Certo, da un General
Manager
ci si aspetta logicamente un’opinione
liberale e liberista, e su Nexus
giustamente c’è spazio per tutte le idee.
Che
l’Italia abbia perso molti treni negli ultimi 40 anni, a causa del fatto
che
è governata da una classe politica di malfattori, mafiosi,
nepotisti,
tangentisti
e lobbisti (in una parola neo-coloniale), incapaci di vedere al
di
là del proprio naso è giusto ribadirlo. Che questa sia
l’eredità della
cultura
borbonica-mediterranea, lo dubito fortemente rimembrando, così a
spanne,
che le “Polis” della Magna Grecia erano in Sicilia e che all’epoca
dell’unificazione
era il Regno dei Borboni a detenere il primato nella
penisola
dal punto di vista del benessere e della produttività dei
cittadini.
Se proprio vogliamo trovare una causa storica del fatto che
l’Italia
è il paese della burocrazia e della malversazione, va cercata, se
mai,
nella sua origine savoiarda. E considerato che i regnanti piemontesi
erano
imparentati con i francesi (illuministi e iniziatori della moderna
democrazia
parlamentare) e che dal secondo dopoguerra siamo diventati
colonia
degli Usa, sembra proprio che l’Italia rappresenti un vero
fallimento
della strategia di imporre “con le buone o con le cattive” una
mentalità
democratica ateniese-anglo-americana.
Il
modello della Polis ateniese, comunque, può esistere solo se si
esercita
la
democrazia diretta, con assemblee pubbliche alle quali la cittadinanza
è
chiamata
a partecipare. Che la municipalità di Seattle sia un esempio di
democrazia
partecipativa migliore dei nostri comuni è molto probabile. Che
il
merito di ciò risieda nella sua fondazione anglosassone, non
è detto,
altrimenti
non si spiegherebbe perché gli USA siano una pessima democrazia
rappresentativa
(con il primato di astensionismo tra i paesi
industrializzati)
che si preoccupa di imbarcarsi in guerre autolesioniste e
contrarie
alla volontà popolare, fatte ad hoc per occupare pozzi di
petrolio
che
potrebbero essere resi obsoleti dall’applicazione su vasta scala del
Dual-Bus
che tanto piacque ai cittadini di Seattle.
Quindi
c’è anche un problema di scala. Alle dimensioni della nazione
l’esercizio
della democrazia si limita al rito delle elezioni periodiche,
attraverso
cui vengono legittimati al potere dei personaggi scelti dalle
oligarchie,
che andranno a fare un mestiere oscuro e lontano dal controllo
puntuale
dei loro elettori, che dovranno subire le conseguenze delle
decisioni
veramente importanti, prese da eminenze grigie, su cui nemmeno i
politici
hanno il controllo. La “Democrazia” altro non è che il potere
dell’oligarchia,
gestito attraverso una serie di procedure che fanno
sembrare
che i cittadini siano parte in causa (un modo per “metterlo nel
culo
alla gente con il loro consenso” – leggasi “Sudditi” di M.Fini). E
naturalmente
gli USA sono il non plus-ultra dell’ipocrisia di questo potere
democratico,
basta vedere la composizione dell’attuale entourage della Casa
Bianca:
tutta gente che sta sul libro paga di aziende che curano interessi
ben
precisi e non certo quelli dei cittadini.
E’
giusto poi non ammazzare i piccoli imprenditori, ma spero che per
liberalizzare
l’impresa e gli incentivi ai neo-imprenditori che aprono
un’attività
non sia per forza necessario distruggere il Welfare come ha
fatto
la Tatcher negli anni ’80 (molti in UK ringraziano ancora oggi). Tra
la
via “burocratica” e la via del “Laissez-faire” totale ci sarà
una terza
via?
E
anche la distinzione generalizzata tra ex-colonie borboniche ed
ex-colonie
anglofone,
secondo me non regge affatto. USA, Canada e Australia non sono
ex-colonie;
sono luoghi in cui l’uomo bianco europeo è andato ad abitare
stabilmente,
prendendo il posto di chi vi abitava prima. Quindi non è che la
cultura
“democratica” ha attecchito meglio che negli altri luoghi,
semplicemente
in quei luoghi l’Europa si è replicata, sterminando
preventivamente
coloro che occupavano spazio “improduttivamente” (pellirossa
e
Inuit nordamericani, aborigeni australiani). Mostrando quindi il vero
volto
razzista che sottende la democrazia “neo-ateniese” moderna (in questo
aspetto
somigliante a quella dell’antica Grecia, a cui accedevano i pochi, i
cittadini
liberi, e da cui era esclusa la massa degli schiavi).
Dove
invece gli autoctoni sono rimasti la maggioranza etnica della
popolazione,
governati dalla classe dirigente europea (Africa, est asiatico)
oppure
dove i colonizzatori si sono mescolati
con gli indigeni (tipicamente
nei
domini spagnoli e portoghesi in Sudamerica), lì abbiamo il Terzo
Mondo.
Additare
l’India come esempio di paese dallo sviluppo economico molto alto e
partecipazione
dei cittadini molto intensa, lo trovo fuori luogo (al
contrario
si tratta del migliore esempio di catastrofe umanitaria che il
colonialismo
inglese sia riuscito a compiere in una civiltà estremamente
popolosa).
E
anche infierire sul Brasile e l’Argentina (e il Cile?) mi pare scortese.
Se
questi saltano da una dittatura all’altra è colpa della cultura
post-spagnola?
O non è forse colpa dei loro invadenti vicini di casa?
L’America
Latina è il continente ex-colonia che più di tutti ha
cercato
nella
partecipazione dal basso le motivazioni per costruire dei governi
indipendenti,
i quali, quelle poche volte che sono arrivati al potere sono
stati
scalzati con il decisivo aiuto di forze esterne che hanno rimesso le
cose
a posto. I guerriglieri della CIA o i ricatti del FMI, si sono
prodigati
per affermare in Sudamerica tutto fuorché la democrazia della
Magna
Charta.
In
ultima analisi volendo generalizzare – scorrettamente – il destino delle
ex-colonie
nel mondo, a me viene da distinguere i paesi abitati da autoctoni
e
meticci da quelli abitati da bianchi e autoctoni ma governati sempre e
comunque
dall’elite WASP.
I
rivolgimenti dell’ultimo secolo, per esempio, hanno permesso all’India e
al
Sudafrica di passare dal secondo gruppo al primo, non certo in
virtù di
una
mentalità inculcata dalla democrazia nordeuropea, ma a forza di
calci in
culo
e grazie a congiunture internazionali favorevoli. E ci vorranno molti
decenni
per risolvere i secolari problemi di quei paesi.
La
sola eccezione a questo panorama risulta il Giappone, peculiare mix di
democrazia
moderna, efficiente e autoritaria, popolato e governato da
autoctoni,
che vivono da un secolo secondo la ricetta del modello
occidentale
(importata volenti o nolenti).
L’unica
massima che possiamo quindi evincere dalla storia è che la
cultura
di
potere mercantile-capitalista è risultata vincente. Questa
impostazione
ha
prodotto, nei paesi dei padroni, la democrazia; nei paesi degli schiavi,
la
servitù
e l’instabilità sociale.