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    SCIENZA ASSASINA: UN CASO STORICO di Paolo Cortesi

    Ecco di che si trattò.

    Barton Bernstein, docente di storia della Stanford University, durante
    le ricerche sulla storia della bomba atomica condotte presso gli archivi
    della Library of Congress da poco resi pubblici, aveva scoperto una
    lettera di Oppenheimer a Fermi, datata 25 maggio 1943, nella quale si
    discuteva la possibilità di contaminare con radiazioni il cibo
    destinato ai nemici (a quel tempo erano tedeschi, italiani e giapponesi).

    Dalla lettera si deduce che il piano venne ideato e proposto da Enrico
    Fermi, e Oppenheimer – dopo avere esaminato i problemi tecnici che ne
    ostacolavano la realizzazione – suggeriva di rinviare l’operazione e
    così concludeva:

    "Raccomanderei di ritardare, se possibile. In questo contesto,
    penso che non dovremmo tentare l’attuazione del piano a meno che non
    siamo in grado di contaminare cibo sufficiente a uccidere mezzo milione
    di persone" (testuale: In this connection I think that we should
    not attempt a plan unless we can poison food sufficient to kill half
    a million men)

    Lo stronzio 90 era l’elemento che avevano pensato di impiegare per lo
    sterminio, in quanto lo stronzio appears to offer the highest promises
    (: appare offrire le migliori promesse); ottenuto come sottoprodotto
    della fissione nucleare, lo stronzio 90 era economico e, somministrandolo
    alle popolazioni nemiche, si risolveva anche il problema di dove sistemare
    le scorie radioattive: era la classica situazione in cui si prendevano
    due piccioni con una fava.

    La reazione più frequente che si ebbe in Italia a questa drammatica
    rivelazione storica fu emblematica: in prima battuta, si mise in dubbio
    la veridicità della lettera.

    Quindi si trovò una giustificazione per Fermi adducendo le esigenze
    di guerra, il terrore causato dal nazismo, la voglia di porre fine ad
    un tremendo conflitto anche con mezzi a dir poco drastici.

    Significativo il titolo, ad esempio, di un articolo di Salvo d’Agostino:
    "Quella lettera forse è scandalismo".

    Ammettiamo pure che i quotidiani mercanteggino anche lo scandalismo
    (in fondo, è così che si vendono meglio….), ma perché
    la prima reazione è stata di copertura?

    Enrico Fermi è da tempo entrato nell’Olimpo dei Grandi Italiani,
    e lo venerano anche coloro che non hanno letto una sillaba dei suoi
    lavori e non comprendono una sua mezza formula.

    Fermi è ormai un santino: la sua fronte spaziosa, gli occhietti
    allegri e penetranti, il suo sorriso bonario sono ormai fissati nell’inconscio
    popolare come certe figurine stereotipe, Babbo Natale o Robin Hood.

    Per questo, fa paura, anzi suscita vero raccapriccio scoprire che la
    mente di questo omino mite e simpatico ideò, elaborò,
    propose un piano per sterminare milioni di nemici: intere popolazioni,
    e non solo soldati in guerra, perché un sacco di farina contaminata
    con stronzio 90 non è destinato solo e sempre alla caserma, ma
    può esserlo anche ai mercati, agli ospedali, agli orfanotrofi,
    agli ospizi…

    Fermi, i cui altissimi meriti scientifici sono fuori discussione, fu
    uno dei massimi artefici del Progetto Manhattan, che si concluse con
    la detonazione di due ordigni atomici che uccisero all’istante decine
    di migliaia di cittadini giapponesi.

    La scoperta che Fermi avesse anche cercato di realizzare una sorta di
    "sterminio alimentare" fa accapponare la pelle, e sfregia
    l’iconografia ormai consolidata del geniale scienziato che festeggia
    parcamente, con un fiasco di Chianti, la scoperta della fissione dell’atomo.

    Ma, a parte la mitologia da rotocalco, tutto questo non stupisce; può
    creare orrore, ma non sorpresa.

    Perché Fermi è stato uno dei grandi padri della tecnocrazia
    del XX secolo, la quale ha scisso decisamente la pratica dalla morale:
    poter fare una cosa (mostruosa quanto una bomba H, la clonazione umana,
    le manipolazioni genetiche, le bombe batteriologiche ecc.ecc.) è
    già di per sé un risultato positivo, quindi accettabile.

    Ogni moratoria, ogni sospensione del giudizio, ogni limitazione morale
    sono immediatamente rifiutate come oscurantismo; ma troppo spesso questa
    vantata libertà di ricerca non è che l’alibi per multinazionali
    voraci, per ricercatori mercenari e senza coscienza.

    Ogni istanza morale, semmai, sarà lasciata (e forse con un pochino
    di sufficienza) ai professori di etica, agli scrittori, magari ad un
    attore, agli ospiti di qualche talk show. E, ovviamente, non avrà
    alcun effetto reale.

    Troppo presto abbiamo dimenticato che la scienza della seconda metà
    del XX secolo – madre della nostra sedicente civiltà – è
    nata per opera di una levatrice chiamata Seconda Guerra Mondiale.

    Non dobbiamo dimenticare mai che le vantate conquiste della tecnologia
    sono state, quasi tutte, prima segreti militari: dal radar al viaggio
    sulla luna, dalla penicillina alla energia atomica.

    Convinto della sua onnipotenza sulla terra, il tecnocrate ritiene di
    poter intervenire su realtà infinitamente più grandi di
    lui; questo ha terribili conseguenze sul senso morale di queste persone,
    che non si ritengono più uomini come gli altri, ma uomini che
    valgono più di ogni altro.

    La tracotanza era la più grave colpa nel mondo della Grecia classica;
    oggi è diventata l’atteggiamento usuale dei tecnocrati.

    La follia arriva al punto di voler decidere come dare la morte a milioni
    di proprio simili con mezzi rapidi, efficaci, poco costosi.

    In questo caso Fermi, dunque, è la metafora della tecnocrazia.

    Fermi è il nome (ma potrebbe essere stato quello di cento altri…)
    di un uomo che in un tiepido e luminoso giorno di primavera del 1943,
    si mise alla scrivania e abbozzò su un foglio di carta alcune
    modalità per togliere la vita e centinaia di migliaia di esseri
    umani.

    E quell’uomo, quella stessa notte, riuscì a dormire d’un sonno
    profondo.



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