Propulsione ET e velivoli ad alta frequenza
Progressi tecnologici nell’ambito di elettromagnetismo, dinamica del plasma e meccanica quantistica stanno spianando la strada a un mondo di “free energy” e allo sviluppo di un velivolo in grado di spostarsi attraverso l’onnicomprensivo etere lungo le frontiere dello spazio.
di J. J. Hurtak, PhD, PhD e Desiree Hurtak, PhD
© 2009
The Academy for Future Science
Post Office Box FE – Los Gatos, CA 95031, USA
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Sito web: www.futurescience.org
Molteplici metodologie di propulsione
Il rapido incremento, negli ultimi decenni, di avvistamenti di velivoli dalle forme atipiche nei cieli della Madre Terra indica una pletora di diversi e sorprendenti metodi di propulsione attinenti a velivoli extraterrestri (ET), fra cui il velivolo non-metallo-pesante ad “alta frequenza”.
Di recente sono stati avvistati grandi velivoli che si spostano a velocità elevata e capaci di produrre in cospicue quantità navi di minori dimensioni; li si potrebbe definire “navi nonne” (vedere il filmato ripreso in data 22 maggio 2009 nei dintorni di Città del Messico presso www.youtube.com/watch?v=I83v6MqRwcQ).
Ecco il quesito che si pone costantemente: “Qual è la loro fonte propulsiva e in che modo riescono a percorrere distanze talmente estese?”
Innanzitutto, sembra che i metodi propulsivi concernenti tutti i velivoli spaziali avvistati nei nostri cieli non si riducano a uno singolo. Da decenni osserviamo che nell’universo locale esistono numerose forme di vita intelligente che hanno travalicato i limiti della nostra “fisica classica” e a quanto pare sono in grado di viaggiare attraverso il tempo e lo spazio; di conseguenza, si dovrebbe ipotizzare che con tutta probabilità esistono molteplici metodologie di spostamento.
Nondimeno, prenderemo brevemente in esame vari sistemi energetici e altre possibili tecnologie di propulsione potenzialmente utilizzabili tanto da velivoli ET quanto da quelli che definiamo “velivoli ad alta frequenza”, ovvero quelli non limitati a un qualche sistema locale ma operanti attraverso numerosi spettri e regni dell’intelligenza. Quando comunque tali velivoli accedono a questo spazio-tempo, sotto il profilo pratico operano nel nostro mondo di materia. In The Book of Knowledge: The Keys of Enoch® (www.keysofenoch.org), il sottoscritto (Dr. J. J.) esamina l’impiego della rotazione da parte di ambedue i campi elettromagnetici e magnetoidrodinamici come una delle fonti fondamentali di propulsione dei velivoli in questione.
Movimento tramite impulso perpetuo
The Keys of Enoch ci dice che il movimento avviene “attraverso i mondi del nostro spazio fisico a opera di un impulso perpetuo che impiega poli magnetici ed elettromagnetici energizzati dalle radiazioni delle griglie di Stralim” [luce intensa] (Key 301:15). Il libro giunge ad affermare che i velivoli si spostano all’interno di un “campo energetico onnicomprensivo composto da molteplici domini magnetici, elettromagnetici e magnetoidrodinamici unificati in una ‘stasi di campo’ utilizzando molteplici denominazioni polari”. In altri termini, si tratta della descrizione del modo in cui i velivoli operano, avendo la capacità di procedere a una velocità superiore a quella della nostra comune luce mantenendo al contempo quello che alcuni ingegneri definirebbero l’uso di un “impulso perpetuo”.
Allora cos’è esattamente un “impulso perpetuo” che utilizzerebbe energia magnetica ed elettromagnetica? Anzitutto, esaminiamo brevemente la nozione di tecnologia a “impulso”. L’esempio più noto è il sistema ferroviario Maglev, ampiamente utilizzato in Giappone e Cina, il quale sfrutta un sistema di propulsione a impulso magnetico; è talmente efficiente che consente ai treni non solo elevate velocità ma anche di scalare pendenze superiori al 10 per cento! I magneti pulsati inducono correnti elettriche inverse nelle piastre di alluminio che costituiscono il binario. Le correnti indotte creano i propri campi magnetici opposti a quelli del treno. Tramite l’ausilio di sensori ottici, i campi pulsano in fase “on” proprio quando il magnete passa il punto mediano delle piastre e, per repulsione, sospingono il treno avanti. La tecnologia Maglev opera con questa elettricità pulsata per far procedere il treno, riducendo al minimo la quantità di potenza richiesta.
L’energia pulsata, di conseguenza, sembra produrre più forza per energia complessiva di quanto non accada con l’energia continua. Per tale motivo, la tecnologia a impulso viene elaborata anche per svariati impieghi in campo aeronautico nonché per confermare determinate teorie. Di recente la tecnologia a impulso nucleare è stata presa in considerazione nel contesto di Orion, nuovo programma di velivolo spaziale della NASA, laddove potrebbero rendersi necessari viaggi sulla lunga distanza per trasportare una nuova generazione di astronauti verso pianeti locali nell’arco del prossimo ventennio.
Più comune in ambito aeronautico è il propulsore a plasma pulsato (PPT), impiegato per la propulsione dei velivoli, dove un arco di corrente elettrica è in grado di produrre rapide e ripetibili raffiche di impulso. Questo determina una velocità elevata, molto più elevata rispetto alla velocità termica di motori chimici, e sfrutta la “accelerazione elettromagnetica” di propellente tramite la forza di Lorentz.
Il PPT fu utilizzato dai Sovietici agli albori del volo spaziale (ad esempio, Zond 2, lanciata nel 1964) e nei primi propulsori elettrici ad essere collocati nello spazio. Attualmente è ancora in uso presso il velivolo EO-1 del Goddard Space Flight Center della NASA (www.nasa.gov/centers/glenn/about/fs23grc.html).
Tecnologie “Free Energy” e “Over Unity”
La forza di Lorentz è una notoria forza creata dall’interazione fra un campo magnetico e una corrente elettrica. Di conseguenza, la tecnologia a impulso è utilizzabile con energia elettromagnetica la quale, nella considerazione di numerosi “scienziati della new energy” intenti a effettuare esperimenti per creare tecnologie “over-unity”, rappresenta la chiave non solo del viaggio extraterrestre ma anche delle tecnologie “free energy”. I cosiddetti dispositivi “over-unity” e “free energy” non creano energia ma, piuttosto, convertono l’energia esistente, potenziale o utilizzabile, la cui fonte resta ignota alla scienza odierna.
Secondo gli inventori Thomas Bearden (www.cheniere.org), Stephen Patrick et al., i quali hanno inoltrato domanda di brevetto statunitense per un “Generatore Elettromagnetico Immobile” (MEG) (Brevetto USA 6.362.718, concesso in data 26 marzo 2002), questa tecnologia rappresenta il giusto passo avanti verso tecnologie over-unity o free energy di tal genere (vedere www.byronwine.com/files/MEG.pdf).,
Nel compendio relativo, gli inventori sostengono che il loro prototipo di generatore elettromagnetico include un magnete permanente e un nucleo magnetico comprendenti primo e secondo percorso magnetico. Dispone di bobine di ingresso pulsate alternativamente per fornire impulsi di corrente indotta nelle bobine di uscita. Far passare corrente elettrica attraverso ciascuna delle bobine di ingresso riduce il livello di flusso magnetico proveniente dal magnete permanente entro il percorso del magnete attorno a cui è collocata la bobina di ingresso. Stando ai rapporti il MEG ha un coefficiente di rendimento superiore a uno, ovvero funzionamento over-unity.
Secondo il fisico britannico Duncan Barker, il MEG è simile a un trasformatore ed è costituito da un nucleo cavo con un magnete permanente nel mezzo. Bobine di azionamento su ambo i lati del magnete alternano il flusso avanti e indietro fra ciascun lato del nucleo. Bobine di raccolta su ciascun lato della bobina generano una tensione dal flusso magnetico mutevole, quindi si connette un carico all’uscita delle bobine di raccolta.
Il congegno sfrutta un effetto legato alla fase geometrica, molto conosciuto nell’ambito della meccanica quantistica e dell’elettrodinamica quantistica, ovvero l’effetto Aharonov-Bohm, scoperto nel 1959 da Yakir Aharonov, David Bohm et al. Tale effetto evidenzia la supremazia dei potenziali sui loro campi associati e dimostra che gli effetti di campo elettrico si possono creare dal potenziale del vettore magnetico A anche in assenza del campo magnetico B. Utilizzando un nucleo a elevata permeabilità, il MEG separa il potenziale A e il campo B attraverso il quale il campo magnetico, B, è contenuto unicamente all’interno del nucleo a elevata permeabilità. Questo lascia il potenziale del vettore, A, all’esterno del nucleo, a creare un campo elettrico che viene avvertito dagli elettroni nelle bobine di raccolta, creando corrente.
Direttive di misurazione over-unity
Anche se numerosi ricercatori e inventori si stanno dando da fare per conseguire queste condizioni over-unity, il nostro collega Patrick Bailey, PhD, laureato al MIT nonché ex direttore di progetto presso l’Electric Power Research Institute (EPRI), avverte l’osservatore non-scientifico di usare la massima prudenza, in quanto a suo dire non è poi così difficile realizzare una semplice dimostrazione impiegando l’attrezzatura sbagliata per esibire un congegno che crea “maggiore energia in uscita rispetto a quella in entrata”. Negli ultimi 25 anni il Dr. Bailey, assieme a uno degli autori (Dr. J. J.), ha esaminato e documentato oltre 150 tecnologie di sistemi di energia di cui si rivendicava un rendimento “over-unity” o nuovi processi a “energia pulita”.
A seguito di accurate indagini, il Dr. Bailey afferma che si deve impiegare un oscilloscopio digitale ad alta frequenza per determinare le reali tensione, corrente, potenza ed energia misurate in congegni di tal genere; sottolinea che in molti casi le persone misurano potenza erogata DC pulsata ad alta frequenza o forme d’onda di corrente a pulsazione rapida, e quando effettuano tali misurazioni ricorrendo a misuratori AC a suo tempo calibrati per un’onda sinusoidale 0.707 RMS (valore quadratico medio) è possibile che desumano risultati assai imprecisi. Di conseguenza, una tecnologia di test basata su semplici misuratori AC (come un vecchio VTVM, ovvero voltmetro a valvola) non fornisce a chicchessia una misurazione accurata di quanto sta realmente accadendo. In realtà, con la semplice configurazione di resistore, condensatore e induttore, un tale congegno spesso indica una falsa misurazione over-unity in quanto il metodo di misurazione in questione trascura l’angolo di fase della forma d’onda corrente-tensione. Un’accurata misurazione comporta che tensione versus tempo venga archiviata in digitale (utilizzando molti punti per ciclo) e che corrente versus tempo segua una procedura analoga, dopodiché la potenza dovrebbe essere calcolata in digitale punto per punto. Quindi è possibile derivare la media di potenza di ingresso e potenza di uscita ricavandola dai dati relativi a qualsiasi ciclo di interesse. Questo fornirebbe il vero rapporto di potenza ingresso-uscita. (Vedere http://www.padrak.com/ine/DANGERSPOWER.html)
Congegni a energia elettromagnetica
Esistono comunque numerose riuscite tecnologie in fase di avanzamento; gli autori hanno personalmente osservato l’invenzione realizzata da Kohei Minato a Tokyo, Giappone. Minato è titolare di bue brevetti statunitensi, uno dei quali concerne un “Magnetic Rotation Apparatus” (US Patent 4,751,486, Class 335/272, rilasciato il 14 giugno 1998). Il dispositivo di Minato assomiglia a una ruota e ha un albero rotante provvisto di numerosi magneti collocati a una certa distanza attorno a esso, alcuni angolati e altri no. Minato li angola lungo la direzione di rotazione in modo che lo stesso tipo di polo magnetico sia rivolto verso l’esterno e ciascuno dei magneti permanenti sia disposto in modo obliquo rispetto alla linea di direzione radiale del rotore.
Anche se Minato non si propone di rivendicare un qualche genere di “free energy”, sembra in grado di riuscire a convertire energia da una fonte ignota e quindi misurare più energia in uscita rispetto a quella in entrata. Secondo i rapporti, le misurazioni hanno indicato che il motore elettromagnetico di Minato ha un rapporto uscita-ingresso pari a 4.3:1, dove si generano 500 watt di potenza con soli 34 watt in ingresso. In altri test, i rapporti hanno evidenziato 300 watt in uscita con 16 watt in ingresso (per ulteriori commenti, vedere http://keelynet.com/gravity/curtis.htm).
Abbiamo osservato che poiché Minato impiega elettromagneti, per caricarli necessita di un ridotto quantitativo di elettricità e, una volta in funzione, la “disposizione magnetica” fornisce energia sufficiente a far girare la ruota, producendo energia nella propria rotazione e inoltre creando più energia in uscita rispetto a quella in ingresso. Analogamente importante per la tecnologia moderna, non produce calore né suono, solo la rotazione della ruota. Gli scettici fanno notare che l’energia del congegno di Minato non viene derivata da magneti permanenti bensì da magneti caricati da elettricità (elettromagneti). Nondimeno, si tratta di una tecnologia affascinante, anche se impiegata unicamente per le ventole dei sistemi di raffreddamento, come accaduto sinora.
Esistono numerosi altri progetti elettromagnetici in fase di elaborazione. Un e-book dal titolo A Practical Guide to Free Energy Devices presenta alcune fra le più accurate descrizioni – raffigurazioni di determinati dispositivi e idee (scaricabile presso www.free-energy-info.co.uk/). Alcuni ricercatori hanno riferito di aver replicato alcuni di questi progetti con esiti positivi.
L’inventore John Bales ha creato un’insolita configurazione di statore e rotore. Il suo brevetto statunitense 6.552.460, denominato “Brushless Electro-mechanical Machine” (rilasciato in data 22 aprile 2003), ha ambedue gli elementi statore e rotore. Lo statore ha almeno un set di quattro elementi elettromagnetici a forma di toroide disposti lungo un arco, separati da una distanza predeterminata. Ciascun elemento ha una scanalatura, mentre l’elemento rotore include un disco adattato a passare attraverso le scanalature. Il disco contiene una molteplicità di elementi a magneti permanenti distanziati fianco a fianco attorno a un perimetro, disposti in modo da avere polarità alternate nord-sud. Questi elementi di magneti permanenti sono dimensionati e distanziati in modo tale che, all’interno della lunghezza dell’arco dello statore, il rapporto degli elementi dello statore rispetto agli elementi dei magneti permanenti sia di circa quattro a sei. Gli elementi elettromagnetici vengono messi sotto tensione in una modalità push-pull quadrifase onde creare una coppia elevata.
Per quale motivo tutti questi scienziati si interessano a congegni ad energia elettromagnetica? In primo luogo, la reale fonte dei campi elettromagnetici non è compresa appieno; tuttavia sembra esistere una qualche “forza” in grado di spostare oggetti semplicemente interagendo con il campo magnetico e al contempo generare un campo elettrico. Naturalmente una corrente elettrica genera un campo magnetico, dato che elettricità e magnetismo sono considerati correlati al medesimo campo d’onda o forza e risultano sempre connessi in qualche modo. Nei magneti permanenti esistono tanto un campo magnetico quanto una corrente elettrica. Ad ogni modo, il quesito è il seguente: “Il campo si trova all’interno del magnete o all’esterno, nel ‘flusso di energia’ circostante o nel campo quantico attorno al magnete?”
I campi magnetici sono sempre in movimento o rotazione e in genere vengono considerati innocui e non inquinanti; in linea teorica potrebbero esistere in ogni parte dell’universo.
Questi motori impiegano una qualche disposizione di configurazioni nord e/o sud per cercare di conseguire, con il movimento di una ruota o una corrente elettrica, un effetto “over-unity” (anche se in taluni casi un’esigua parte della potenza di un circuito secondario viene utilizzata per dare energia al campo primario). Nutriamo la convinzione che civiltà che viaggiano nello spazio abbiano potenzialmente padroneggiato questa tecnologia per un costante spostamento nell’universo. Il controllo di questa energia di “campi d’onda” rotanti comporta che non vi sarebbe alcuna reale necessità di fonti energetiche convenzionali supplementari quali energia nucleare, solare o da fissione.
Mentre il congegno di Bales opera con polarità alternate nord-sud, con il suo dispositivo John Bedini ha adottato un approccio diverso (vedere www.johnbedini.net). Bedini ha lavorato a stretto contatto con Tom Bearden ed è titolare del brevetto statunitense 6.392.370 (rilasciato in data 21 maggio 2002), denominato “Device and Method of a Back EMF Permanent Electromagnetic Motor Generator”. Questo congegno ha un rotore con magneti della stessa polarità, più bobine di entrata e uscita realizzate avvolgendo ciascuna barra con materiale conduttivo quale filo di rame.
Una delle più recenti versioni del suo motore/generatore è una macchina a 10 poli in cui il rotore è incorporato con magneti permanenti nel centro del motore e gli avvolgimenti in parallelo primari e secondari sulle bobine sono situati all’esterno del motore.
I magneti del rotore sono opposti ai pezzi del polo magnetizzato delle bobine interne. Questa invenzione opera tramite un processo di ricalibratura; vale a dire che il campo di flusso creato dalle bobine viene fatto collassare in virtù di un’inversione del campo magnetico nei pezzi del polo magnetizzato, consentendo il recupero dell’energia EMP (impulso elettromagnetico) di ritorno disponibile.
Bedini ha inoltre lavorato con lo “Hamel Spinner”, in origine proposto da David Hamel. Il congegno ha continuato ad essere elaborato e provato in una configurazione giocattolo, come attualmente mostrato dall’investigatore statunitense George Green. Il congegno crea quello che è conosciuto come un “portale magnetico”, prodotto facendo interagire un più ampio anello composto da magneti polo-nord con un anello interno contenente anch’esso rigorosamente magneti polo-nord in numero inferiore. Nell’interpretazione di George Green (come vista su www.youtube.com sotto Project Camelot, che potrebbe risultare diversa dalla spiegazione di cui sopra), l’oggetto interno ruota immediatamente quando collocato nell’anello più ampio, creando una sorta di moto perpetuo magnetico. Green definisce lo spazio fra i due un “vortice di energia”, un aspetto corroborato da Jan Merta, l’ingegnere ceco che a suo tempo lavorava presso il National Energy Board in Canada.
Velocità d’impulso e impulsi elettro-radianti
Un altro ricercatore ritiene che i segreti della free energy non risiedano nella geometria degli impulsi magnetici o di tensione, ma piuttosto nella rapidità dell’impulso. Nel suo libro dal titolo The Free Energy Secrets of Cold Electricity il Dr. Peter Lindemann (www.free-energy.ws/) sostiene che quando si eseguono correttamente azioni dello spinterometro ad alta tensione queste hanno come esito un enorme guadagno di potenza netta nel sistema elettrico. Il riferimento fondamentale cui Lindemann fa ricorso è una citazione del Dr. Nikola Tesla presente nel suo brevetto statunitense 787.412, “Art of Transmitting Electrical Energy Through the Natural Mediums” (rilasciato in data 8 aprile 1905). Nel brevetto, a pagina due, righe 122-130, Tesla afferma: “Ho trovato praticabile produrre in questa maniera un movimento elettrico migliaia di volte maggiore rispetto a quello iniziale – vale a dire, quello impresso sul secondario dal primario A – e ho così conseguito attività o tassi di flusso di energia elettrica nel sistema E’ C E misurati da molte decine di migliaia di cavalli vapore.” Si tratterebbe davvero di “free energy”!
Il Dr. Lindemann ritiene di aver replicato parte della tecnologia a monte del “Tesla Transformer” utilizzando un impulso ad alta frequenza e alta tensione per produrre un “evento elettro-radiante” (vedere www.free-energy.ws/radiant-energy.html). Questo si verifica allorquando la corrente continua viene scaricata attraverso uno spinterometro e interrotta bruscamente prima che si verifichi qualsiasi inversione di corrente. Lindemann inoltre afferma che tali impulsi elettro-radianti di entità inferiore a 100 microsecondi sono del tutto sicuri da gestire e non provocano scosse elettriche o altri danni. Per di più, gli impulsi elettro-radianti di entità inferiore a 100 nanosecondi sono freddi e producono agevolmente effetti luminosi in globi a vuoto. Vari altri ricercatori sostengono di aver replicato tale lavoro e sono previste ulteriori indagini. Un compendio del libro del Dr. Lindemann e gli esiti sopradescritti sono reperibili presso www.padrak.com/ncsricf/bailey_082505.doc.
Un altro effetto interessante potrebbe prodursi quando si trasmettono rapidi impulsi elettrici attorno e poi indietro attraverso un magnete permanente! Nella letteratura disponibile non vi è traccia di esperimenti di questo tipo. In realtà, l’unico riferimento ad un congegno di tal genere è il “Magnetstromapparat” costruito da Hans Coler per il governo tedesco durante la Seconda Guerra Mondiale, come citato nel Rapporto Finale Nr. 1043 della Sottocommissione Obiettivi dell’Intelligence Britannica, ora declassificato (vedere www.rexresearch.com/coler/colerb~1.htm).
Niente di nuovo sotto il sole! Una delle prime tecnologie a mostrare questa molteplicità dei magneti permanenti o di barre magnetiche posizionate a intervalli di spazio regolari viene trattata nell’ambito del brevetto statunitense 4.025.807, denominato “Electromagnetic Motor” e rilasciato in data 24 maggio 1977 a Leonard W. Clover. La sua invenzione comprende un rotore dotato di una molteplicità di magneti permanenti sul perimetro e di uno statore che racchiude fermamente il rotore, dotato anch’esso di una molteplicità di magneti permanenti ed elettromagneti interposti per l’interazione con i magneti del rotore. Clover sostiene che anche gli elettromagneti necessitano di essere posizionati secondo appropriati intervalli angolari sullo statore, diversi dagli intervalli angolari dei magneti del rotore, in modo che indipendentemente dalla disposizione istantanea del rotore (quando il motore è “acceso”) uno o più elettromagneti riceveranno energia per iniziare la rotazione.
Per la maggior parte queste tecnologie funzionano in base al concetto di uno statore e di un rotore. Questo avviene in quanto le ricerche si basano in massima parte sulla nozione che sia necessaria la presenza di un magnete stazionario e di un rotore che ruota. Comunque sia, alcuni hanno contestato tale nozione, come dimostrato da Michael Faraday e, in seguito, da Bruce DePalma, i quali intuirono che il campo importante non si trova all’interno del magnete ma entro lo spazio circostante.
Ruote dentro altre ruote
Ad ogni modo, se ci proponiamo di ricostruire la visione del profeta Ezechiele di “ruota dentro la ruota” dovremmo disporre di due oggetti dotati di magneti paralleli o semi-paralleli, in ambedue i casi in grado di ruotare. Tecnicamente, invece di un rotore e di uno statore, la reale ruota dentro la ruota richiede almeno due rotori, forse più adatti a sfruttare i campi circostanti.
Il progetto più affine dotato di molteplici ruote mobili operante con elettromagnetismo in “fase parallela” per la produzione di energia è la “design function” derivante dalla letterale visione “d’infanzia” dell’inventore britannico John Searl, il cui risultato è il “Searl Effect Generator” (SEG) (www.searlsolution.com). Il prototipo del generatore di Searl consta di non solo due bensì tre(!) anelli concentrici (attualmente fissati a una base), ciascuno composto da quattro materiali diversi. Attorno a ciascun anello vi sono rulli e bobine per accrescere l’energia tramite il loro movimento. Searl sta cercando di creare non solo una tecnologia energetica ma anche un disco volante funzionante, che a suo dire in realtà è un velivolo a gravità inversa.
Si auspica che tutte queste invenzioni ci stiano portando non solo al viaggio spaziale, ma alla realizzazione di una vera e propria “macchina free energy”. Risulta interessante il modo in cui alcuni, come John Searl e Nikola Tesla, abbiano concepito i loro progetti derivandoli da vivide visioni. Forse là fuori, nello spazio oppure oltre, esistono civiltà che stanno cercando di aiutarci a lasciare l’astronave Terra alla ricerca di frontiere più ampie? Ora le giuste innovazioni scientifiche potrebbero contribuire a risolvere molti dei problemi che ci troviamo ad affrontare e a traghettarci nel vero ventunesimo secolo.
Magnetoidrodinamica
In numerose configurazioni di questi test si impiegano magneti permanenti; tuttavia un veicolo elettromagnetico avanzato potrebbe utilizzare il metodo analogo di ricorrere semplicemente a una lega specifica o plasma energizzato e rendere l’intera struttura magnetica con campi alternati onde generare forza elettromagnetica. Non si tratta di un’eventualità inverosimile poiché, unitamente alla tecnologia dell’elettromagnetismo in evoluzione, si stanno producendo anche interessanti sviluppi, in particolar modo in Russia, nella ricerca inerente alla magnetoidrodinamica (MHD). Il termine si definisce da sé, laddove “magneto” sta ad indicare campo magnetico e “idro” riguarda un liquido (ad esempio acqua, metallo in forma liquida o plasma) nel contesto di un movimento dinamico. Per farla semplice, campi magnetici inducono correnti in un fluido conduttivo in movimento. Si valuta che tale fenomeno si trovi a monte della dinamo del nucleo interno della Terra e forse sia anche il motivo in virtù del quale il Sole genera eruzioni.
Nel 2005 correva voce che tre eminenti fisici francesi, Jean-Pierre Petit, Claude Poher e Maurice Viton, avessero costruito il “Petit-Viton Magnetohydrodynamic Motor” utilizzando una combinazione di energia elettromagnetica e nucleare (per dettagli, vedere www.mhdprospects.com/). Si affermava inoltre che il congegno fosse in grado di produrre oltre 1.000 milioni di watt di energia, nonché di eliminare le onde d’urto in modo da non rallentare un velivolo spaziale al momento del contatto con la nostra atmosfera. Anche se non siamo riusciti a reperire riscontri certi a sostegno di tale affermazione, nondimeno concordiamo sul fatto che la magnetoidrodinamica possa rivelarsi una via di accesso a una fonte di propulsione dei velivoli spaziali.
Anche la fisica del plasma ha raggiunto notevoli traguardi, mentre propellenti quali il plasma stanno diventando sempre più abbondanti, con sottoprodotti del carbonio assai ridotti o del tutto assenti. La gassificazione del plasma, ad esempio, è realizzabile con due elettrodi e una scarica elettrica pulsata in un “arco di plasma”.
La rilevanza della MHD ci è stata confermata da un documento declassificato, divulgato in virtù della Legge sulla Libertà di Informazione, relativo a un velivolo osservato in azione nei cieli del Brasile, paese in cui anni fa abbiamo consultato un rapporto indicante l’eventualità che il sistema propulsivo di un velivolo recuperato disponesse di una fonte di energia MHD.
A quanto pare il fisico Robert (“Bob”) Lazar (www.boblazar.com) ha scritto la sua tesi sulla magnetoidrodinamica.
Indipendentemente dal fatto che ci si trovi o meno d’accordo sulle asserzioni di Lazar in merito all’impiego dell’elemento 115 come fonte di energia, vi sono altre interessanti informazioni da lui divulgate che coincidono con la creazione di un plausibile sistema “controllato dalla gravità”. Ad ogni modo, nel 2004 alcuni scienziati in Russia e Stati Uniti hanno creato per un breve periodo l’elemento 115, in seguito decaduto a elemento 113. Di fatto, il superpesante elemento 115 è stato definito Ununpentium (Uup).
Degno di interesse risulta anche il fatto che nelle sue trattazioni Lazar sottolinea che un velivolo non solo deve disporre di un sistema di propulsione a energia rinnovabile o free energy, ma deve anche riuscire a esercitare il controllo sul campo gravitazionale terrestre. Come il testo di The Keys of Enoch, Lazar esamina due forme di gravità: “gravità A” e “gravità B”.
The Keys… definisce questa “gravità” versus “Gravità”. Egli asserisce che la “gravità A” è la “gravità” che tiene unita la massa; etichettata in fisica come la “forza nucleare forte”, è quella che si utilizza per distorcere lo spazio-tempo per il viaggio interstellare. Il normale campo di “gravità” (“gravità B”) è quanto esiste a livello planetario e stellare nonché quello con cui i più hanno familiarità nei termini di ciò che ci consente di calpestare il suolo terrestre.
Lazar sostiene che la tecnologia dei velivoli ET da lui osservata mentre si trovava presso la “Area S4 all’interno dell’Area 51” disponeva di tre grandi amplificatori di gravità, ciascuno dei quali poteva essere posizionato in modo indipendente. Asserisce inoltre che il velivolo a cui lavorava impiegava un generatore di gravità per staccarsi dal suolo ma, una volta libratosi in aria, gli occupanti potevano ruotare i due restanti generatori di energia davanti a loro onde creare un campo di distorsione.
Quando attivato, un amplificatore singolo viene definito la “configurazione omicron”, mentre i tre amplificatori funzionanti assieme sono chiamati la “configurazione delta”, utilizzata per il viaggio nello spazio esterno. Il velivolo quindi non “sfida” la gravità ma crea il proprio campo gravitazionale e si sposta al suo interno, seguendo la distorsione che ha creato. The Keys of Enoch ci dice che quando giungono qui i “velivoli sono in grado di creare i propri corridoi di energia onde comparire sulla superficie terrestre”. The Keys… ci dice inoltre che i velivoli non “viaggiano” fra i pianeti ma si spostano all’interno di un campo energetico onnicomprensivo.
Lazar sottolinea peraltro che le navi non producono alcun suono, anche se in merito alle proprie esperienze di “contatto” altri hanno riferito di bizzarri suoni a bassa o alta frequenza, forse collegabili alla fonte di energia utilizzata dai velivoli.
Lazar spiega inoltre che l’alone luminoso attorno al velivolo spaziale è dovuto alla sua fonte di propulsione ad alta energia che accende azoto e ossigeno nella nostra atmosfera, in quanto quando si applica sufficiente energia a molecole di gas queste emettono fotoni (luce).
Un mare di energia a disposizione
Secondo il fisico Tom Bearden: “Ogni carica nell’universo è già di per sé un vero e proprio resistore negativo del tipo più puro e definitivo (e facilmente comprovato a livello sperimentale)” (www.icehouse.net/john1/index34.htm). Questo ci porta alla nostra successiva possibile fonte di energia: l’energia del punto zero (ZPE). Planck e Nernst (1916) si proposero di definire il campo di vuoto come hf/2, a indicarci che l’energia minima media corrisponde a “h” (costante di Planck) moltiplicato per “f” (frequenza) fratto due.
Ad ogni modo, si potrebbe definire con maggior chiarezza la ZPE come l’energia vibrazionale che le molecole conservano persino a una temperatura pari allo zero assoluto. I fisici della nuova energia che stanno studiando la ZPE ci dicono che è questa energia a esistere in ogni volume di spazio, il che ha qualcosa a che fare con il fatto che raggiungere la temperatura dello zero assoluto è assai arduo. Infatti, la ZPE è tradizionalmente l’energia vibrazionale che le molecole conservano persino ad una temperatura pari allo zero assoluto, in cui il moto non sembra mai scomparire completamente.
Quindi a livello teorico la ZPE esiste in quanto basilare mare di energia. Questo potrebbe essere direttamente correlato all’elettromagnetismo, o forse accade semplicemente che ogni atomo nello spazio ha dietro di sé un intenso campo di energia. A quanto sembra, il famoso effetto Casimir e lo spettro del corpo nero di Planck starebbero a dimostrare che la ZPE esiste.
Ancor più importante, i nuovi progressi nell’area della meccanica quantistica stanno rivelando che il flusso o campi d’onda potrebbero essere più simili a increspature nello stato di un campo universale onnipervadente. Questo concorda con la ricerca dell’inventore Dr. T. Henry Moray, il quale a quanto risulta negli anni Trenta esibì per vari giorni alla stampa statunitense un congegno “free energy” non connesso a rete e alla fine pubblicò il libro dal titolo The Sea of Energy in Which the Earth Floats (vedere brani scelti presso rexresearch.com/moray2/morayrer.htm).
Nella letteratura popolare la locuzione ZPE venne usata per la prima volta oltre un trentennio fa in The Keys of Enoch per descrivere gli insoliti aspetti funzionali di condizioni limite nonché il modo in cui alcune forme di vita si adattano al cambiamento quantistico. Il testo recita: “I sistemi secondari di creazione fisica devono riconoscere il punto-zero universale come l’origine della materia galattica nello stesso modo in cui un bimbo riconosce il cordone ombelicale del grembo materno di cui è un’estensione” (Key 302:13).
Per di più, fisici quali Richard Feynman e John Wheeler a quanto risulta hanno calcolato che, qualora si riuscisse ad attingervi, la quantità di tale ZPE o energia torsionale contenuta in un singolo oggetto di piccole dimensioni quale una tazzina di caffé o una lampadina potrebbe far ribollire gli oceani.
Quindi, a quanto pare viviamo in un mare di energia inutilizzata. Ancor più importante, l’energia non sembra soggetta a esaurirsi in quanto è possibile che si trasformi da una forma all’altra e viceversa. In tal caso l’energia non viene mai esaurita né dissipata.
Anni fa, l’ingegnere australiano della NASA Josef Blumrich, il quale lavorava al razzo Saturn V, spiegò dettagliatamente come la vicenda del carro di fuoco di Ezechiele potesse riguardare un velivolo ad alta frequenza che condusse Ezechiele in nuovi regni di esperienza (The Spaceships of Ezekiel, 1974).
Il risveglio dell’umanità
Naturalmente dobbiamo prepararci a più grandi realtà e intuizioni che si prospettano davanti a noi. Che si tratti dei dadi e bulloni di piccole astronavi, di navi madre, navi nonne o bio-satelliti delle dimensioni di città, riteniamo che queste realtà di natura superiore si renderanno manifeste ben presto.
Di fatto lo stanno già facendo in molti modi.
Il quesito più importante che dobbiamo porci è il seguente: “Siamo davvero pronti ad affrontare la natura delle civiltà che impiegano tali tecnologie avanzate?”
Gli ultimi trent’anni ci hanno fornito ingenti quantità di informazioni e conoscenze relative a come possiamo traghettare nel ventunesimo secolo in veste di umani terrestri che reclamano i propri diritti di Cittadini del Cosmo.
In ultima analisi, siamo psicologicamente e socialmente preparati ad impadronirci e a far uso di queste tecnologie per il bene dell’umanità – oppure la prospettiva è che le continue lotte di potere del passato ci limitino in modo permanente e controllino il nostro destino futuro? ∞
Gli autori:
J. J. Hurtak, PhD, PhD, è fondatore e presidente di The Academy for Future Science, organizzazione internazionale che opera con lo scopo di favorire un rapporto di collaborazione fra scienza e religione attraverso un dialogo positivo che implica progetti di natura sociale e sostenibilità ambientale.
Scienziato sociale, futurologo ed esperto di rilevamento a distanza, nonché archeologo e antropologo, il Dr. Hurtak è autore di oltre quindici libri, fra cui The Book of Knowledge: The Keys of Enoch® (1973).
Inoltre è coautore (assieme al fisico Russell Targ) di The End of Suffering: Fearless Living in Troubled Times (Hampton Roads, 2006).
Desiree Hurtak, PhD, è scienziata sociale, ambientalista, documentarista e scrittrice; il suo recente lavoro prevede la conservazione dell’ambiente e del retaggio culturale delle popolazioni indigene. Lavora presso la Academy per promuovere nuove tecnologie energetiche in vista di un futuro più prospero.
Per contatti, via email presso [email protected] e tramite il loro sito web http://www.futurescience.org.
Articolo originariamente pubblicato sul nr. 83 di Nexus New Times (dicembre 2009 – gennaio 2010)