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Rai per una notte – di Pietro Orsatti

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Cominciamo dai numeri. Da quelli più facili da ottenere, ovvero quelli dei contatti sulla diretta in streaming. Alle 22 di ieri sera “Rai per una notte”, con 120.000 visitatori unici ottenuti, era già il più grande evento in diretta sul web mai realizzato in Italia. Quando poi si sono contate a tarda notte le varie fonti e ci si è accorti che si erano sfiorati i 200.000 contatti sul web, era evidente che si era andati ben oltre ogni previsione. Numeri a cui vanno sommati i telespettatori che hanno seguito l’evento su quaranta fra canali satellitari e televisioni locali. E poi le radio. E ancora quelle 200 piazze con megaschermo in tutta Italia. Lo scardinamento, almeno per quelle tre ore di trasmissione, della gabbia censoria in atto nel nostro Paese è perfettamente riuscito.

Anche l’apertura di Michele Santoro che ha ricordato l’esperienza della prima radio libera in Italia, quella fondata da Danilo Dolci in Belice 40 anni fa, è stato un segnale importante. Quella radio venne chiusa perchè violava la legge dell’epoca che prevedeva il monopolio Rai sull’etere. Ma da quella esperienza nacque il potente (e rivoluzionario) fenomeno delle radio libere degli anni ‘70, unico paragone possibile a quello che da tempo sta avvenendo su Internet in Italia oggi e che ieri ha dimostrato tutta la sua “potenza” d’impatto sulla società. Bene, quindi, ha fatto Santoro a fare il parallelo con l’esperienza di Dolci.

Diciamolo chiaramente, però, che se qualcuno si aspettava un programma informativo che supplisse al vuoto di notizie che caratterizza l’attuale sistema informativo tradizionale, questo non è avvenuto. Di informazione, oltre alla docu-fiction sulle intercettazioni di Trani in relazione al caso Agcom, non se n’è vista. E forse era giusto cosi. “Rai per una notte” è stato un atto collettivo di protesta contro bavagli e censura, e una “cerimonia” liberatoria. Poter finalmente dire pubblicamente quello che si sente e si pensa senza la strettoia delle burocrazie della televisione di Stato, senza la pressione della politica politicante. Irriverente, crudele, ironica. Come l’apparizione devastante e feroce di Daniele Luttazzi a otto anni “dall’editto bulgaro”. Insomma, uno schiaffo. Un ceffone spietato a chi, goffamente come ci raccontano quelle intercettazioni raccolte dalla procura di Trani, cercava in tutti i modi di eseguire gli ordini del padrone cercando freneticamente un’escanotage per chiudere Anno Zero e tutti quei programmi che infastidivano (e tanto) la digestione del premier. Fino alle estreme conseguenze, andando a cercare perfino i consigli di un membro del Csm per bloccare i programmi televisivi sgraditi.

È stata una grande manifestazione. Un precedente importante. Ma anche, in  qualche modo, un’occasione persa. L’occasione di uscire una buona volta dall’autoreferenzialità, dal cerimoniale del talk show personalizzato, dallo stretto circuito del protagonismo estremizzato di chi – consapevolmente o meno – è stato trasformato in icona di un dissenso giusto e diffuso. Ma pur sempre icona, simbolo auto-assolutorio. Poteva essere davvero la voce “dei tanti”, ma è stata in realtà la voce “dei soliti”. Purtroppo questo è il meccanismo di questo meccanismo.

Unica voce fuori dal coro quella del pur paludatissimo Gad Lerner. Quel suo “io sono per l’abrogazione dell’ordine dei giornalisti ma non sarò mai per la cancellazione del sindacato dei giornalisti” non è stato casuale. Lerner, da buon osservatore “infedele” di quello che si muove nella nostra società, si è perfettamente reso conto che il giornalismo italiano come lo conosciamo ora – inteso come modus professionale a tutela dei privilegi di un piccolo gruppo sociale – è ormai roba da consegnare alla storia. Un impaccio. Quella frase di Lerner, lo sappiamo, rimarrà inascoltata.

Purtroppo anche il “cosiddetto giornalismo libero”, che sarebbe più corretto chiamare “giornalismo” e basta, quello che è andato in scena ieri, pur essendo una risorsa formidabile, un ingrediente fondamentale per ottenere un possibile anticorpo al tracollo morale, democratico, sociale del nostro Paese, se continua ad essere prerogativa di un gruppo che si riconosce solo nell’ “evento”. In simboli, e delega. Autorevole, certo, ma sempre espressione di una  élite politica e intellettuale.

A dimostrazione che questo rischio esiste citiamo di quella che è sembrata una sottovalutazione del movimento dei blogger, delle testate indipendenti on line e del citizen journalism che, nonostante sia stato uno degli ingredienti fondamentali per la riuscita dell’iniziativa (sia in termini di promozione e diffusione in rete che nella raccolta delle sottoscrizioni necessarie a pagare i conti di “Rai per una notte”), alla fine dei giochi è sembrata relegata in un angolo. Lo stesso vale per chi ha speso la propria faccia per promuovere la sottoscrizione necessaria a permettere che “Rai per una notte” andasse in scena. Gli organizzatori hanno parlato “di un problema tecnico” che avrebbe impedito di aggiornare la pagina delle adesioni e dei link disponibili. Speriamo che sia stato questo e basta. Anzi ne siamo convinti. Anche perché sarebbe stato controproducente per gli stessi organizzatori dell’iniziativa sia in termini di immagine che in possibili collaborazioni future.

 
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