di Jacopo Castellini
Se ormai da tempo, con l'accrescere del fenomeno migratorio sostenuto dalle istituzioni UE e dalla maggioranza dei governi europei, si parla di 'grande sostituzione', contestualmente un'altra grande sostituzione potrebbe avvenire nella nostra società: quella degli esseri umani con i robot. Per il momento questa prospettiva, che per molti (ma non per i nostri lettori più fidati) suonerà come fantascientifica, riguarderà l'occupazione lavorativa, che allo stato attuale è indispensabile per la sopravvivenza della maggioranza di noi.
Infatti, diversi sono gli studi che negli ultimi mesi hanno segnalato una prospettiva di possibile disoccupazione di massa per gli esseri umani, che già nei prossimi anni comincerebbero ad essere sostituiti dall'automazione e dalla robotizzazione. Tra questi, una previsione presentata al Forum Economico Mondiale dalla International Data Corporation (IDC), società a cui le aziende che si occupano di tecnologia informatica commissionano analisi e previsioni per programmare i propri investimenti. Secondo lo studio, pubblicato il 6 dicembre 2016 e segnalato da Bernard Marr su Forbes del 27 Aprile, entro il 2020 cinque milioni di posti di lavoro potrebbero scomparire, robotizzati, in quindici nazioni sviluppate; in percentuali, secondo l'Oxford Martin School, si tratta del 47% di posti di lavoro nel mondo, calcolati nella prospettiva temporale dei prossimi vent'anni. Numeri che porterebbero anche alla chiusura di molte aziende: negli USA, il 40% di quelle attualmente nella Fortune 500, la classifica delle 500 migliori società statunitensi misurate sulla base del loro fatturato dalla rivista Fortune.
Cifre analoghe provengono dal McKinsey Global Institute, che stima nel 49% delle attuali attività lavorative svolte da esseri umani quelle che saranno automatizzate nel mondo nei prossimi vent'anni, pari ad un miliardo e 100 milioni di posti di lavoro. Sempre secondo l'Istituto, il 60% dei posti di lavoro attuali, inoltre, sono già sostituibili con robot, computer e sistemi di automazione per il 30% delle loro attuali funzioni, con la previsione di una automazione futura anche di un ulteriore 5% delle funzioni (in base alla tecnologia attualmente esistente). Ricerche analoghe condotte in Russia pronosticano la futura robotizzazione del 45% delle professioni intellettuali e del 75% dei lavori fisici svolti dall'uomo, secondo Elena Larina, docente dell'Accademia russa dei Sistemi Informativi.
Nonostante le previsioni sembrino non escludere nessuna delle professioni oggi svolte, per alcune la sostituzione con i robot sembra più facile e più veloce. Nella lista dell'IDC, compaiono in primis gli autotrasportatori, di cui un terzo nei prossimi anni sarebbe facilmente sostituito dai mezzi di trasporto senza pilota, al cui sviluppo si stanno già dedicando numerose aziende, e i tassisti, che dovranno vedersela con i servizi di car sharing notificabili su cellulare, come la piattaforma Uber. Tocca poi agli operai, che sia nei cantieri sia negli impianti di produzione sembrano destinati a venir meno dinanzi all'autorganizzazione 'intelligente' delle catene di montaggio e dei sistemi robotizzati di autocostruzione; condizione che, nel settore edile, vedrà coinvolti muratori, manovratori di gru, di ruspe e di bulldozer, con un impiego al minimo di esseri umani. Ma non solo le professioni manuali, come visto nelle statistiche russe, saranno toccate dall'“invasione dei robot”. Toccherà infatti, secondo l'IDC, anche al 39% del personale giuridico, al personale medico (già ora sono in fase di sperimentazione interventi chirurgici condotti da robot), del settore contabile, del giornalismo (una conseguenza anche della proliferazione del copia-incolla dalle agenzie di stampa, pratica espansasi con l'utilizzo del web), e venditori (sostituiti dalla proliferazione del commercio on line).
Se fermare lo sviluppo dell'intelligenza artificiale e la sua applicazione all'economia sembra impresa ardua, e forse per alcuni svantaggiosa, come evitare che milioni di persone nel mondo possano ritrovarsi senza un impiego? Una domanda a cui si stanno cercando delle risposte, a maggior ragione se si considera che proprio l'adesione alla rivoluzione informatica era stata presentata negli anni Novanta come fautrice di nuovi posti di lavoro e di sviluppo economico.
Sull'International Business Times (edizione italiana) del 25 Aprile 2017, Marta Panicucci descrive una serie di misure che sono già state proposte per arginare la robotizzazione di (quasi) tutte le professioni umane: porre dei limiti all'utilizzo dei robot nelle aziende, ad esempio vietandolo per le mansioni sicure che gli esseri umani possono svolgere da soli, o addirittura inserire delle 'quote umane' nelle fabbriche, ovvero un minimo di esseri umani che debbano essere impiegati nelle mansioni lavorative. Sembra fantascienza? Un'altra proposta proviene da uno dei protagonisti della rivoluzione informatica, Bill Gates, che suggerisce l'istituzione di una “tassa sui robot” per evitarne la proliferazione, mentre il sito Quartz, citato dalla Panicucci, propone addirittura un trattato di non proliferazione della robotica simile a quanto sottoscritto da alcuni Paesi per le armi nucleari. La proposta di Gates nasce dallo scetticismo del padre di Microsoft per il reddito di cittadinanza universale, misura che secondo molti altri magnati della Silicon Valley, tra cui Elon Musk, risulterebbe l'unico strumento per evitare che la privazione del lavoro in una società robotizzata comporti anche una privazione del reddito per gli esseri umani, garantendone così il diritto alla vita. Sarà questa la soluzione finale all'invasione dei robot?
Nel frattempo, mentre la robotizzazione avanzerà, la società umana sarà chiamata ad affrontarne le prime importanti conseguenze. Il mondo del lavoro come lo conosciamo oggi si trasformerà gradualmente, finendo di esistere. Se misure a sostegno del reddito o di arginamento dell'automazione non saranno prese in considerazione sin da subito, enormi masse di persone senza lavoro potrebbero iniziare ad emigrare verso aree del mondo non ancora “invase” dai robot.
“I processi migratori attuali verranno travolti e invertiti nel loro contrario”
secondo Giulietto Chiesa , che in un articolo dal titolo Robotizzazione e immigrazione. Tutti i nostri calcoli erano sbagliati, pubblicato sull'edizione italiana di Sputnik il 15 Aprile, molte attività per sopravvivere dovranno inizialmente trasferirsi da Occidente verso Asia, Africa ed America Latina. Nel frattempo, solo nel 2015 seimila aziende statunitensi che avevano trasferito all'estero la loro produzione hanno deciso di ritornare negli USA, dove il costo dell'automazione è decisamente inferiore a quello della manodopera, a basso costo, dei mercati in via di sviluppo. I quali, secondo Chiesa, quando toccati dalla robotizzazione globale subiranno però le conseguenze di questa trasformazione in modo maggiore che in Occidente, per il loro già attuale tasso di minore occupazione. Ma il giornalista italiano, come si evince dal titolo della sua riflessione, sottolinea un altro elemento importante: rispetto ai numeri previsti fino a qualche anno fa, in Europa ci “eravamo sbagliati” non solo sulle conseguenze dello sviluppo tecnologico, ma anche sui numeri dell'immigrazione. Nelle condizioni attuali, con l'avanzare dell'automazione anche il principale movente dell'immigrazione di massa, ovvero la ricerca di occupazione, viene meno, e l'Europa avrà presto a che fare con almeno venti milioni di immigrati, di cui si era previsto l'utilizzo in attività lavorative non svolte dagli europei, ma che nei prossimi anni saranno estinte, sostituite con robot e sistemi di automazione molto più economici ed efficienti. I primi segnali in questa direzione provengono già dal Regno Unito che, come segnalava il Financial Times del 4 Luglio 2016, in un articolo a firma di Delphine Strauss, potrebbe già da ora sostituire i lavoratori immigrati con i robot:
“ciò di cui il Regno Unito ha necessità sono più robot”
secondo Adam Corlett, analista del think-thank Resolution Foundation, che invita a guardare all'esempio della California, dove da tempo l'industria del pomodori ha preferito l'automazione alla manodopera messicana a basso costo. Quale destino allora per masse enormi di immigrati, disoccupati, in Europa? E per gli europei, sempre più minoranza nei loro rispettivi paesi?
Mentre i governi europei attuano politiche di trasferimento massivo di 'migranti' provenienti principalmente dall'Africa e prefigurano l'adozione di nuove norme sulle cittadinanza (ius soli) che facilitino per loro l'accesso ai servizi sociali e l'acquisizione di diritti politici, con minore visibilità sorgono anche progetti che offrono aiuto agli immigrati che sono stanziati nel Vecchio Continente da anni per remigrare in patria, a fronte della mancanza di prospettive che le società europee sembrano offrire anche a loro. E contestualmente, molti sono anche gli europei che, non riconoscendo più la propria patria, decidono di cercarne un'altra altrove, spesso in contrasto con le politiche di accoglienza migratoria dei loro governi. A segnalare questi nuovi casi di migrazione sono l'agenzia russa Sputnik (edizione italiana) del 16 marzo scorso e il giornale francese Le Monde, che raccontano le storie dei primi “migranti” europei che si starebbero trasferendo da Ovest ad Est (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Russia), in cerca di un'identità che nei loro paesi di origine percepiscono come perduta.
Notizie, tutte queste, che in chi scrive fanno sorgere una domanda: in una prospettiva sempre più globalizzante, fatta di robotizzazione e di immigrazione, quale spazio resta per l'essere umano?
[Immagini nell'articolo: 1) fotogramma dal film Automata (Spagna, Bulgaria, 2014); 2) "Naomi Campbell Transumana", immagine di Seb Janiak (fonte)]