “disturbo oppositivo provocatorio” nei bambini. (15) I criteri del DSM sono completamente soggettivi e arbitrari, e tutti contengono la parola “spesso”. Che cosa si intende esattamente con “spesso”? Molti bambini soddisfano tutti e nove i criteri, eppure ne bastano solo cinque per una “diagnosi”. A che scopo? A quanto vedo, questi comportamenti infantili sono piuttosto normali.
Sono sicuro che nelle diagnosi affrettate hanno un ruolo l’ingenuità, l’ignoranza e la voglia di fare del bene, ma c’è anche un lato oscuro. Molti di coloro che compilano il DSM [nel 2013 è stato pubblicato il DSM-V] hanno forti conflitti di interesse con l’industria farmaceutica, e per chi è ai vertici produrre molte diagnosi significa guadagnare soldi, fama e potere.14 Significa anche avere il controllo sugli altri, che è un istinto biologico dell’uomo. Marchiare le persone con una diagnosi è uno strumento potente, che le rende dipendenti da ciò che pensano i loro psichiatri, e da questo nascono abusi. Alcuni psichiatri poi non sanno resistere alla tentazione di affibbiare etichette diagnostiche, come “paranoico”, ai loro avversari nei dibattiti pubblici.
Gli psicofarmaci causa di diagnosi errate
Esistono diversi motivi – ma pochi validi – per cui molti pazienti psichiatrici ricevono più di una diagnosi. Innanzitutto, i criteri diagnostici sono molto generici, non specifici per i problemi dei pazienti. In secondo luogo, esiste una forte sovrapposizione fra i diversi criteri diagnostici e la propensione di una condizione a mutare in un’altra nel corso del tempo. Viene spesso indicata come “alta comorbilità”, ma in realtà il problema non è che il paziente abbia diverse “malattie”, ma piuttosto che le malattie sono definite con troppa vaghezza. Terzo: spesso gli effetti collaterali dei farmaci vengono scambiati per nuovi disturbi. Accade di frequente che la prescrizione di un farmaco porti alla prescrizione di altri tipi di farmaci, con effetto a cascata. Per esempio, un antipsicotico potrebbe indurre nel paziente letargia e depressione, e così provocare la prescrizione di un antidepressivo; e iniziando a prendere l’antidepressivo, il paziente potrebbe sviluppare sintomi di manie, che vengono trattate con antipsicotici. (9, 24)
I medici devono rendersi conto che è impossibile giudicare se un paziente soffre davvero di queste ulteriori “malattie” finché il paziente resta sotto l’influsso di sostanze che alterano il suo stato mentale. (9) Gli effetti avversi possono essere temporanei, e questo è un motivo importante per cui molti pensano che non possano essere attribuibili al farmaco. (27) In questo modo, non solo i trattamenti di routine ma persino i tentativi di interrompere l’assunzione di un farmaco – che in genere provocano effetti collaterali da astinenza – possono portare a ulteriori diagnosi, ulteriori farmaci e ulteriori danni. Gli esperti di tossicodipendenze sanno perfettamente che non ha senso diagnosticare disturbi psichiatrici quando una persona fa abuso di sostanze. L’abuso e la dipendenza da sostanze chimiche, con i loro cicli di ebbrezza e astinenza, imitano gli effetti di qualunque possibile problema psichiatrico. Allora perché gli psichiatri non si astengono dal pronunciare diagnosi quando i soggetti sono sotto l’influsso di queste sostanze psicoattive che chiamiamo “psicofarmaci”?
Un quarto importante motivo alla base dell’eccesso di diagnosi è che esse vengono spesso formulate alla prima visita, quando in genere i pazienti si presentano con situazioni di tristezza, stress lavorativo, problemi coniugali, un trauma recente o molte altre problematiche che molti di noi talvolta sperimentano. I medici tendono a dimenticare che la diagnosi è l’istantanea di un momento, e che il paziente potrebbe stare bene prima e dopo la visita. Naturalmente, più spesso una persona si reca dal medico, più alto è il rischio di una falsa diagnosi.
I medici dovrebbero avere pazienza e cercare di evitare di marchiare le persone con un’etichetta diagnostica alla prima visita. Anche quando in seguito una diagnosi viene smentita, è quasi impossibile sbarazzarsene davvero, e la persona che viene stigmatizzata può risentirne anche nella sfera lavorativa, assicurativa e in altri ambiti importanti.
I medici dovrebbero inoltre evitare di prescrivere farmaci al primo incontro, a meno che non si tratti di una situazione davvero acuta. Se un paziente insiste nel voler farsi prescrivere un farmaco, ad esempio un antidepressivo, una discussione onesta sui tanti effetti nocivi e i vantaggi discutibili dovrebbe convincere molte persone che non è una buona idea precipitarsi in azioni affrettate. Le etichette diagnostiche usate dagli psichiatri non si addicono granché al tipo di pazienti con cui hanno a che fare i medici generici, ma ogni volta che nell’ambito delle cure primarie si sollevano dubbi sulle prospettive degli specialisti riguardo ai disturbi mentali, gli psichiatri reagiscono con incredulità sostenendo che i medici dovrebbero rimettersi a studiare. (28)
Studiare cosa? Non il DSM, voglio sperare!
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Articolo pubblicato su NEXUS New Times n. 126, Febbraio – Marzo 2017
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L’autore:
Il Prof. Peter C. Gøtzsche si è laureato in Biologia e Chimica nel 1974 e in Medicina nel 1984. È specialista in medicina interna e ha lavorato nel settore farmaceutico dal 1975 al 1983 e presso vari ospedali di Copenaghen, in Danimarca, dal 1964 al 1995. Ha partecipato all’avvio della Cochrane Collaboration nel 1993 insieme al fondatore, Sir Iain Chalmers, istituendo nello stesso anno un Centro Cochrane per i paesi nordici (www.nordic.cochrane.org). Nel 2010 è diventato docente di Progettazione e analisi della ricerca clinica presso l’Università di Copenaghen. Gøtzsche ha pubblicato oltre 70 studi nelle più importanti riviste mediche (BMJ, Lancet, JAMA, Annals of Internal Medicine e New England Journal of Medicine), e i suoi lavori scientifici sono stati citati oltre 15.000 volte. Si interessa di statistica e metodologia della ricerca, e fa parte di vari gruppi che emettono linee guida per la corretta divulgazione delle ricerche. Dal 1997 al 2014 ha fatto parte del Gruppo Cochrane di revisione metodologica. Ha scritto diversi libri fra cui Deadly Psychiatry and Organised Denial (2015) e Deadly Medicines and Organised Crime (2013). Per maggiori informazioni, si visiti il sito www.deadlymedicines.dk.
Nota di redazione:
Questo articolo è tratto dai primi due capitoli del libro del Prof. Gøtzsche Deadly Psychiatry and Organised Denial. Per questioni di spazio, le note sono disponibili solo nella versione digitale. I lettori possono visualizzarle anche nell’edizione Kindle del libro, disponibile su Amazon: http://tinyurl.com/jfps6jj.
>> Per una lettura più esaustiva vi segnaliamo la traduzione italiana del libro: Psichiatria letale e negazione organizzata (Fioriti Editore) <<
P.S. – Dell'opera di divulgazione medica di Gøtzsche abbiamo scritto anche nell'articolo Verso una Medicina di regime? a firma del Dr. Domenico Mastrangelo, pubblicato su PuntoZero n. 4, di cui potete leggere un ampio estratto qui: https://www.nexusedizioni.it/it/CT/verso-una-medicina-di-regime-5442