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Su “Kalergi. La prossima scomparsa degli europei”

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di Flavia Corso


Con questo articolo ho intenzione di rendere omaggio a Matteo Simonetti, professore di storia e filosofia e giornalista, al quale va il merito di aver dedicato un intero saggio al pensiero di Kalergi, troppo spesso ignorato oppure vittima di semplificazioni ed estremismo.
  Dopo Adiòs, Europa. El Plan Kalergi di Gerd Honsik, si tratta del secondo saggio in assoluto – e il fatto che l’autore sia italiano non può che infonderci una spinta patriottica in più – a prendere in considerazione una figura tanto ambigua, quanto determinante per il futuro dell’Europa, inserendola all’interno di un contesto filosofico e storico-sociale ben definito.
  Il motivo per cui la letteratura su questa importante tematica è scarsa, se non completamente assente, è semplice: l’opera fondamentale di Richard Coudenhove-Kalergi – Praktischer Idealismus – è pressoché introvabile in formato cartaceo, ma risulta disponibile solo in tedesco e in formato pdf. L’impossibilità di “andare alla fonte” del pensiero kalergiano ha incentivato posizioni radicali sia tra gli attivisti di destra, che tra quelli di sinistra. Da un lato, infatti, troviamo una strumentalizzazione impregnata di ideologia finalizzata a confermare tesi politiche già consolidate; dall’altro, una ridicolizzazione, banalizzazione e riduzione dell’intera questione a “complottismo” e “razzismo”, celando a malapena la mancanza totale di buonafede e senso critico. Questi fattori rendono ancora più encomiabile l’opera di Simonetti, il quale è riuscito a fornirci un’analisi storica e filosofica del cosiddetto “Piano Kalergi”, scevra da pregiudizi e superficialità.

  Nel suo Kalergi. La prossima scomparsa degli europei, Simonetti sottolinea come il titolo dell’opera di Kalergi, contenente l’accostamento di due termini apparentemente antitetici (“idealismo” e “pratico”), racchiuda in sé l’intero pensiero dell’autore. Di idealismo vero e proprio, in realtà, se ne trova ben poco nel pensiero di Kalergi:

Elevando a potenza il materialismo, operandone una sottolineatura, egli ne fa un’ideologia, e automaticamente esso diviene “ideale”, mentre invece nel migliore dei casi esso viene solamente idealizzato. Il materialismo diventa idealismo semplicemente sforzandosi idealisticamente di propagarne le convinzioni, credendo alla sua diffusione come ad una missione altruistica.

Più che una priorità assoluta del pensiero sulla materia, si può scorgere nella sua opera un’idealizzazione del materialismo, connessa all’adesione ad un ideale aristocratico.
  Su quest’ultimo punto, occorre rilevare come Kalergi sia, contrariamente a quello che molti potrebbero pensare, un fermo sostenitore dell’aristocrazia. È evidente che egli si opponga all’aristocrazia tradizionale, ma solamente poiché ritiene che questa debba essere sostituita da una nuova e autentica aristocrazia. Potrebbe sembrare strano che uno dei padri fondatori dell’Unione europea sia fortemente anti-democratico, ma la realtà che emerge dall’opera kalergiana è evidente: la democrazia politica non è una forma di governo desiderabile in sé, ma lo è solo in quanto mezzo per raggiungere fini ben precisi. La democrazia politica è uno strumento di cui si deve servire l’élite per formare una nuova aristocrazia, che rimpiazzi quella vecchia.
  Si assiste ad un insano miscuglio di socialismo – in nome dell’ideale materialista, l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte al denaro e alla ricchezza – e aristocrazia – le decisioni politiche vengono poste nelle mani di un’élite illuminata. Nel mondo ideale di Kalergi, il materialismo è a tal punto enfatizzato da volerne a tutti i costi una generalizzazione totale, di modo che tutti possano goderne i benefici. La possibilità di accedere alla ricchezza e ai beni materiali non può essere privilegio di pochi, ma deve essere invece universalizzata nel modo più assoluto ed è la tecnologia a dover costituire il mezzo essenziale per la realizzazione di questo “paradiso in terra”. Decisamente contro corrente rispetto al pensiero di alcuni critici della tecnica a lui contemporanei, quali Heidegger, Jonas e i membri della scuola di Francoforte, la concezione di Kalergi si avvicina pericolosamente all’utopia tecnologica di Ernst Bloch, ignorando o forse sottovalutando i pericoli intrinseci ad una spersonalizzante ed alienante “divinizzazione” della tecnica.
  All’idealizzazione del materialismo si accompagna, pertanto, un’esasperazione del mito prometeico, in cui la tecnologia assurge al ruolo di salvatrice dell’intera umanità, il tutto sotto la guida e il comando di un’aristocrazia illuminata e filantropa.
 Ma quale sarà la natura di questa élite illuminata? Chi saranno i nuovi aristocratici e governanti?

  Kalergi ritiene che nel nuovo nobile dovrà realizzarsi l’attuazione, contemporaneamente, delle caratteristiche dello Junker, archetipo dell’uomo di campagna (legato ad un sapere pratico, alla volontà e al carattere) e di quelle dell’intellettuale, archetipo dell’uomo di città (legato ad un sapere teorico, alla razionalità e allo spirito). Il carattere è rafforzato dalla consanguineità; viceversa, l’incrocio rafforza lo spirito.
  Qui, entra prepotentemente in campo il razzismo biologico di Kalergi:

L’endogamia rafforza il carattere, indebolisce lo spirito, viceversa l’incrocio indebolisce il carattere rinforzando lo spirito. Là dove la consanguineità e l’incrocio si incontrano sotto degli auspici favorevoli, essi creano il più alto tipo di essere umano, collegando al carattere più forte lo spirito più pungente […]

L’uomo del lontano futuro sarà un meticcio. Le razze e le caste di oggi saranno vittime del crescente superamento di spazio, tempo e pregiudizio. La razza del futuro, negroide-eurasiatica, simile in aspetto a quella dell’Egitto antico, rimpiazzerà la molteplicità dei popoli con una molteplicità di personalità […]

La consanguineità genera dei tipi caratteristici, l’incrocio, delle personalità originali.

Ecco dunque che giunge a delinearsi in modo chiaro il requisito fondamentale del “superuomo” kalergiano: la compresenza del “carattere più forte” e dello “spirito più pungente” che si traduce, paradossalmente, nella coesistenza di consanguineità ed incrocio.


[Sopra: "Tedesco tipico" – anteprima di una mostra che si terrà a Berlino il 2 dicembre 2017]

  I popoli europei scompariranno e al loro posto comparirà una massa informe di individui privi di una propria identità genetica, storica e culturale.

Nei meticci si uniscono spesso mancanza di carattere, assenza di scrupoli, debolezza di volontà, instabilità, mancanza di rispetto, infedeltà con obiettività, versatilità e agilità mentale, assenza di pregiudizi e ampiezza d’orizzonti.

La freddezza con cui Kalergi prospetta la fine di ogni identità nazionale al fine di realizzare il sogno perverso di un mondo popolato di cittadini geneticamente programmati alla sottomissione e all’obbedienza, in nome di una fantomatica pace perpetua, è disarmante.
  Non solo: la figura che incarna al meglio la sintesi di questo fondamentale dualismo è – e Kalergi lo afferma esplicitamente – quella dell’ebreo. In Praktischer Idealismus, si assiste ad un vero e proprio elogio dell’ebreo, sia per motivi storico-culturali che per motivi eugenetici.
  La futura classe aristocratica sarà dunque composta, secondo il piano Kalergi, da ebrei, poiché:

Ciò che separa principalmente gli ebrei dai cittadini medi è il fatto che siano degli individui consanguinei. La forza di carattere alleata all’acutezza spirituale predestina l’ebreo a divenire, attraverso i suoi esponenti di spicco, il leader dell’umanità urbana, un falso o vero [!] aristocratico dello spirito, un protagonista del capitalismo come della rivoluzione.

  Gli ebrei incarnano e sintetizzano alla perfezione le più importanti dualità ed è in virtù della loro propria natura che essi sono eletti a governanti filantropi dell’intera umanità. Inoltre, occorre evidenziare come la questione ebraica sia, innanzitutto, una questione metafisica. L’ebreo è estromesso dall’Essere, è privo di fondamento, di suolo e, di conseguenza, di identità. Egli è privo di quell’autenticità che solo chi affonda le proprie radici nella terra può far propria. Lo sradicamento dall’elemento naturale, perciò, va di pari passo con la tecnicizzazione e, anzi, ne è una causa diretta. Lo stesso ambiente urbano, del resto, altro non è che la fedele riproduzione dell’habitat originario dell’ebreo, il deserto.
  Alla base della concezione kalergiana non si può non scorgere una forte dose di paternalismo: l’élite illuminata ha il compito di “prendersi cura” dei suoi cittadini, stabilire ciò che è bene per loro e servirsi di qualsiasi strumento – anche la menzogna, e ne è un esempio la Gender Theory ideata dallo stesso Kalergi – per il raggiungimento del fine supremo imposto che, in questo caso, è il controllo globale mascherato abilmente da pace perpetua.
  Come afferma giustamente Simonetti,

Kalergi auspica, e lotta per la sua realizzazione, la nascita di un nuovo organismo superstatuale che scongiuri ogni possibilità di guerra tra i popoli europei semplicemente eliminando gli stessi. Quando un francese non si riconoscerà più da un tedesco, verrà meno ogni volontà bellica.

Per darne una definizione più appropriata, l’idealismo pratico di Kalergi altro non è che un’utopia paternalistica. È un’utopia, perché presuppone implicitamente che l’uomo debba ancora realizzarsi, ossia che debba ancora essere quello che dovrebbe essere; ed è paternalistica, poiché ciò che l’uomo dovrebbe essere viene deciso – e realizzato con qualsiasi mezzo – da una stretta cerchia di uomini.
  Si prospetta, dunque, una realtà in cui il concetto di “razza” viene totalmente abolito proprio in virtù di un rigidissimo razzismo biologico. Per assurdo, è proprio attraverso quest’ultimo che si approda al tanto osannato “mondo senza barriere”, da sempre obiettivo dell’ebraismo per motivi filosofici, storici e culturali.
  Il fine ultimo è la pace tra i popoli ma, come ho già accennato prima, si tratta di una mera finzione che mira a nascondere le reali intenzioni dell’élite. Se così non fosse, non si comprenderebbe per quale motivo la realizzazione futura di un paradiso in terra debba esserci occultato e imposto attraverso astuti stratagemmi. Se un mondo in cui non esistono confini, identità e culture nazionali è preferibile ad un mondo in cui questi valori vengono preservati, le classi dirigenti non dovrebbero far altro che proporre apertamente tali punti di vista ai propri cittadini. A quel punto saranno i popoli, democraticamente, a decidere il loro destino.
  Ciò non avviene perché il processo di livellamento globale è volutamente imposto. Nessun popolo accetterebbe di buon grado di sparire per sempre, nemmeno in nome della pace sulla terra. Ogni popolo desidera, da sempre, l’autodeterminazione e la preservazione della propria storia e cultura, del proprio credo e dei propri sistemi di riferimento.
  Se a ciò aggiungiamo il fatto che lo stesso popolo ebreo, pur essendo da sempre promotore dell’ideale cosmopolita, condanna apertamente il matrimonio misto di ebrei e gentili, un atteggiamento quantomeno sospettoso nei confronti di proposte universaliste da tale pulpito è doveroso.
  Troppo facile rispolverare l’etichetta di “complottista” ogni qualvolta se ne presenti l’occasione. Altrettanto facile è abbandonarsi ad insensate correnti di pensiero pseudo-religiose, senza passarle prima al vaglio della ragione. La crisi di valori a cui oggi assistiamo non deve indurci ad aggrapparci in modo forsennato alla prima visione del mondo preconfezionata ci capiti a tiro, ma non deve nemmeno portarci ad escludere a priori tutto ciò che non è in linea col pensiero unico, a patto che venga sempre mantenuto un forte senso critico.
  Ed è stato questo il grande merito di Matteo Simonetti.

D’altra parte, pensiamoci, il sapiente del mito della caverna platonico è il prototipo del complottista. Immaginiamoli, gli spettatori dello show delle ombre, irriderlo, schernirlo e poi adirarsi con lui: “ma guarda questo cosa si inventa! Ma ti pare possibile che questo non sia il mondo vero? E noi che saremmo, allora, tutti idioti?”. Il bruciore agli occhi degli ignari, il dolore inflitto loro dal dubbio che in essi si insinua, li inacidisce e li porta a rivolgersi ancora verso l’interno della caverna. “Ogni mattina mi godo la rassicurante ombra della lettura del giornale, ogni anno, più o meno, mi diverto con l’ombra delle elezioni democratiche, per non parlare poi di ogni martedì, quando ho l’ombra del calcetto, e del sabato sera, con le ombre della cena fuori e della discoteca. In quale baratro, in quale incertezza, ci getterebbe ascoltare questo invasato di complottista? Attacchiamogli questa etichetta in fronte e non ci si pensa più. Forza, tutti dentro la caverna, e serrate le fila!”.


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