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Quale uguaglianza davanti alla Legge? – di Carmelo R. Viola

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La Corte Costituzionale, dichiarando l’incostituzionalità del Lodo Alfano, ha certamente inferto un colpo allo strapotere di Berlusconi, ristabilendo l’uguaglianza dei cittadini davanti alla Legge, come vuole la carta costituzionale. Tuttavia, bisogna aggiungere che tale affermazione è ambigua perché lascia pensare ad una preesistente vera uguaglianza giuridica dei cittadini. Con l’abolizione del Lodo Alfano semplicemente decade un privilegio a favore delle prime quattro più alte cariche dello Stato: che non potessero essere perseguiti coloro che le ricoprono per tutta la durata del mandato. Ora, i titolari di tali cariche possono ricevere avvisi di garanzia, essere indagati e processati come ogni altro cittadino della Repubblica.

Ma l’uguaglianza dei cittadini – di tutti nessuno escluso – davanti al potere giudiziario è un’altra cosa. Limitandoci al nostro Paese, possiamo affermare che essa non è mai esistita: non può essere ripristinata una situazione che non è mai esistita.

E’ semplicemente fuori luogo parlare di uguaglianza all’interno di un sistema – quello capital-liberista, che è strutturalmente fatto di differenze – dove il movente immediato di ogni soggetto è quello di conquistare un potere (di acquisto e di sussistenza) sempre maggiore, quindi quello di superare sempre qualcuno, come vuole appunto la competitività, su cui insiste fino alla nausea ogni economista che si rispetti e che sia in vena di fare raccomandazioni agli imprenditori in difficoltà.

La centralità del tema in discussione non è l’agonismo para-animale – modalità conduttrice del comportamento economico-capitalistico (meglio “predonomico”) ma il sistema di poteri molto differenziati che ne deriva, e a cui si suole attribuire un’uguaglianza davanti alla legge solo in forza di un articolo della Costituzione. Il fatto è che non ci rendiamo conto che non si tratta di un’uguaglianza effettiva ma solo formale e nominale.

Lo Stato liberale – erroneamente detto “di diritto”, erroneamente perché non assicura il rispetto dei diritti naturali – ha superato la schiavitù e le stratificazioni feudali, l’ultima delle quali (quella della servitù della gleba) somigliava molto alla schiavitù – ma non ha liberato e integralmente la generalità degli uomini. Esso ha distribuito la libertà in misura molto variegata, ovvero dandone poca a molti e molta a pochi, addirittura niente ad alcuni.

La formula “libertà-fraternità-ugualianza” – a cui si pensa come ad una curiosità storica – è, al contrario, un trinomio perennemente attuale, che va letto con il rigore della scienza matematica ovvero considerando ogni fattore come interattivo e complementare rispetto agli altri due. Il che significa che nessuno dei tre fattori può essere considerato avulso dagli altri due, a sé stante – nel qual caso perde il significato autentico per assumerne uno puramente vacuo, appunto perché fra quei tre valori vige un rapporto di complementarità e quindi di interdipendenza.

Una libertà, distribuita in quantità varia, cioè senza uguaglianza, è concorrenza e conflittualità. E’ la libertà “liberale” del sistema vigente, che diventa più categorica nella versione “liberista”, che dà a ciascuno un potere diverso in dipendenze dell’eredità, dei beni della famiglia di origine, della propria capacità e della fortuna.

E’ evidente che in un contesto a poteri diversificati non possa vigere un’uguaglianza. Siamo arrivati ad una tautologia: ad un insieme di poteri disuguali non corrisponde alcun tipo di uguaglianza. E poiché parliamo di uguaglianza davanti alla Legge, l’esempio dimostrativo è semplicissimo. Sarò uguale a tutti gli altri perché devo ubbidire alle stesse leggi ma se le leggi comportano oneri di ordine monetario, io non potrò farlo come quelli che hanno più soldi di me o non potrò farlo affatto. Sarò uguale a tutti gli altri perché ho la possibilità teorica di rivolgermi alla magistratura per far valere le mie ragioni e per tutelare i miei interessi o per difendermi da un danno o da un’offesa, ma il mio potere di difesa è strettamente correlato al mio potere economico. E’ possibile che io non sia in condizione di sostenere le sole “spese di approccio” al potere giudiziario mentre il mio avversario, ricco e magari intrigato con amicizie potenti, può essere difeso da uno o più prìncipi del foro e ridurmi al silenzio e fare punire me, l’offeso, come l’offensore, rovinarmi letteralmente anche se sono dalla parte della ragione.

Questo significa che l’uguaglianza, di cui si parla, semplicemente non esiste. E’ un’illusione. Un flatus vocis. Non può esistere uguaglianza avulsa dalla libertà che è, nel caso specifico, il potere e il potere di autodifesa. Possiamo dire che non c’è uguaglianza davanti alla Legge se non c’è uguaglianza davanti alla vita.

Giriamola come vogliamo la questione sociale: ci ritroviamo sempre alla trilogia francese. Questa ci porta al socialismo mentre la pratica di un solo fattore preso a sé stante ci porta al sistema che siamo, dove l’uguaglianza è solo un miraggio, se è vero che non si possa essere “più uguali di altri”. Perciò, bene ha fatto la Corte Costituzionale a bocciare il privilegio del Lodo Alfano, ma l’uguaglianza davanti alla Legge – di tutti e di ciascuno – ha bisogno di ben altro.

E per finire vediamo che la stessa cosa succede con il terzo fattore, che abbiamo lasciato da canto come superfluo: la fratellanza. La quale, praticata come valore a sé stante, ci dà l’elemosina e il volontariato umanitario, che indiscutibilmente fanno del bene “immediato” ma, fuori della libertà e dell’uguaglianza – strano a dirsi ma vero – servono a legittimare le ingiustizie anche abissali, che dividono gli uomini e li pongono gli uni contro gli altri. Non per niente la Chiesa è maestra insuperabile della “politica della carità” e da autocrazia assoluta si concede il diritto di parlare di fratellanza evangelica e di “uguaglianza davanti a Dio” senza che faccia sollevare contro di sé stessa poveri cristi “soccorsi” per restare tali per tutta la vita accanto a satolli ed ipocriti sfruttatori.


Carmelo R. Viola

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