Il libro di Germana Leoni (Julian Assange, niente è come sembra) sfida la narrativa dominante sin dal sottotitolo. Nell’affrontare la vicenda umana e politica di questo eroe del nostro tempo l’autrice lascia trasparire una passione politica e genuina adesione all’etica della convivenza umana.
Assange ha acceso i riflettori su tanti crimini americani, detenuti senza processo torturati a Guantanamo, riunioni segrete del club Bilderberg, violenze gratuite in Afghanistan, in Iraq e altrove, che altrimenti sarebbero rimasti nascosti per sempre. L’inviato speciale delle Nazioni Unite contro la tortura (lo svizzero Nils Metzer) ha dichiarato che Assange subisce da anni trattamenti disumani, qualificabili come tortura vera e propria: “in vent’anni di lavoro non avevo mai visto un gruppo di stati cosiddetti democratici coalizzarsi così accanitamente per aggredire e torturare un individuo per così lungo tempo e senza alcun rispetto della legge e della dignità umana.”.
Come ricorda George Orwell nel suo mirabile “1984” il linguaggio politico è progettato per far sembrare vera la bugia, rispettabile l’omicidio e per dare un tocco di solidità alle correnti d’aria.
Il futuro delle nostre libertà – il pianeta, con inevitabili differenze, non è che un grande villaggio! – si giocherà in gran parte sugli spazi di vigilanza che i cittadini del mondo saranno capaci di esercitare sugli apparati pubblici, in particolare quelli onnipotenti delle grandi potenze, che operano spesso fuori da quel controllo democratico che pure la legge prevede e dispongono di strumenti di sorveglianza un tempo inimmaginabili. In un quadro di pesante deficit istituzionale, nei labirinti occulti degli stati profondi agiscono strutture non controllabili in commistione e protette da apparati pubblici, che obliterano platealmente i bisogni della collettività, costituiti ovunque da pace, lavoro, partecipazione e giustizia sociale. La resistenza dei cittadini ancora in grado di battersi appare talora inutile davanti a poteri inafferrabili, lontani e misteriosi. I legami profondi tra la sfera degli interessi privati e le istituzioni fa inorridire.
Attraverso il doloroso percorso che ha portato Julian Assange a diventare – insieme a Chelsea Manning e altri – un’icona della resistenza al dominio imperiale, Germana Leoni solleva il sipario sul mondo di menzogne, nefandezze e ingiustizie che la narrazione pubblica ci ha somministrato per anni, un mondo dove i valori di democrazia, tutela della vita umana e primari diritti umani hanno costituito la maschera di un saccheggio etico e materiale di interi popoli.
I sistemi dittatoriali gestiscono l’informazione con la Censura: solo notizie amiche superano la barriera. Nelle cosiddette democrazie occidentali, invece, dominano manipolazione, saturazione, racconto parziale, distrazioni di campo, tecniche sopraffine costantemente aggiornate per nascondere la coscienza critica e le domande moleste. Il rigido controllo sugli strumenti mediatici alimenta la Dea Menzogna, impedisce la riflessione, manipola la mente collettiva, con qualche coraggiosa eccezione che non fa la differenza. Chi controlla la narrazione pubblica domina il mondo. E tale narrazione nulla ha a che vedere con la verità o con la ricerca della verità.
Il libro di Germana Leoni prende chiara e immediata posizione, e non è questo il suo unico pregio. Accurato e documentato, esso possiede quel taglio assiologico raramente rintracciabile nello sguardo cinico e nichilista dei cosiddetti intellettuali. Il suo posizionamento contro la mistificazione e il sopruso dell’impero mette in luce un’evidenza che tende a sfuggire alla pubblica percezione – poiché, come affermava il filosofo Hegel, “ciò che è noto spesso proprio per questo non è conosciuto” – vale a dire che siamo tutti bersagli potenziali, se solo ci capita di superare la soglia di infastidimento.
Inseguito da un mandato di cattura della giustizia svedese che grondava di accuse pretestuose, nel giugno 2012, Julian Assange trova rifugio all’Ambasciata dell'Ecuador a Londra per evitare di essere trasferito in Svezia, e poi estradato negli Stati Uniti. Dopo 7 anni di internamento forzato, l’11 aprile 2019, smentendo la scelta del suo predecessore (Rafael Correa), il nuovo presidente dell’Ecuador (Lenin Moreno) lo consegna alle autorità britanniche, che lo rinchiudono nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh. Ora rischia una condanna a 175 anni di carcere per aver svelato documenti segreti del Pentagono forniti dall'ex-militare Chelsea Manning senza violazione alcuna da parte di Assange, il quale svela però il business model di un paese schiavo di patologia dell’onnipotenza: violare ogni norma o codice di condotta, nascondere le malefatte, raccogliere informazioni ovunque, costruire algoritmi e schemi di condotta da utilizzare in duplice modo: a fini di profitto (lo scambio di dati con le big di internet), e di potere/ricatto universali (su stranieri e cittadini): in buona sostanza, una gigantesca macchina di sorveglianza e indottrinamento. Il governo controlla, le imprese schedano e fanno profitti e all’occorrenza si rivolgono a quegli stessi apparati, le poltrone essendo interscambiabili.
In un primo tempo (gennaio 2021), la giustizia britannica nega l’estradizione – senza concedendogli però la libertà su cauzione – con la motivazione che nelle carceri statunitensi il fondatore di Wikileaks sarebbe a rischio di suicidio. Un’asserzione rivelatrice questa: persino la giustizia di un paese intimo dell’impero americano giudica il sistema carcerario Usa una struttura deviata, di segregazione sociale e politica. In un carcere americano, lo stato di diritto è giudicato carente. Un detenuto è esposto a degradazione fisica e morale, sevizie sessuali, torture o peggio. Un monito, dunque, per coloro che negli sterminati apparati d’intelligence Usa dovessero essere tentati di seguire le orme di Julian Assange o di Chelsea Manning: colpirne uno (o due) per educarne cento!
Nel dicembre 2021, l'Alta Corte di Londra ribalta la sentenza, conferma l'estradizione e rinvia il caso al tribunale di primo grado per un nuovo esame. La vicenda non è ancora finita. Assange giace tuttora in prigione in attesa del biglietto di sola andata per l’America o magari di crepare prima.
Il libro denuncia altresì il vincolo mafioso che unisce alcuni apparati di Stati Uniti, Regno Unito, Svezia e Australia incaricati di silenziare la voce di un uomo coraggioso contro la concezione americana usa e getta del diritto internazionale, à la carte, al servizio della prevaricazione e della brutalità.
L’assurdità di un impero che reputa di poter decretare la pace, la guerra e il futuro del mondo non è un’astrazione. La prova è davanti a noi, milioni di morti e rifugiati, distruzioni e violenze, sempre a difesa dei padroni del mondo, le cui ricchezze e potere hanno raggiunto vette come mai prima nella storia.
Il libro di Germana Leoni, poi, non si limita alle vicende di Assange e Manning, ma illustra accuratamente nomi e vicende di altri eroi (tra cui Edward Snowden) che hanno sacrificato o rischiato la vita per questi valori, mentre i responsabili vivono liberi alla luce del sole.
Alcuni passaggi di questo scritto meritano una particolare sottolineatura. Dai files di Wikileaks emerge che G. W. Bush e Tony Blair, responsabili di centinaia di migliaia di morti in Iraq e altrove, avevano tra loro una relazione che rifletteva alla perfezione quella tra Washington e Londra. Rivolgendosi a G. W. Bush, infatti, il PM britannica afferma: sarò sempre con te, a qualsiasi costo. Una sudditanza umiliante, secondo alcuni, per il popolo britannico.
Ad Oxford, nel consegnare a Chelsea Manning il premio Sam Adams per Integrità nel lavoro di intelligence, Craig Murray, ex ambasciatore britannico in Uzbekistan, così si esprime: “Chelsea, mentre la verità veniva mistificata, senza alcuna compassione verso le vittime dei crimini di guerra, il tuo paese creava terrorismo e violenze anziché ridurle. L’impegno umanitario della tua condotta testimonia il meglio dell’anima umana. Tu sei più libera di coloro che passano la vita nascondendo il male. Un plauso al tuo coraggio, alla tua dignità, alla tua integrità. Avrai sempre il nostro sostegno. Per me, ambasciatore Craig Murray, è un vero onore consegnarti il premio Sam Adams.”.
Un ultimo episodio riguarda anche l’Italia, inseguito dagli agenti Usa, Edward Snowden in un momento di obnubilamento mentale aveva pensato di chiedere asilo anche all’Italia. Nel rispondere in Parlamento a una interrogazione in proposito, Emma Bonino, allora Ministro degli Esteri, aveva così motivato il rifiuto italiano: non vi sono le condizioni giuridiche affinché l’Italia accolga la richiesta di asilo di Snowden. A me, a noi come governo, pare che preservare un rapporto di fiducia con gli Stati Uniti, sia nei nostri migliori interessi nazionali”. Tutto chiaro.
Il libro in questione è dunque un volume indispensabile per chi vuole penetrare nei labirinti di una distopia diffusa che, se non sarà fermata in tempo, metterà a rischio la vita e la libertà dei popoli del pianeta.
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(Alberto Bradanini è un ex-diplomatico. Tra i numerosi incarichi ricoperti, è stato Ambasciatore d’Italia a Teheran (2008-2012) e a Pechino (2013-2015). È attualmente Presidente del Centro Studi sulla Cina Contemporanea. Ha pubblicato "Oltre la Grande Muraglia" Ed. Bocconi 2018; "Cina, lo sguardo di Nenni e le sfide di oggi", Ed. Anteo, 2021 e "Cina, l'irresistibile ascesa”, Ed. Sandro Teti, 2022.)