Perché la società
occidentale liberistica è fondata sulla violenza? Perché essa si regge
e si autoconserva con la violenza? Perché essa non solo tollera ma
giustifica la violenza?
Forse non sarebbe necessario, ma per maggiore chiarezza voglio dire che
la violenza di cui parlo non è solo la fucilata o lo stupro, ma ogni
forma di violenza: morale, psicologica, economica. Credo che l’operaio
da 900 euro al mese percepisca come violenza
le migliaia di oggetti e servizi che la pubblicità gli sbatte in faccia
e che non potrà mai acquistare.
E ancora: perché c’è tanta morte nella società occidentale
liberistica?
Perché l’industria uccide la gente e il pianeta? Perché gli
interessi economici cancellano intere foreste in pochi mesi? Perché il
guadagno di poche persone deve costare sulla qualità della vita di
tutti e delle generazioni future? Perché
il simbolo di questo perverso sistema è una petroliera che vomita dal
suo ventre di acciaio tonnellate di petrolio grumoso in mare? Perché,
insomma, la nostra organizzazione sociale è così evidentemente, così
atrocemente ingiusta e feroce?
E’ una domanda che mi ha inseguito da anni, che mi ha incalzato, e che
talvolta ha avuto gli occhi perplessi dei miei figli quando, davanti ad
un telegiornale, mi chiedono cosa sta accadendo…
Credo che la macroscopica atrocità dell’attuale sistema sia dovuta al
fatto che esso nacque e si affermò
quando il livello morale delle classi dominanti europee era molto basso,
quasi primitivo, e legato a concetti quali la violenza ed il sopruso che
oggi sono inaccettabili ma che all’epoca erano praticamente normali,
anzi ovvi.
Voglio dire: oggi nessun paese civile tollera la tortura come
strumento di indagine; eppure, fino al XVIII secolo, era una pratica
tranquillamente ammessa da ogni tribunale.
Oppure pensate alla caccia alle streghe, o alla medicina medievale, o
alla cosmologia dei babilonesi: tutte realtà culturali legate ad un
livello evolutivo molto arcaico e che oggi nessuno si sognerebbe neppure
di riproporre.
Ma se in medicina ed astronomia le cose sono molto cambiate, non lo sono
abbastanza per l’economia e per la società che, nel XXI secolo dopo
Cristo, continuano ad essere rami di un albero troppo antico.
La attuale tecnocrazia è la diretta discendente della rivoluzione
industriale, di cui conserva ancora i tratti essenziali: lo sfruttamento
della manodopera (che ora si impiega di preferenza in paesi in via di
sviluppo perché là costa pochissimo), l’arricchimento illimitato dei
ricchi, la devastazione del pianeta.
Anche se ci trastulliamo con cellulari sofisticati e videogames
fantascientifici, i nostri televisori al plasma ci sputano nelle nostre
case le immagini di un mondo depredato e sfregiato dalla voracità dei
nuovi barbari.
E l’attuale modello di società umana – senza distinzione di
latitudine o ideologie – è un feudalesimo in versione Duemila: pochi
onnipotenti decidono della esistenza di miliardi di formiche umane
brulicanti. La sola differenza col Medioevo sta nelle forme: allora
bastava un araldo e un bargello con la scure a fare tremare il popolino;
oggi i padroni del mondo usano strumenti più raffinati e impalpabili per occultare il loro disegno di potere totale e
per farcelo apparire la più bella delle democrazie.
Ma torniamo alla storia. Forse abbiamo dimenticato che la rivoluzione
tecnologica iniziò ad opera di personaggi che chiamare faccendieri
sarebbe un complimento; il più furbo (e divenne anche il più ricco) di
costoro fu William Boulton (1728-1809) che commercializzò le invenzioni
di Watt e accumulò una quantità iperbolica di denaro: il capitale di
Boulton toccò le 150.000 sterline in un epoca in cui lo stipendio annuo
di un operaio specializzato non superava le 50 sterline.
Ma come divenne tanto ricco questo signore?
E’ ovvio che nessun essere umano può fare tanto in una sola vita per
meritare una mole così ingente di denaro; dunque il signor Boulton
arricchì sulla pelle degli altri.
Sfruttò Watt, in un rapporto poco chiaro e poco sano di sudditanza
psicologica; militarizzò la sua azienda, costringendo gli operai a fare
la guardia armata contro i ladri; corruppe rappresentanti al parlamento
per ottenere delle concessioni esclusive che non avrebbe dovuto avere;
truffò un inventore (William Murdock) che poteva essere un temibile
concorrente.
Questo campionario di disonestà è l’antologia del pensiero
vetero-capitalista: una spietata legge della giungla che giustifica e
premia ogni canagliata purché raggiunga lo scopo di fare soldi.
Ma non dimentichiamo che queste infamie avvenivano quando i borghesi e i
nobili affermavano la naturale disparità fra gli uomini; quando il
lavoro in fabbrica, in miniera o in bottega durava tredici, sedici ore
al giorno; quando il povero doveva restare tale tutta la sua miserabile
vita perché così aveva decretato l’ineffabile volere divino; quando
il concetto stesso di giustizia sociale era un’eresia o, peggio, una
istigazione alla rivolta.
Su questo humus di violenza e prevaricazione è nato e si è alimentato il
mondo occidentale e noi ne paghiamo ancora oggi le conseguenze.
Nel XVIII secolo idee quali capitalismo senza freni e senza regole,
liberismo assoluto, proprietà privata ad oltranza, spirito
imprenditoriale che sconfina nella spregiudicatezza erano il bagaglio
morale e culturale della borghesia; oggi sono un orrore intollerabile
alla nostra coscienza.
La tecnologia ha perfezionato la macchina a vapore, ma la mentalità da
rapina che ne è alla base è rimasta inalterata, dal Settecento ad
oggi: questo è il male del nostro tempo.
La società ha cambiato aspetto esteriore; si dice che si sono attutite
le distanze tra classi; si dice che le condizioni di vita generali sono
cambiate, ma non è cambiato il modello arcaico, addirittura
preilluminista, di una società fondata e retta da diseguaglianze e
soprusi.
Il mondo di oggi è ancora disegnato su uno schema troppo antico,
moralmente rudimentale, abbrutito, insopportabile: la struttura sociale
che ci viene elogiata, e imposta, come la migliore possibile è ancora
legata alle strutture dei secoli passati. E se nel Trecento era naturale
credere che il sovrano fosse tale per diritto divino, ora è ripugnante
dover accettare le mostruose disparità sociali.
Il nostro mondo è stato costruito in un’epoca in cui la violenza era
diffusa e normale; questo mondo si è perpetuato perché chi ne gode i
vantaggi non vuole eliminare violenza e predominio sugli altri.
Prima di ogni aggiustamento del modello, anzi assieme con esso, sarà
necessario cambiare il modello ideale, morale e concettuale della vita
umana, individuale e collettiva.
Solo quando uomini come William Boulton ci appariranno come dei
pericolosi malati di mente, allora potremo sperare in un mondo migliore,
rimboccarci le maniche e costruirlo assieme, senza che personaggi
squallidi e malsani come Boulton possano metterci mano.