Dopo un lungo silenzio, l’oro ritorna all’attenzione mediatica. “Cassato” il covid (ma non il covidismo), nei media è un rullo di tamburi di guerra. Tra gli annunci roboanti dei politicanti, della serie “armiamoci e partite”, c’è qualche spiraglio di realtà: con lo scoppio dell’inflazione nella zona euro, persino la televisione generalista, nella fattispecie di “Mattino Cinque”, ha parlato del valore dell’oro come argine contro la svalutazione della moneta emessa dalla Bce.
E per i più arriva come un fulmine a ciel sereno l’annuncio della Russia che fissa un prezzo ufficiale di 5000 rubli per un grammo d’oro, lasciando sgomenti in particolare coloro i quali si erano fatti convincere che, nel “paradiso” globalista digitalizzato, il metallo sarebbe solo una “barbara reliquia”, come disse Keynes nel 1924.
Ma in realtà basta aver seguito gli sviluppi dentro lo stesso mondo delle banche centrali poste sotto la “cupola” della Banca Internazionale dei Regolamenti, fondata a Basilea nel 1930 e dotata di una propria riserva aurea. Per le norme decretate dalla Bir, tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, l’oro è rientrato ufficialmente a far parte degli asset di prima categoria nel sistema bancario “occidentale”. Ma già prima le potenze “democratiche” disprezzavano l’oro così tanto da portarsi via quello dell’Iraq, della Libia e, nel 2014, quello dell’Ucraina, per “metterlo in salvo”.
È ormai conclamata la fine del dollaro come valuta di riserva internazionale; sta sprofondando nell’iperinflazione, trascinando con sé anche l’euro, che ha basi ben più fragili. Il colpo di grazia al sistema dollaro-euro è arrivato non dall’esterno, ma dagli stessi “padroni dell’universo” della finanza, che hanno creduto bene di aprire un nuovo fronte nella loro guerra contro la Russia, già in atto da anni: il fronte delle sanzioni monetarie. L’immediata risposta russa di legare la propria moneta all’oro indica verosimilmente che tale opzione era già in programma; come già esisteva da tempo l’impalcatura euroasiatica per la cooperazione economica tra Russia, Cina e India che prevede l’uso, appunto, del rublo, dello yuan e della rupia. Vedremo nel breve e nel medio termine gli esiti di questa politica.
Per ora facciamo un piccolo viaggio a ritroso sulla “pista dell’oro”. Da anni le oligarchie “occidentali” accumulano i metalli preziosi, o con la forza, o con la manipolazione dei prezzi tramite l’uso di derivati sulle piazze di New York e di Londra. Ma nei giganti dell’Euroasia, l’oro viene prodotto e scambiato da secoli se non da millenni, come spiega Joseph P. Farrell in Babylon’s Banksters e Financial Vipers of Venice.
In tempi più recenti, sul sistema finanziario “occidentale” aleggia una nuvola scura, tra il detto e il non detto: quella dell’oro e di altri tesori racimolati nei paesi occupati dai nazisti e soprattutto dai giapponesi. Nel caso dell’oro nazista, il caso è stato “chiuso” almeno a livello formale da alcuni risarcimenti, da parte di alcune banche svizzere, agli eredi dei perseguitati. Ma restano ancora dubbi. Completamente diverso il caso dei tesori saccheggiati dai giapponesi in tutta l’Asia con l’Operazione “Giglio d’Oro” e in particolare in Cina, un vero e proprio “buco nero” dal punto di vista storico. Il velo è stato parzialmente sollevato nel libro Gold Warriors, America’s Secret Recovery of Yamashita’s Gold, di Sterling e Peggy Seagrave (nuova edizione, Verso, Londra 2005); l’opera spiega, con dovizia di particolari, la tormentata vicenda del saccheggio dei tesori nei territori occupati da parte di reparti sotto il controllo diretto dell’imperatore Hirohito, e il recupero, da soggetti del Deep State americano, di una parte di tali tesori dai nascondigli sotterranei nelle Filippine.
Altri tasselli vengono tracciati, sempre da Farrell, in altre sue opere come ad es. Covert Wars and Breakaway Civilizations (Adventures Unlimited Press, Kempton 2013); egli riporta alla luce la vicenda di alcuni trasferimenti di oro cinese negli Stati Uniti dalle zone controllate da Chiang Kai-Shek, assediato prima dai giapponesi e poi dai maoisti; ciò in cambio di buoni al portatore, ma a quanto pare, nessun detentore di tali certificati è riuscito ad avere indietro il proprio oro. D’altra parte, i nazionalisti di Chiang sarebbero riusciti a portare almeno una parte dei tesori cinesi nel Taiwan nel 1949. Da allora è in atto un lungo contenzioso in cui Pechino rivendica il controllo di Taiwan, tra fasi alterne caratterizzate da provocazioni militari, negoziati e aperture commerciali.
Passiamo alla fondazione dello Shanghai Gold Exchange nel 2002, con cui la Cina mirava a diventare il centro asiatico per lo scambio del metallo giallo, e per favorire l’aumento delle riserve nazionali nonché la detenzione di preziosi da parte dei privati. Si potrebbero avere tanti dubbi sulla buona fede delle aperture in questo campo, decretate dal partito comunista cinese, ma la crescita di Shanghai come hub commerciale andava a pari passo con la politica a guida statunitense di “mettere in salvo” l’oro dei paesi oggetti del “regime change”… una politica che ricorda non poco quella dell’Asse negli anni Quaranta.
In quanto agli sviluppi più recenti rispetto al ruolo dell’oro in ambito commerciale, l’analista Jim Willie (sito web golden-jackass.com) ha segnalato da qualche anno l’inserimento dell’oro come elemento di garanzia nei contratti internazionali cinesi, in un graduale processo di “dedollarizzazione” visto con favore da una vasta schiera di paesi, asiatici e non.
Possiamo ipotizzare che, su questa base preesistente, i nuovi accordi per la vendita di idrocarburi russi alla Cina abbiano avuto gioco facile ad inserirsi, in relazione al varo del “rublo-oro”. Se, almeno per ora, la valorizzazione dell’oro ad un importo fisso in rubli riguardi formalmente solo gli scambi interni alla Russia, si allarga inevitabilmente il ruolo internazionale dell’oro in un ambito non più controllato dal consorzio delle banche centrali “occidentali” guidato dalla Bir.
Si prospetta quindi una fase in cui i tanti, troppi segreti intorno ai numerosi saccheggi di beni compiuti ai danni dei popoli negli ultimi cent’anni verranno finalmente alla luce? In ogni caso, non ci dovremo sorprendere per la presenza sempre crescente dell’oro nei notiziari rispetto ai prossimi avvenimenti geopolitici.