Stando a quanto scoperto dalla Voce, farebbero parte di questa struttura segreta circa 50 giornalisti – tra cui alcuni caporedattori – che avrebbero il potere di autorizzare il “Nulla osta di sicurezza” (Nos) sulla divulgazione di notizie sulle reti della tv pubblica. La rivelazione dell’esistenza di un organo preposto alla tutela del segreto di Stato in Rai, sarebbe stata fatta la settimana scorsa, durante una riunione dell’Autorità nazionale per la sicurezza (Ans), da parte del rappresentante del dicastero delle Comunicazioni – attualmente guidato da Paolo Gentiloni della Margherita -, dal cui Organo centrale di sicurezza (Ocs) dipenderebbe la struttura di viale Mazzini.
L’Ans è alle dirette dipendenze del Presidente del Consiglio dei ministri, al quale, secondo la legge n. 801 del 24 ottobre 1977 sull’Istituzione ed ordinamento dei servizi per l’informazione e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato, è demandato il potere di decidere la secretazione delle informazioni. La materia è stata poi ulteriormente regolata dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 febbraio 2006 contenente le “Norme unificate per la protezione e la tutela delle informazioni classificate” (Berlusconi lo aveva usato per “coprire” l’abuso edilizio di villa Certosa in Sardegna). Tuttavia, il regolamento attuativo emanato da Palazzo Chigi è stato classificato come “riservatissimo”, e, quindi, occultato all’opinione pubblica. La scoperta ha lasciato stupefatti anche gli uomini del reparto Informazione e sicurezza del Centro intelligence interforze dello Stato maggiore della Difesa, che partecipavano all’incontro: persino i militari ne erano all’oscuro.
La Voce ha riscontrato in ambienti governativi che le indiscrezioni sull’esistenza di questo “filtro” sulle notizie circolano da tempo nella Capitale. Lo stesso ex ministro delle Comunicazioni del governo Berlusconi, Maurizio Gasparri, si sarebbe tenuto costantemente in contatto con l’organo esecutivo di sicurezza della Rai. Il rilascio del nulla osta di sicurezza consente alla pubblica amministrazione, all’ente, o all’organismo, già legittimati alla trattazione di informazioni classificate, di poter impiegare una persona in attività che comportano la necessità di trattare informazioni classificate “segretissimo”, “segreto”, “riservatissimo” (le classifiche di segretezza sono quattro – alle tre citate bisogna aggiungere “riservato” – e variano in funzione dell’entità del danno che sarebbe arrecato all’integrità dello Stato in caso di rivelazione non autorizzata).
Il possesso del Nos non implica tuttavia l’accesso automatico alle informazioni classificate, in quanto tale qualifica è subordinata all’effettiva “necessità di conoscere”. La normativa in vigore sul segreto di Stato stabilisce che sono coperti “gli atti, i documenti, le notizie, le attività ed ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recar danno all’integrità dello Stato democratico, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento, al libero esercizio delle funzioni degli organi costituzionali, all’indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle relazioni con essi, alla preparazione e alla difesa militare dello Stato”.
Secondo questa definizione, potrebbe rientrare qualsiasi tipo di notizia, comprese quelle “politiche” (prima della riforma, il Regio decreto 11 luglio 1941, n. 1161 sulle Norme relative al segreto militare si riferiva infatti al “segreto politico o militare”). L’articolo 7 della legge sul segreto di Stato specifica che “è tenuto all'osservanza delle norme ed è responsabile di ogni infrazione alle stesse, chiunque, per ragione della sua carica, impiego, professione o servizio, ovvero in occasione dell'esercizio di essi, venga a conoscenza di notizie di carattere segreto o riservato”. L’articolo 262 del Codice penale stabilisce che “chiunque rivela notizie, delle quali l'Autorità competente ha vietato la divulgazione, è punito con la reclusione non inferiore a tre anni.”, e che “le pene si applicano anche a chi ottiene la notizia”. L’articolo 256 sul Procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato punisce inoltre “chiunque si procura notizie che, nell'interesse della sicurezza dello Stato o, comunque, nell’interesse politico, interno o internazionale, dello Stato, debbono rimanere segrete con la reclusione da tre a dieci anni”. L’articolo 261 sulla Rivelazione di segreti di Stato stabilisce inoltre che “chiunque rivela taluna delle notizie di carattere segreto indicate nell'art. 256 è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni”.
La Voce ha tentato inutilmente di ottenere un commento da parte del ministro delle Comunicazioni e dal presidente della Commissione parlamentare di vigilanza Rai, l’ex ministro Mario Landolfi, mentre alla Rai “non risulterebbe” una simile struttura. La scoperta di un centro preposto alla “censura” delle notizie da parte dell’emittente pubblica – se confermata – apre scenari inquietanti, soprattutto se si pensa ai legami con il ministero vigilante, il governo, ed il potere politico in generale, in spregio alla par condicio, al diritto di cronaca che i giornalisti dovrebbero garantire, ed al diritto dei cittadini ad essere informati. Si spiegherebbe così il meccanismo denunciato ieri da Pippo Baudo “contro ogni censura preventiva” in Rai in seguito alla polemica sollevata per la richiesta di Michele Santoro di acquistare della Bbc il documentario su alcuni casi di preti pedofili per la sua trasmissione Annozero.
Evidentemente la richiesta di Santoro era temporaneamente “sfuggita” al controllo dell’organo esecutivo di sicurezza di viale Mazzini, obbligando le istituzioni preposte ad un tardivo, quanto goffo, intervento, per cercare di bloccarne la messa in onda. Vedremo che impatto avrà questa clamorosa scoperta sulle proposte di legge del governo sulla riforma della Rai e dei servizi segreti. E se la Rai si trasformerà definitivamente da “servizio pubblico” a “servizio segreto”.
(Tratto da www.disinformazione.it; fonte originale La Voce, www.voceditalia.it)