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Ricorrendo alle consolidate interpretazioni sulle origini dell'uomo non è possibile spiegare vari riscontri anomali, da manufatti umani reperiti in strati antichi sino ad arrivare a strutture di sabbia e pietra vetrificate da intenso calore, indizio di una guerra nucleare preistorica.


Riscontri geologici dell’estrema antichità dell’umanità

Io stesso, ora nel pieno del mio settimo decennio di vita, mi ritrovo ancora a pormi due quesiti a cui, in un modo o nell’altro, la maggior parte dei miei 165 libri editi ha cercato di dare una risposta:

  • (1) Chi siamo come specie? e
  • (2) Qual è il nostro destino?

La ragione fondamentale per cui ho scritto Worlds Before Our Own (G. P. Putnams Sons, 1978; Anomalist Books, 2007) è che ho sempre trovato incredibile che in quanto esseri talmente sofisticati, quali noi ci giudichiamo, in realtà non sappiamo chi siamo.

Archeologi, antropologi e accademici di varia estrazione, ligi alle regole del gioco riguardante le “origini dell’uomo”, riconoscono con riluttanza e solo occasionalmente casi in cui riscontri culturali e reperti ossei di era preistorica all’improvviso risultano molto più antichi di quanto dovrebbero – e in luoghi non consoni. Questi irritanti manufatti frantumano l’ordinata linea evolutiva che da lungo tempo il mondo accademico propone al pubblico. Di conseguenza, tali dati sono stati ampiamente lasciati sepolti nei rapporti stilati sul campo, in dimenticati magazzini e in polverosi archivi, dove è lecito sospettare che esista una gran mole di prove culturali preistoriche soppresse, ignorate e fuori posto, prove che modificherebbero le interpretazioni consolidate delle origini dell’umanità e ci consentirebbero una definizione assai più chiara di quello che significa appartenere alla nostra specie.
Attualmente vige un fondamentale consenso accademico sul fatto che il lignaggio dell’”Homo” risale ad almeno tre milioni di anni fa, e che un antenato dell’uomo moderno si evolse all’incirca un milione d’anni fa. L’Homo sapiens, ”l’uomo raziocinante” (la nostra specie), diventò la forma di vita dominante del pianeta all’incirca 40.000 anni fa.
L’improvvisa comparsa dell’Homo sapiens in tale periodo risulta alquanto difficile da spiegare, nondimeno una questione di ancor più complessa valutazione è la ragione della concomitante scomparsa dell’uomo di Neanderthal e dell’uomo di Cro–Magnon. La questione se l’uomo di Neanderthal e i nostri antenati fossero due specie distinte oppure ibridate è oggetto di un’incessante disputa accademica.

E proprio mentre gli scienziati ampliano una crescente mole di riscontri del fatto che l’umanità si sviluppò in Africa, uno scavo ungherese ha restituito un frammento di teschio di Homo sapiens in un contesto discordante di oltre 600.000 anni rispetto alla datazione comunemente accettata inerente alle migrazioni dell’uomo attraverso il pianeta. Fossili di ominidi scoperti a Dmanisi, in Georgia, sono datati come risalenti a 1,77 milioni di anni fa; e il dente di un ominide ritrovato in depositi del Neocene nei pressi del fiume Maritsa, in Bulgaria, viene fatto risalire a sette milioni di anni fa.
Che ne è dell’evoluzione darwiniana quando esistono siti come quello che, in Australia, ha ‘prodotto’ Homo sapiens (uomo moderno), Homo erectus (il nostro antenato di un milione di anni fa) e uomo di Neanderthal (il nostro cugino dell’Età della Pietra) in quello che si presenta come un ambiente di contemporaneità?

Poi vi è il sito di Tabun, nell’odierna Israele, in cui frammenti di Homo sapiens sono stati reperiti in strati sottostanti (vale a dire antecedenti) a tipici reperti ossei di Neanderthal. Nell’agosto 2007, alcuni scienziati che datavano fossili scoperti in Kenya hanno messo in discussione l’opinione convenzionale che l’Homo sapiens (1,44 milioni di anni) e l’Homo erectus (1,55 milioni di anni) si siano evoluti l’uno dopo l’altro. La datazione di nuovi reperti fossili rivela che le due specie vissero fianco a fianco in Africa per quasi mezzo milione d’anni.
Da qualche parte, in quella che sembrerebbe una sregolata baldoria culturale e biologica aperta a tutti, deve trovarsi la risposta al quesito più pregnante: chi siamo?

Ma proprio mentre facciamo del nostro meglio per adattare frammenti di scheletro in un modo tale da risultare accettabile per quello che riteniamo di sapere sulle nostre origini, su alcune pietre sono state ritrovate impronte che, se sono realmente quello che sembrano, metteranno completamente a soqquadro il calendario evolutivo comunemente accettato. Nella Pershing County, in Nevada, è stata scoperta l’impronta di una calzatura in uno strato di calcare del Triassico – uno strato che indica un periodo di 400 milioni d’anni – e la traccia fossilizzata ha rivelato chiaramente una doppia cucitura finemente lavorata nelle costure.
Agli inizi del 1975, il Dr. Stanley Rhine della University of New Mexico annunciò la scoperta di impronte di tipo umano in strati che indicavano un'età di 40 milioni di anni. Alcuni mesi prima si registrò un’analoga scoperta a Kenton, Oklahoma. Pressoché nello stesso periodo, nel Wisconsin centro–settentrionale si ebbe la scoperta di un’impronta nella pietra.
Nella Death Valley, in California, esistono abbondanti reperti fossili e di scheletri indicanti che un tempo quella desolata area era un tropicale Giardino dell’Eden in cui viveva una razza di giganti, i quali si nutrivano con appetitosi alimenti presi dai laghi e dalle foreste locali.
Parlare di una razza di giganti preistorici stanziati in quelle che ora sono le sabbie desertiche della Death Valley vuol dire confutare al contempo la dottrina consolidata secondo cui in termini relativi l’uomo è un nuovo arrivato in America, settentrionale e meridionale. Mentre da una parte nuove datazioni al radio–carbonio dimostrano che il ponte di terra dello Stretto di Bering e il corridoio di ghiaccio della Cordigliera non erano transitabili sino a 9.000 anni fa, una crescente mole di riscontri concreti indica che l’uomo si trovava per certo in questo emisfero molto tempo prima del suddetto recente periodo.

Si dice che il mais, contributo americano alle tavole di tutto il mondo, 9.000 anni fa fosse la nostra più antica coltura da semina addomesticata. Per addomesticare tale semente, alcuni agricoltori dovevano trovarsi nelle Americhe in un periodo antecedente a 9.000 anni or sono. Antichi semi di zucca, arachidi e fiocchi di cotone risalenti a 8.500 anni fa e reperiti nella Valle di Nanchoc, in Perù, costituiscono ulteriore prova che nel Nuovo Mondo l’agricoltura era prassi consolidata. La prova decisiva dell’esistenza di tali antichi agricoltori nelle Americhe venne alla luce allorquando, nel corso di una trivellazione della Humble Oil Company, giunse in superficie polline di mais messicano risalente a oltre 80.000 anni fa.

L’anomala configurazione sanguigna e dentatura dei nativi, nonché la loro distribuzione geografica, prevedono un'impossibile scala temporale genetica in cui trasformare gli immigranti asiatici nei peculiari abitanti del Nuovo Mondo. Anche se ci proponiamo di accettare in qualche modo le teorie condivise sull’abitazione del Nuovo Mondo, dobbiamo comunque assegnare nel Nord America in 40.000 anni una maggiore evoluzione di quella verificatasi in Europa, Asia e Africa in oltre un milione di anni.
Teschi trovati in California, palesemente appartenenti a nativi americani, sono stati retrodatati a 50.000 anni fa. Ma rimane un altro mistero. Presso un sito di scavi iraniano è stato reperito un teschio di tipo nativo americano (determinato tramite analisi metrica) vecchio di 140.000 anni.

Che dire della perduta civiltà amerindia di Cahokia, Illinois, provvista di piramidi e di una grande muraglia? Un sito, nei pressi dell’odierna città di St. Louis, potrebbe aver ospitato una metropoli di oltre 250.000 nativi nordamericani.


Sopra: la piramide di Cahokia in Illinois


Chi ha costruito la misteriosa muraglia di sette miglia sulle colline di Berkeley e Oakland, California? E quale popolazione pre–Maya ha realizzato, oltre 2.000 anni or sono, un’elaborata rete idrica nello Yucatán, allo scopo d’irrigare i campi?
La torre del Caracol a Chichén Itzá, Yucatán, è un ragguardevole osservatorio meso–americano che sembra avere correlazioni con analoghi siti nell’America del Nord, fra cui Mesa Verde, Wichita e Chaco Canyon.

Una delle teorie più eretiche che avanzo in Worlds Before Our Own è che la culla della civiltà possa essere migrata dal cosiddetto Nuovo Mondo a quello Vecchio. Ora, nel 2007, a distanza di anni da quando Ruth Shady Solis documentò l’antica città di Caral, in Perù, gli scienziati hanno accettato la datazione al carbonio del 2627 a.C., stabilendo in tal modo che la civiltà in Sudamerica è assai più antica delle città della Valle di Harappa, negli odierni Pakistan e India occidentale, nonché delle piramidi d’Egitto. Caral deve essere ora riconosciuta come “la madre di tutte le civiltà”, l’anello mancante dell’archeologia, la Città Madre.
A quanto pare la conoscenza scientifica è stata tenuta in somma considerazione dai rappresentanti di ogni cultura, nota e non. Incisioni sulla roccia, forse risalenti a 60 milioni di anni fa, ricorrendo a illustrazioni in sequenza raffigurano un’integrale operazione di trapianto di cuore e un taglio cesareo. Gli antichi Egizi utilizzavano l’equivalente della gelatina contraccettiva e disponevano di test di gravidanza basati sull’urina. Il cemento utilizzato dai Maya per l’otturazione delle carie dentali regge ancora a distanza di 1.500 anni.

Si presume che non sia stato reperito alcun tessuto antecedente a 5.000 anni fa, quando gli Egizi produssero materiale per capi di vestiario. In che modo possiamo dunque considerare il sito russo che fornisce fusaioli e disegni di tessuto fantasia risalenti a oltre 80.000 anni fa?
Non solo a quanto pare gli antichi Babilonesi utilizzavano fiammiferi di zolfo, ma disponevano di una tecnologia sufficientemente sofisticata da impiegare complesse celle di batteria elettrochimica provviste di cablaggio. Riscontri di batterie elettriche ed elettrolisi esistono anche a riguardo dell’antico Egitto, dell’India e della terra Swahili (Africa orientale).
Presso l’attuale Medzamor, nella Russia armena, sono stati reperiti resti di un antico stabilimento metallurgico dotato di oltre 200 fornaci. Anche se per fondere il platino è necessaria una temperatura superiore ai 1780° gradi, alcune popolazioni pre–incaiche del Perù producevano oggetti realizzati con tale metallo. Ancor oggi il procedimento per estrarre l’alluminio dalla bauxite è alquanto complesso, tuttavia Chou Chu, celebre generale dell’era Tsin (265–316 d.C.), fu inumato con un abito funebre provvisto di fibbie del cinturone in alluminio.
Nel corso di operazioni di trivellazione di pozzi assai profondi sono state riportate in superficie pietre, gesso e ossa incise, assieme a quelle che si presentano come “monete” riccamente decorate. In una miniera di carbone è stata reperita una strana lastra impressa, decorata con quadrati a forma di diamante, con il viso di un uomo in ciascun “riquadro”. In un’altra scoperta relativa a una miniera di carbone i minatori hanno trovato lisci e levigati blocchi di cemento che formavano un solido muro. Secondo la testimonianza di un minatore, costui scalpellò un blocco solo per scoprire la miscela standard di sabbia e cemento di cui sono fatti per la maggior parte gli odierni mattoni da costruzione. In un pezzo di carbone si è trovata una collana d’oro, mentre in una miniera d’argento in Perù si è reperito uno spillo di metallo; in uno strato carbonifero scozzese è saltato fuori un utensile in ferro. Si stima che tali oggetti risalgano a milioni di anni prima rispetto a quando si ritiene comunemente sia esistito l’uomo.
Nei pressi di Dorchester, Massachusetts, dalla roccia viva è stato estratto un vaso di metallo a forma di campana, intarsiato con un motivo floreale in argento.

Per spiegare la presenza di questi sconcertanti manufatti vi sono due ipotesi:

  • (1) che furono realizzati da una civiltà terrestre progredita che, a causa di una catastrofe naturale o tecnologica, venne distrutta prima della genesi del nostro mondo;
  • (2) che siano le vestigia di una civiltà altamente tecnologica di origine extraterrestre che visitò questo pianeta milioni di anni fa, lasciandosi dietro svariati manufatti.

Anche se in tempi preistorici una progredita razza extraterrestre potrebbe aver fatto visita al nostro pianeta, appare improbabile che comuni oggetti d’uso quotidiano quali chiodi, collane, fibbie e vasi siano stati trasportati su un’astronave e depositati in aree così distanti fra loro – perché manufatti di questo genere sono stati reperiti nelle Americhe del Nord e del Sud, in Gran Bretagna, in tutta l’Europa, in Africa, Asia e Medio Oriente.

 

Indizi di antiche catastrofi

Nonostante la generale impopolarità del catastrofismo, a quanto pare esistono alcune “prove”, scoperte di recente, di antichi cambiamenti – determinati da cataclismi – della crosta terrestre che potrebbero dar conto della quasi totale scomparsa di tali mondi preistorici. I riscontri geologici evidenziano che tali cambiamenti furono al contempo drastici e repentini, e che potrebbero aver sopraffatto e distrutto i remoti abitanti e le loro culture. Forse la prova potenzialmente più strabiliante di un’avanzata tecnologia preistorica, che potrebbe aver distrutto la cultura di riferimento, va ricercata in quei siti che apparentemente recano mute testimonianze di una guerra nucleare preistorica.

Si sono reperite estese aree di vetro verde fuso e città vetrificate nei profondi strati dei seguenti scavi archeologici: Pierrelatte, nel Gabon, Africa; Valle dell’Eufrate; Deserto del Sahara; Deserto del Gobi; Iraq; Deserto del Mojave; Scozia; Antico e Medio Regno d’Egitto; Turchia centro–meridionale.
In epoca contemporanea si sa della presenza di materiali come il vetro verde fuso presso siti adibiti a test nucleari (dove la sabbia si è fusa sino a formare tale sostanza). Per alcuni risulta alquanto sconvolgente prendere in considerazione la possibilità che tali siti forniscano le prove di un conflitto nucleare preistorico. Al contempo, gli scienziati hanno trovato una serie di depositi di uranio che a quanto pare sono stati sfruttati o esauriti in tempi remoti.

Se è possibile che in tempi preistorici si sia verificato il totale annientamento di una civiltà globale, appare ancora più urgente apprendere chi siamo in realtà, prima di ritrovarci condannati a ripetere le lezioni lasciateci da un mondo antecedente al nostro.

Fonte: The Canadian, 21 dicembre 2007, http://tinyurl.com/2w6z3x


Riscontri di un’antica guerra nucleare

”Quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sodoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco provenienti dal Signore. Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo”. – Genesi 19:24

Il mio precedente articolo apparso su The Canadian, nel quale ho esposto alcune personali riflessioni sul mio libro Worlds Before Our Own, ha suscitato dozzine di domande da parte dei lettori. Alcuni hanno affermato che uno dei canali via cavo – secondo certi lettori si trattava di History Channel; a detta di altri, di Discovery; secondo altri ancora, del National Geographic – aveva presentato “prove” secondo cui il “vetro verde fuso” presente in varie aree era stato creato da esplosioni aeree di meteoriti piuttosto che da guerre nucleari di epoca preistorica. Quanto alle numerose teorie concernenti la preistoria della Terra, resto aperto al dubbio.
Uno dei suddetti lettori indotti a scrivermi, il quale aveva il vantaggio di aver letto sul serio Worlds Before Our Own, ha affermato che presento 

“con stile terso e chiaro informazioni riguardanti scoperte archeologiche anomale, senza quell’uso di iperboli solitamente associato a tal genere di argomenti”.

Anche se in alcuni casi è possibile che appezzamenti di “vetro verde fuso” siano stati determinati da esplosioni aeree di meteoriti, mi domando se tale fenomeno naturale possa aver creato tutte le 28 distese di pietre annerite e frantumate che nell’Arabia occidentale ricoprono un'area estesa sino a 7.000 miglia. Le pietre, annerite e dai bordi affilati, sono fittamente raggruppate, come fossero le rovine di una città. Gli esperti hanno decretato che non sono di origine vulcanica, ma sembrano risalire al periodo in cui si pensa che l’Arabia fosse una terra fertile e lussureggiante, bruciata all’improvviso sino a trasformarsi istantaneamente in un deserto.

Quello che oggi conosciamo come il Deserto del Sahara, un tempo era una regione tropicale ricoperta da fitta vegetazione, percorsa da vari grandi fiumi e caratterizzata da abbondante piovosità. Gli scienziati hanno scoperto aree del deserto il cui suolo, ora ricoperto da un sottile strato di sabbia, un tempo conobbe l’azione dell’aratro e dell’agricoltore. I ricercatori hanno inoltre scoperto un enorme bacino idrico al di sotto della superficie inaridita del deserto, la cui origine potrebbe essere stata unicamente la forte piovosità del periodo antecedente al momento in cui una rovente devastazione consumò la rigogliosa vegetazione dell’area.

Il 25 dicembre 2007 uno scienziato francese ha confermato che gli scavi presso l’area di Khamis Bani Sa’ad, distretto di Tehema, provincia di Hodeidah dell’attuale Yemen, hanno portato alla luce oltre un migliaio di rari reperti archeologici risalenti al 300.000 a.C. Prima che intervenisse un drastico cambiamento climatico, gli abitanti di quell’epoca erano stati pescatori e avevano addomesticato una serie di animali non più presenti nella regione, fra cui una razza equina attualmente reperibile solo in Asia Centrale.
Nei pressi del Lago di Lob Nor, nel Deserto del Gobi, i Cinesi hanno condotto test nucleari che hanno lasciato estesi appezzamenti dell’area ricoperti di sabbia vetrosa. Nondimeno il Deserto del Gobi presenta numerose altre aree di sabbia vetrosa, note da migliaia d’anni.
Albion W. Hart, uno dei primi ingegneri a conseguire la laurea presso il Massachusetts Institute of Technology, fu assegnato a un progetto nell’entroterra africano. Mentre egli e i suoi uomini si stavano dirigendo verso una regione quasi inaccessibile, inizialmente dovettero attraversare una vasta distesa desertica. All’epoca Hart rimase sconcertato e del tutto incapace di spiegare un’estesa area di vetro verdastro che ricopriva le sabbie a perdita d’occhio.

“In un’epoca successiva della sua vita – scrisse Margarethe Casson su Rocks and Minerals (n. 396, 1972) – egli passò vicino all’area di White Sands (Nevada), dopo la prima detonazione atomica realizzata in quel luogo, e riconobbe lo stesso tipo di fusione di silice osservata cinquant’anni prima nel deserto africano”.

Nel 1947, nella Valle dell’Eufrate dell’Iraq meridionale, secondo alcune tradizioni collocazione del Giardino dell’Eden nonché luogo in cui gli antichi abitanti della Mesopotamia meridionale [Sumeri] incontrarono il dio–uomo Ea, scavi esplorativi portarono alla luce uno strato di vetro verde fuso. Gli archeologi non poterono non notare la somiglianza fra il vetro fuso risalente a migliaia di anni fa e il suolo desertico di White Sands, New Mexico, dopo che le prime detonazioni nucleari dei tempi moderni avevano fuso roccia e sabbia.
Il Deserto del Mojave presenta ampie aree di forma circolare o poligonale che sono rivestite di una coriacea sostanza assai simile al vetro opaco.

 

Strutture vetrificate, ruderi bruciati

Nel 1850, mentre esplorava la Death Valley, William Walker dichiarò di essersi imbattuto nei ruderi di un’antica città. Le pietre di un’estremità del grande edificio all’interno delle macerie erano rimaste fuse e vetrificate. Walker si spinse ad affermare che l’intera regione compresa fra i fiumi Gila e St. John è punteggiata di rovine. In ciascuno degli antichi insediamenti egli trovò riscontri del fatto che questi erano stati completamente bruciati da un fuoco abbastanza intenso da aver liquefatto la roccia. Blocchi per pavimentazione e pietre delle abitazioni erano state spaccate da enormi fessure, come cauterizzate da una sorta di gigantesca mannaia di fuoco.
Forse ancor più che le estese aree di vetro verde fuso, mi incuriosiscono i riscontri di città e forti vetrificati, come quelli scoperti da Walker.

In Scozia, Irlanda e Inghilterra esistono alture fortificate preistoriche le cui murature in pietra sono rimaste calcinate a causa di un immenso calore applicato. Non vi è modo per cui un fulmine possa aver determinato esiti di tal genere.
Altre alture fortificate, dalle Isole Lofoten a nord della Norvegia sino alle Canarie a nord–ovest dell’Africa, sono diventate “fortificazioni fuse”. Efich A. von Fange ha notato che i

“massi tondeggianti accatastati delle mura circolari sono stati tramutati in vetro… da un intenso calore”.

Çatal–Hüyúk, nella Turchia centro–settentrionale, ritenuta una delle più antiche città del mondo, in base a riscontri archeologici sembra che abbia raggiunto una fase di civiltà pienamente sviluppata e quindi, all’improvviso, si sia estinta. Gli archeologi sono rimasti sbalorditi nel trovare spessi strati di laterizio bruciato in corrispondenza di uno dei livelli, denominato VI a. I blocchi erano stati fusi assieme da un calore talmente intenso che gli effetti avevano raggiunto la profondità di oltre un metro al di sotto dei pavimenti, dove il tremendo calore aveva carbonizzato la terra, gli scheletri dei morti nonché i doni funebri inumati con essi, bloccando al contempo qualsiasi decomposizione batterica.


Una ricostruzione possibile di Çatal–Hüyúk, in Anatolia


Quando si effettuarono scavi sulla ziggurat di Babilonia, questa si presentava come se fosse stata colpita da un terribile fuoco che l’aveva incrinata sino alle fondamenta. In altre parti dei ruderi, ampie sezioni di muratura in mattoni erano state arse sino ad assumere uno stato vetrificato. Svariati cumuli di laterizio erano stati completamente ridotti allo stato fuso. Persino i grandi massi tondeggianti trovati nei pressi delle rovine erano stati vetrificati.
Presso il sito noto come Alalakh o Atchana, Siria settentrionale, i palazzi reali erano stati arsi così in profondità che la parte più interna delle spesse mura era piena di mattoni crudi di colore rosso vivo in fase di sgretolamento. L’intonaco delle pareti di calce e fango era stato vetrificato e in alcune zone le lastre delle mura in basalto si erano di fatto fuse.
In India, fra il fiume Gange e le colline di Rajmahal, si trovano rovine bruciate contenenti consistenti ammassi di pietre fuse e incavate. Alcuni viaggiatori che si sono avventurati sino al cuore delle foreste indiane hanno riferito di ruderi di città le cui mura, a causa di qualche intenso calore, sono diventate enormi lastre di cristallo.
Le rovine delle Sette Città, situate nei pressi dell’equatore, nella provincia di Piauí, in Brasile, sembrano la scena di un mostruoso caos. Dato che non è stata ancora elaborata alcuna spiegazione geologica tale da risultare appropriata sotto il profilo dei riscontri archeologici, alcuni di coloro che hanno svolto ricerche sul sito hanno affermato che il modo in cui le pietre sono state essiccate, distrutte e fuse evoca immagini di Sodoma e Gomorra.

Alcuni ricercatori francesi hanno scoperto le prove di una reazione nucleare spontanea in epoca preistorica presso la miniera di Oldo a Pierrelatte, in Gabon. Gli scienziati hanno rilevato che il minerale grezzo della miniera in questione conteneva percentuali insolitamente basse di U–235, come si trovano soltanto nell’uranio impoverito del combustibile prelevato dai reattori nucleari. Secondo coloro che hanno esaminato la miniera, il minerale grezzo conteneva anche quattro elementi rari in forme simili a quelle presenti nell’uranio impoverito.
Anche se il mondo moderno non ha sperimentato l’energia atomica prima degli anni Quaranta del secolo scorso, esiste una sorprendente mole di riscontri in base ai quali in tempi preistorici potrebbero essersi verificati degli effetti nucleari, che hanno lasciato dietro di sé sabbia fusa sino a diventare vetro in alcune aree desertiche, alture fortificate con parti della muratura in pietra vetrificate, nonché i ruderi di antiche città distrutte da quello che sembra essere stato un estremo calore – di gran lunga più intenso di quello che poteva essere generato dalle torce degli eserciti dell’antichità.
In ciascun caso, gli archeologi esperti e preparati che si sono imbattuti in tali anomale scoperte hanno sottolineato il fatto che nessuna di queste catastrofi era stata provocata da eruzioni vulcaniche, fulmini, impatti di comete o conflagrazioni predisposte da esseri umani.

 

L’autore

Brad Steiger, nato nel 1936 a Fort Dodge, Iowa, dal 1956 scrive su tematiche di varia natura, fra cui ambiti fenomenici e paranormali, misteri preistorici, spiritualità e UFO; attualmente ha all’attivo oltre 2.000 articoli e 165 libri (alcuni scritti in collaborazione con la moglie Sherry Hansen Steiger).
Brad Steiger è apparso in vari programmi radiofonici e televisivi, è stato intervistato per numerosi articoli per la carta stampata, ha curato la sceneggiatura di lungometraggi e scritto biografie, nonché opere di ispirazione e di narrativa. La serie televisiva Could It Be A Miracle? ha visto la partecipazione di Brad e Sherry in 22 episodi.
Il libro di Brad Worlds Before Our Own (che per l’edizione del 2007 include la sua nuova prefazione), il suo più recente Shadow World, True Encounters with Beings from the Darkside (2007) e altri titoli fra cui Conspiracies and Secret Societies: The Complete Dossier (2006; scritto in collaborazione con Sherry Hansen Steiger) e Real Ghosts, Restless Spirits, and Haunted Places (2003) sono disponibili presso Amazon.com.

Per ulteriori informazioni o per contattare l’autore, fare riferimento al sito web http://www.bradandsherry.com 

©2007
Fonte in lingua originale: The Canadian, 31 dicembre 2007, http://tinyurl.com/yw8d34


Articolo pubblicato su NEXUS New Times n.76, Ottobre – Novembre 2008



 

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