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    STELLE, STRISCE E SPINE NEL FIANCO di Massimo Fini

    pericolo "catastrofico" per l’Occidente, non
    c’è traccia.


    In Italia, benché il nostro Paese abbia aderito alla guerra proprio
    sulla base di quella minaccia, rivelatasi inesistente, la cosa non
    sembra creare alcun imbarazzo al governo nè suscitare interesse nei
    media.


    Negli Stati Uniti è diverso. Il Congresso rumoreggia e qualche giorno
    fa il New York Times, che spero nessuno vorrà annoverare fra i giornali
    comunisti, ha concluso un lungo articolo affermando che «l’assenza di
    un arsenale non convenzionale iracheno è il peggior scandalo della
    storia politica americana». Perché per gli americani la cosa è così
    grave? Perché significa che George W. Bush ha mentito al Paese,
    inventandosi la storia delle «armi di distruzione di massa» per
    convincere l’opinione pubblica della necessità della guerra. E negli
    Stati Uniti, Paese criticabile per molti aspetti ma che ha alcune regole
    precise, inderogabili, la menzogna non è ammessa, è considerata un
    atto gravissimo perché rompe il rapporto di fiducia. E lo stesso
    avviene in Gran Bretagna dove, secondo un recente sondaggio, più di un
    terzo degli inglesi non ha più fiducia in Tony Blair perché, come Bush,
    ha mentito su una questione così determinante.


    A scuotere l’opinione pubblica anglosassone c’è probabilmente anche il
    fatto che la spedizione in Iraq si sta rivelando, come quella in
    Afghanistan, fallimentare. Quelli che erano stati presentati
    trionfalmente come "i liberatori" sono costretti a mostrarsi,
    ogni giorno che passa, per ciò che realmente sono e che nessun
    esercizio linguistico può cambiare: degli occupanti e degli oppressori.
    Se qualcuno, all’inizio, aveva forse cullato qualche illusione adesso se
    l’è tolta. In Iraq gli americani li odiano tutti. Non solo, com’è
    ovvio, i seguaci di Saddam Hussein, i baathisti, che rappresentano
    comunque un terzo del Paese, ma anche gli sciiti che essendo la
    stragrande maggioranza aspirano legittimamente a una Repubblica islamica
    e sanno che ciò non sarà possibile, nemmeno col voto; perché per gli
    occidentali – Algeria insegna – le elezioni sono valide solo se
    risultano a loro favore. E soprattutto li odia la popolazione per le
    continue stragi in cui van di mezzo i civili. In Iraq la gente dice: «gli
    americani sparano a casaccio». E il risentimento non fa che aumentare.


    In Afghanistan le cose non vanno meglio. Se la situazione è
    apparentemente più tranquilla è solo perché il governo del "Quisling"
    Karzai e le truppe di occupazione si accontentano di controllare, e a
    malapena, Kabul e qualche altra città, mentre in tutto il resto del
    Paese il potere è tornato nelle mani dei capi tribali. Se i nostri
    alpini , acquartierati nelle vicinanze del villaggio di Khost, non sono
    stati finora toccati è perché, secondo nostre antiche abitudini, hanno
    stretto accordi sottobanco con i capi locali: costoro li lasciano in
    pace e in cambio noi non controlliamo nulla.


    Ma nonostante in Iraq e in Afghanistan gli Stati Uniti camminino sulle
    uova, George "dabliù" Bush non demorde nel suo programma di
    egemonia planetaria. Il prossimo obbiettivo, con tutta evidenza, è
    l’Iran. Sono cominciate nei confronti di Teheran le solite accuse di
    volersi munire di armi nucleari (perché poi l’Iran o qualsiasi altro
    Paese della regione non dovrebbe avere ciò che Israele ha è una cosa
    che, prima o poi, ci dovranno pure spiegare) e le consuete richieste di
    ispezioni. Nel contempo l’America, attraverso una nutrita serie di tv
    satellitari che trasmettono da Los Angeles, soffia sul fuoco del
    malcontento di parte degli studenti iraniani (che poi non sono che i
    rappresentanti di quella borghesia, assolutamente minoritaria nel Paese,
    circa un 2\%, che era al potere con lo Scià), sperando di provocare una
    guerra civile in Persia. La sinistra italiana, con un pavloviano
    riflesso sessantottesco e giovanilista, sostiene la protesta degli
    studenti. E, ottusa e rigida com’è sempre stata, non si accorge di fare
    con ciò il gioco degli odiati yankee.



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