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    Stati Uniti implicati nei furti pianificati delle antichita’ irachene di Ann Talbot


    Se il Museo di Baghdad fosse stato messo a sacco da abitanti dei
    quartieri poveri ci sarebbe già stato abbastanza crimine, e la
    responsabilità sarebbe rimasta sulle spalle dell’Amministrazione USA,
    che si è rifiutata, nonostante ripetuti appelli, di provvedere alla
    sicurezza degli edifici culturali di Baghdad.

    Tuttavia, non appena il personale del Museo è stato in grado di
    comunicare con l’esterno, è risultato chiaro che il saccheggio non era
    casuale. Era opera di persone che sapevano cosa cercare e che erano
    venute con le attrezzature speciali adatte a svolgere il lavoro.

    Il Dr. Donny George del Museo di Baghdad ha detto: "Credo che
    fossero persone che sapevano quello che volevano. Hanno lasciato dov’era
    la copia dell’Obelisco Nero di Salmanassar, passando oltre. Questo
    significa che dovevano essere specialisti. Non hanno toccato le
    copie."

    Parlando a Channel Four, ha detto al Dr.John Curtis del British Museum
    che tra i pezzi rubati c’è anche il vaso sacro di Warka, un vaso d’oro
    di 5000 anni fa trovato a Ur, una statua accadica ed una assira. Il Dr.
    Curtis ha ribattuto dicendo che "è come rubare la Monna
    Lisa".

    Solo dopo una settimana dal saccheggio il Dr.George è stato in grado di
    allertare gli archeologi di tutto il mondo su ciò che era stato rubato.
    Le autorità militari americane non hanno fatto alcun tentativo per
    impedire che gli oggetti lasciassero Baghdad, né hanno promosso una
    indagine internazionale per i reperti rubati.

    La riluttanza statunitense ad agire non può essere spiegata dalla
    mancanza di avvertimento. Archeologi professionisti e storici dell’arte
    avevano già detto in anticipo al Pentagono del pericolo di saccheggio.
    Il Dr.Irving Finkel del B.M. ha dichiarato a Channel 4 che il saccheggio
    era "assolutamente prevedibile e avrebbe potuto essere facilmente
    fermato".

    Il museo è stato la vittima di un assalto pianificato con cura. I ladri
    che hanno preso i materiali più preziosi sono arrivati equipaggiati di
    attrezzature per sollevare gli oggetti più pesanti, che il personale
    stesso del museo non avrebbe potuto rimuovere dalle sale, e avevano le
    chiavi delle camere blindate dove erano sistemati gli oggetti più
    preziosi. Un crimine del genere non veniva commesso dai tempi della
    sistematica spoliazione nazista dei musei d’Europa.

    La rivista online statunitense Business Week ripete la tesi della
    premeditazione e della cospirazione nel sacco dei musei iracheni in un
    articolo del 17/4 intitolato "Erano già pronti i ladri d’antichità?",
    con sottotitolo "Sapevano ciò che cercavano perché i mercanti
    d’arte avevano ordinato i pezzi più importanti in anticipo".

    Il B.W. scrive: "E’ stato come se gli esecutori stessero aspettando
    la caduta di Baghdad per muoversi. G.J.Stein professore d’archeologia
    all’Università di Chicago, che ha condotto scavi in Iraq per 80 anni,
    è convinto che i mercanti avevano ordinato i pezzi in anticipo.
    "Stavano cercando esemplari molto specifici, sapevano dove
    guardare".

    Fin dalla precedente Guerra del Golfo nel 1991 gli antichi reperti iracheni
    sono giunti sul mercato dai musei che furono saccheggiati allora e dai
    siti archeologici spianati con i bulldozer. In questi siti le statue
    sono state tagliate in pezzi per poter essere esportate.

    Questa razzia dell’eredità culturale irachena ha stimolato l’appetito
    dei collezionisti, che sono già responsabili del saccheggio di siti in
    Estremo Oriente, America Latina, Italia. Con la recessione dei mercati
    globali, le opere d’arte e le antichità sono considerate sempre più un
    sicuro investimento, andando ad alimentare un già vasto mercato
    sotterraneo.

    Il commercio illegale di antichità è altrettanto lucrativo del
    traffico di droga, a cui è peraltro sovente legato. Secondo il rapporto
    del 2001 dal titolo "Il commercio illecito di antichità: la
    distruzione del patrimonio archeologico mondiale", Londra e NewYork
    sono i principali mercati di questo commercio. La Svizzera, che consente
    l’ottenimento di un titolo legale ad ogni opera d’arte che rimanga sul
    territorio del paese per almeno 5 anni, è un punto di transito
    cruciale.

    Il Prof.Lord Renfrew of Kaimsthorn, direttore dell’istituto archeologico
    di Cambridge, ha dichiarato in una conferenza stampa di promozione del
    suddetto rapporto che "il commercio continua perché il governo è
    alla mercè del mercato dell’arte, che vuol mantenere ininterrotto il
    flusso di reperti. E’ uno scandalo."

    All’arrivo delle notizie sull’ultimo saccheggio, il governo laburista di
    Blair ha organizzato una conferenza stampa nel British Museum, in cui il
    Segretario agli Affari Culturali ha promesso sostegno ufficiale alla
    protezione dei reperti iracheni.

    Intanto, mentre parlava, la Biblioteca Nazionale irachena veniva
    saccheggiata. L’edificio, sede di rarissime copie del Corano vecchie di
    secoli ed altri esempi di calligrafia islamica, così come
    insostituibili documenti storici dell’epoca ottomana, è stato dato alle
    fiamme e un numero indicibile di testi è stato distrutto.

    Il giornalista Robert Fisk, che vide le fiamme, corse dai marines USA
    nel tentativo di salvare parte della collezione, ma loro si rifiutarono
    di aiutare. Fisk ha scritto sull’Independent: "ho dato la mappa del
    posto, il nome preciso in arabo e in inglese, ho detto che si vedeva il
    fumo da cinque km di distanza e ci sarebbero voluti solo 5 minuti per
    arrivare là. Mezz’ora dopo non c’era neppure un americano sul posto e
    le fiamme erano alte 70 metri."

    Dopo il destino del museo di Baghdad, si può concludere che il
    saccheggio e rogo della biblioteca è servito a mascherare un crimine più
    sistematico, in cui selezionati manoscritti sono stati rubati per ricchi
    collezionisti. In questo quadro si spiega la connivenza nel rogo dei
    libri – un’altra pratica nazista.

    IL RUOLO DELL’ACCP


    Dopo questi due devastanti attacchi alla
    cultura, l’attenzione si è focalizzata sulle attività dell’ACCP
    (American Council for Cultural Policy). Anche la stampa inglese, che
    lavora sotto alcune delle più dure leggi antidiffamazione del mondo, ha
    riportato che l’ACCP può aver influenzato la linea del governo USA
    sugli oggetti d’arte iracheni.

    L’ACCP è stato costituito nel 2001 da un gruppo di ricchi collezionisti
    d’arte, per far pressione contro la Legge statunitense di
    Regolamentazione della Proprietà Culturale, che tenta di mettere regole
    al mercato dell’arte, fermando il flusso di beni rubati verso gli Stati
    Uniti. L’ACCP ha difeso in giudizio il mercante d’arte F.Schultz,
    accusato in forza della Legge sulla Proprietà Nazionale rubata, e la
    medesima associazione si oppone all’uso in giudizio della sentenza del
    1977 "U.S. contro McClain" come precedente legale nei casi
    riguardanti il possesso e il trasferimento di oggetti d’arte rubati.

    Nel caso McClain un giudice statunitense diede responso favorevole al
    fatto che tutta l’arte e i monili precolombiani portati negli USA senza
    l’espresso consenso del Governo messicano fossero proprietà rubata. La
    legge messicana considera tutti i reperti archeologici come proprietà
    dello Stato e ne vieta l’esportazione. Il Messico è solo uno di molti
    paesi che hanno questo tipo di legislazione.

    Ashton Hawkins, uno dei maggiori avvocati d’arte e fondatore dell’ACCP,
    considera questo tipo di legislazione "protezionista". Ha
    condannato i paesi "fonte" archeologicamente ricchi per il
    tentativo di proteggere con tali misure i loro musei e siti
    archeologici, lamentando che sotto l’amministrazione Clinton tali
    politiche protezioniste sono arrivate a dare impronta alla politica del
    governo USA.

    Hawkins ha gli occhi puntati ai grandi musei mediorientali. Ha auspicato
    che le antichità egiziane conservate al Museo del Cairo siano disperse:
    "Vorrei proporre" ha detto "che il Museo del Cairo
    offrisse l’opportunità ai musei di tutto il mondo di acquisire fino a
    50 oggetti ciascuno per le loro collezioni. In cambio i musei esteri
    darebbero un cospicuo contributo per la costruzione del nuovo museo
    sulla piana di Giza, un milione di dollari ciascuno per esempio."

    Il meeting inaugurale dell’ACCP ha avuto luogo nella casa sulla 5°Strada
    di Guido Goldman, un collezionista di tessili uzbeki. Tra i presenti
    c’era Arthur Houghton, l’ex curatore del Museo Getty di Malibu in
    California, che è notoriamente un espositore di opere di dubbia
    provenienza. Hawkins stesso è andato in pensione nel 2000 come
    vicepresidente del consiglio d’amministrazione del Metropolitan Museum
    of Art di New York, museo che -secondo il suo precedente direttore
    Thomas Hoving- conserva molti manufatti saccheggiati da tombe etrusche.

    Prima che la guerra cominciasse, l’ACCP ebbe un incontro con funzionari
    del Pentagono, in cui hanno dichiarato la loro grande preoccupazione per
    le antichità irachene. Cosa questa preoccupazione significhi è
    evidente dalle osservazioni di William Pearlstein, il tesoriere del
    gruppo, che descrive le leggi irachene sul patrimonio archeologico come
    "protezioniste". L’ACCP nega di volere un cambiamento nelle
    leggi irachene, ma i saccheggi del museo e della biblioteca di Baghdad
    avranno come effetto concreto di aggirare questo problema, se la Legge
    statunitense sul furto d’oggetti d’arte e materiale archeologico verrà
    modificata.

    Il Prof.John Merryman della Scuola Giuridica di Stanford e membro dell’ACCP,
    ha auspicato una "applicazione internazionale selettiva dei
    controlli sull’esportazione" nei tribunali statunitensi. In altre
    parole, sarebbe perfettamente legittimo importare oggetti trafugati a
    Baghdad se il tribunale USA sceglie di non riconoscere la legislazione
    irachena.

    Merryman ha stabilito i principi dell’organizzazione in un testo del
    1998, in cui sosteneva che il fatto che un oggetto artistico fosse stato
    rubato non era in sé stesso un impedimento all’importazione legale
    negli Stati Uniti.

    E va anche oltre nella sua rivendicazione: "L’esistenza di un
    mercato preserva gli oggetti d’arte, che potrebbero altrimenti essere
    distrutti o trascurati, fornendo loro un valore di mercato. Nel quadro
    di un commercio legittimo e aperto, gli oggetti possono spostarsi verso
    le persone e le istituzioni che li valutano di più, e che perciòstesso
    sono più adatti a prendersene cura".

    Questa è un’argomentazione autogiustificativa che puzza molto di
    ipocrisia. I ricchi collezionisti possono ora additare il caos per le
    strade di Baghdad, il saccheggio del museo e il rogo della biblioteca
    come prova che gli Iracheni sono incapaci o non interessati a prendersi
    cura dei loro tesori, troppo poveri o troppo ignoranti, quindi i
    suddetti tesori sarebbero meglio protetti nei musei Americani o nelle
    collezioni private.

    Le idee dell’ACCP rappresentano gli interessi di settori particolarmente
    rapaci della classe dirigente USA, che operano sul principio che tutto
    -persino oggetti di incalcolabile valore artistico o scientifico- è
    definito dal "valore di mercato".

    Loro intendono il prezzo, dato che il vero valore degli oggetti
    trafugati dal Museo di Baghdad e dalla Biblioteca Nazionale Irachena è
    incalcolabile. Questi sono letteralmente gente che capisce IL PREZZO DI
    TUTTO E IL VALORE DI NIENTE.

    L’auspicio che il mercato determini il possesso e l’accesso alle opere
    d’arte e ai reperti archeologici metterebbe questi oggetti nelle mani di
    una facoltosa minoranza, e renderebbe la possibilità di pubblico
    accesso dipendente dalla buona volontà dei ricchi possessori.
    Nonostante il fatto che molti membri dell’ACCP abbiano fatto parte di
    istituzioni pubbliche, il loro intento è profondamente contrario alla
    pubblica diffusione dell’arte e dell’archeologia. Stanno tentando non
    solo di cambiare le leggi degli altri paesi, ma lavorano contro le
    tradizioni più progressiste della società americana, che hanno sempre
    premiato i musei pubblici.

    UNA TRADIZIONE SCIENTIFICA


    Lo sviluppo dei musei pubblici è avvenuto
    di pari passo con lo sviluppo di una comprensione scientifica dei
    manufatti archeologici e delle società che li hanno prodotti. I musei a
    finanziamento pubblico hanno rappresentato una rottura con la vecchia
    tradizione di tesaurizzazione privata. Le esposizioni avevano lo scopo
    di mostrare gli oggetti del passato in modo scientifico e razionale.

    L’accumulo di reperti archeologici in mani private tende a disgregare il
    lavoro scientifico, dato che il materiale si disperde ed è perciò
    difficile da catalogare, senza contare che molto di esso rimane
    sconosciuto agli studiosi del campo specifico. I musei pubblici sono
    tali non solo per il loro finanziamento e per il fatto che aprano le
    sale ai visitatori, ma soprattutto nel senso che rendono disponibile a
    tutti la conoscenza, cioè qualcosa che è riconosciuto come requisito
    primario del processo scientifico, fin dalla rivoluzione scientifica del
    17° secolo.

    Uno degli effetti del saccheggio del museo di Baghdad è stata la
    distruzione del catalogo cartaceo del museo e dei relativi dati digitali
    sul patrimonio conservato nelle sale del museo. Questo ha reso non solo
    più difficile il tracciamento degli oggetti, ma ha anche minato alla
    base intere generazioni di paziente lavoro archeologico. Distruggere un
    simile catalogo significa rendere privata una collezione, sia in senso
    simbolico che concreto, dato che il suo contenuto diventa sconosciuto al
    mondo esterno.

    Mentre gli oggetti più importanti sono ben conosciuti a livello
    internazionale, i dati contenuti in un museo vanno molto oltre queste
    spettacolari opere d’arte. Includono tutti i ritrovamenti minori degli
    scavi archeologici, che in sé stessi non sono appariscenti, ma se
    studiati tutti insieme producono l’immagine di una società che non
    potrebbe essere ottenuta altrimenti solo dalle opere d’arte.

    Gli archeologi passano il loro tempo a passare al setaccio i detriti
    delle civiltà passate, anche in senso letterale. Possono setacciare
    tonnellate di terra cercando ali di scarabeo o semi. Antiche latrine e
    mucchi di rifiuti producono ricchezza conoscitiva. Ciò che viene
    gettato o scartato fornisce il contesto dei reperti di grandi templi,
    palazzi e tombe reali.

    Un recente libro sulla Mesopotamia di Petr Charvat contiene immagini di
    pezzi d’argilla con impronte di stuoie di giunco intrecciate. Questa non
    è roba che può abbellire la teca di un collezionista, ma rivela
    importanti informazioni sulle capacità artigiane e il modo di vita
    degli antichi abitanti della Mesopotamia.

    UN DURO COLPO ALLA COMUNITA’ SCIENTIFICA
    MONDIALE


    Il Museo di Baghdad era più di un semplice
    luogo d’esposizione di manufatti. Tutti gli scavi portati avanti in Iraq
    da squadre internazionali di archeologi vi erano riportati. Il museo
    possedeva un database di conoscenza accessibile a tutti i ricercatori
    del mondo, ed era il centro di una vasta rete cooperativa. Il saccheggio
    e la distruzione di tutti i dati sono un colpo per la comunità
    internazionale degli studiosi. Questo minaccia di riportare indietro
    l’orologio a più di 150 anni prima dell’inizio dell’archeologia
    scientifica in Mesopotamia.

    I primi scavi non furono "scientifici" per gli standards
    attuali, gli scavatori stavano ancora imparando la propria disciplina
    attraverso un processo per prove ed errori. Una delle lezioni più
    elementari di questo processo d’apprendimento fu che IL CONTESTO è
    tutto in archeologia. Un manufatto può raccontare la sua intera storia
    solo se è conosciuto il contesto in cui è stato ritrovato.

    Per contesto si intende la posizione fisica dell’oggetto nel terreno, la
    sua relazione con altri manufatti, e gli strati di terreno intorno. Da
    questa informazione è possibile determinare la datazione relativa di un
    oggetto e considerevoli altre informazioni sul suo uso pratico e sul
    significato sociale. Strappato dal suo contesto, perde molto del suo
    significato. Persino la più bella opera d’arte può essere meglio
    apprezzata quando il suo contesto e le condizioni sociali del suo
    creatore sono conosciute.

    In senso lato, la comprensione del contesto di un oggetto significa
    comprendere le sue relazioni con l’intero sito in cui è stato trovato,
    con altri siti vicini, e con l’ambiente storico di cui fa parte. Mentre
    i sentimenti nazionalistici vengono spesso evocati per giustificare il
    mantenimento dei reperti nel loro paese d’origine, la ragione
    scientifica più importante per farlo è che il contesto del manufatto
    viene preservato proprio mantenendolo vicino a dove è stato ritrovato.

    E’ ancora possibile vedere nell’Iraq attuale case costruite con metodi
    simili a quelli usati dagli antichi costruttori, e vedere barche
    costruite con modelli simili. Il vero significato dei reperti
    mesopotamici può essere apprezzato solo guardandoli nel contesto dello
    straordinario paesaggio dell’Iraq moderno, un paese dove ogni collina
    che si alza sulla pianura è stata originata da strati e strati
    successivi di mattoni di fango che testimoniano intere generazioni di
    occupazione del sito.

    L’amministratore coloniale americano, il generale in pensione Jay Garner,
    ha tentato di cooptare l’impatto emotivo del paesaggio per i suoi scopi
    politici, tenendo i suoi meeting sotto una grande tenda eretta presso la
    ziggurat di Ur vecchia di 4000 anni, che serviva da piattaforma del
    tempio del dio lunare Nanna. Ma permettendo il saccheggio del museo di
    Baghdad, le autorità statunitensi hanno mostrato chiaramente di non
    avere alcun riguardo per la vera importanza dell’Iraq nella storia
    umana.

    Quando i cartografi medievali europei disegnarono nel 13° secolo la
    mappa del mondo, misero l’Asia in testa perché per loro era il
    continente più importante. C’erano le terre della Bibbia. Gerusalemme
    era al centro della loro visione del mondo, e poco oltre si stendeva
    Babilonia, il luogo della prigionia ebraica, la Torre di Babele e la
    casa di Abramo nella città di Ur.

    Nella mente degli europei l’immagine biblica del mondo era così
    scolpita che i primi scavatori di antichi siti in questa regione
    cercarono una conferma della Bibbia. Persino nel 20° secolo Leonard
    Woolley si riferiva ai suoi scavi a Warka con il nome biblico di Ur dei
    Caldei.

    Eppure il materiale che venne fuori dagli scavi scosse la visione
    biblica del mondo. Una importante scoperta fu che la storia narrata
    nella Bibbia di Noè e del Diluvio ebbe origine in Mesopotamia molto
    prima che la Bibbia venisse scritta. Quando la scrittura cuneiforme di
    migliaia di tavolette d’argilla fu decifrata, ci si rese conto che molte
    civiltà complesse ed avanzate erano esistite in Mesopotamia, e di una
    antichità mai immaginata prima.

    Il vero quadro della storia apparve chiaro solo con la messa a punto
    delle tecniche di datazione al carbonio14. Nella seconda metà del 20°
    secolo ci si rese conto che l’agricoltura stanziale in Medioriente
    risaliva a 11 millenni prima di Cristo.

    LA CULLA DELLA CIVILTA’


    [..] (N.d.T.:ho omesso le note storiche per
    non allungare troppo la lettura)

    In quel periodo in Iraq lo sviluppo delle tecniche di irrigazione aumentò
    di molto la produttività agricola, il surplus della quale a sua volta
    favorì l’emergere della prima civiltà urbana del pianeta, proprio in
    quella terra che oggi le forze militari congiunte di USA e Gran Bretagna
    stanno riducendo a un deserto. [..] Grazie alla produttività di questo
    sistema di irrigazione in Mesopotamia si sono succedute molte civiltà.
    Persino i Greci erano in soggezione davanti alle conquiste intellettuali
    della Mesopotamia.

    Uno dei ministeri che sono stati sistematicamente distrutti nei recenti
    giorni di razzia, è stato il Ministero dell’Irrigazione. Potremmo dire
    che con questo atto l’amministrazione USA vuole ricondurre l’Iraq ai
    secoli bui, tranne il fatto che l’Iraq non ha mai conosciuto secoli bui
    (nel senso in cui l’Europa li ha conosciuti). Gli imperi potevano
    succedersi, nascere e cadere, ma finché il sistema di irrigazione
    continuava a funzionare la terra tra i due fiumi poteva produrre più
    cibo di quanto ne abbisognasse. Attaccando il sistema di irrigazione,
    l’amministrazione USA ha causato più danno in poche settimane di quanto
    abbia fatto ogni altro invasore nella storia.

    Il significato culturale dell’Iraq non terminò con la caduta
    dell’impero persiano. Attraverso le epoche buie dell’Europa, rimase un
    porto sicuro di cultura, preservando -sotto i Califfi Abbasidi- i testi
    classici ormai persi in Occidente. L’erudizione e il valore scientifico
    islamico si rivelò vitale per il riemergere della filosofia
    aristotelica in Europa e per il Rinascimento.

    La misura reale delle perdite si rivelerà pienamente quando verrà
    fatto il conto degli esemplari alla Biblioteca Nazionale.

    Ciò che è già chiaro fin da ora invece è che un enorme crimine è
    stato commesso, non solo contro il popolo iracheno, ma contro L’UMANITA’
    INTERA, dato che la storia dell’umanità è stata attaccata. Per questa
    ragione il sacco di Baghdad segna un punto significativo della
    traiettoria dell’amministrazione Bush nel suo tentativo di sprofondare
    il pianeta nella nuova barbarie, che cancellerebbe tutto ciò che la
    storia ci mostra del passato



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