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UNIVERSO ELETTRICO E COSMOLOGIA AL PLASMA

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Un estratto dell'articolo di Edoardo Segato pubblicato sull'ultimo numero di PuntoZero.


Molte teorie alternative crescono e cercano risposte diverse alle domande fondamentali. Oggi parliamo della Cosmologia al Plasma. Alla luce di un universo fondamentalmente elettromagnetico, troviamo risposte diverse anche al mistero più grande di tutti: la Vita.


VITA ELETTROMAGNETICA

Nel 1831 un ventiduenne fortunato s'imbarcò per sostituire il naturalista di bordo della Beagle, in rotta intorno al mondo sotto il comando del capitano Robert Fitzroy. Quel ragazzo si chiamava Charles Darwin.

Le sue teorie avrebbero influenzato radicalmente duecento anni di storia, cultura e scienze umane. Nel corso delle sue esplorazioni però, egli scoprì che molte specie diverse di pesci possiedono organi totalmente elettrici. In un primo momento, perplesso dall'origine ignota e del grado di complessità dell'elettrogenesi (si parla di un'epoca precedente Faraday, Maxwell, Ørsted, Ohm, prima della scoperta della radioattività, del fotone e dell'elettrone) credette che potesse trattarsi di un errore evolutivo, una coincidenza nella selezione naturale. In seguito però Charles ammise che quegli organi rappresentavano una grande sfida per la sua teoria, essendosi creati indipendentemente in varie specie (convergenza evolutiva) (1) e coinvolgendo perciò un complesso meccanismo biologico ed energetico. (2) Uno studio odierno di un team di ricercatori di tre università americane, dimostra che sei specie di creature marine hanno utilizzato la stessa identica procedura genetica (e le stesse sequenze di codici) per trasformare i loro organi in apparati elettrici.3 Un grande mistero latente per la Biologia. (4)

Disse Darwin:

«Se venisse dimostrata l'esistenza di qualsiasi organo complesso, che non si sarebbe mai potuto formare solo da piccole modifiche successive, la mia teoria crollerebbe su sé stessa.» (5)

Negli ultimi anni le meraviglie elettromagnetiche della natura si sono aperte a ventaglio come mai prima d'ora. Darwin ne sarebbe entusiasta, ma avrebbe di che preoccuparsi. Nel regno animale il magnetismo e l'elettricità sono ampiamente utilizzati per orientarsi, “scannerizzare” l'ambiente circostante, cacciare, corteggiare e in generale per comunicare, attraverso complessi messaggi in codice per distinguere la propria specie. (6) Dagli squali ai delfini, dall'ornitorinco all'echidna, persino in alcuni fossili, sono stati trovati organi in grado di generare o percepire scariche e campi elettrici o magnetici. Di alcuni di essi tutt'ora ignoriamo la funzione. Il nostro sistema nervoso in primis è un labirinto elettrico, che innesta dubbi nel cuore di ogni ragionevole evoluzionista. Similmente vedremo che fuori la nostra atmosfera, su fino a Laniakea, grandi circuiti intricati come trame di un tappeto indiano contribuiscono a uno web di portata cosmica.

Anche gli esseri viventi sulla Terra mostrano interdipendenze simili. I bombi e le api, senza le quali il volto del pianeta cambierebbe radicalmente, sono dotati di carica positiva. Ecco perché sono indotti a scegliere i fiori migliori, anch'essi di polarità positiva, secondo le loro emissioni elettriche. (7) Le vespe usano le strisce marroni sui loro corpi per catturare la luce del Sole e quelle gialle per trasformarla in energia elettrica utile. (8) Anch'esse scelgono i fiori secondo la loro carica elettrica. (9) Con medesima grazia, perpendicolari al nostro piano galattico fluttuano due ciclopiche bolle di raggi gamma fossili, come due ovaie stellari, grembo di incognite per gli astrofisici esterrefatti e impotenti. (10) In epoca Vittoriana, al tempo in cui Airy, Herschel, Stawell Ball, o le tre famose astronome americane Henrietta Swan Leavitt, Annie Jump Cannon e Maria Mitchell sbirciavano il cielo in procinto di fare le loro storiche scoperte, si tenevano feste particolari, dove gli ospiti formavano lunghe catene dentro una vasca per farsi attraversare dalle scariche di un pesce elettrico. Gli antichi egizi, grandi astronomi dopo i greci e i babilonesi, utilizzavano l'elettricità della torpedo d'acqua dolce, una razza marina che chiamavano “il fulmine del Nilo”, in una forma atavica di elettroterapia, per trattare l'epilessia. (11) Sembra che le cellule utilizzino i campi elettrici per creare i tessuti organici e la loro morfologia. (12) Alcuni serpenti percepiscono l’elettrostatica, (13) mentre il geco usa le stesse forze, coadiuvate da membrane magnetiche sulle dita, per aggrapparsi alle superfici verticali. (14) Se per il povero Darwin un apparato bio-elettrico nei pesci rappresentava un problema, proviamo a immaginarci cos'avrebbe detto oggi alla luce della scoperta di tutto questo pout pourrì di miracoli elettromagnetici emersi in zoologia. Avrebbe avuto più di un paio di aneddoti da inserire nel capitolo “Difficoltà nella teoria” del suo Origine delle specie. Magari si sarebbe dato all'astronomia…

 

MA QUANTI UNIVERSI?

Prima del 1920 l'Uomo era convinto che l'Universo si esaurisse nella Via Lattea. Un giorno però, un astronomo statunitense di nome Heber Curtis fece una scoperta sensazionale: la nebulosa di Andromeda era troppo lontana per far parte della nostra Galassia. Quasi dieci anni dopo, un giovane promettente di nome Edwin Hubble, confermò e sviluppò sperimentalmente quella congettura anche per altre nebulose. Fu la prima di una serie infinita di osservazioni che oggi ci regalano la visione di un Universo sconfinato, stracolmo di cluster composti da migliaia di galassie, le cui dimensioni reali ci sfuggono. Immanuel Kant pensava che alcune di quelle che crediamo stelle nella volta celeste, sono in verità altre galassie simili alla nostra, indistinguibili ad occhio nudo, che Curtis chiamò “universi-isola”. Con la scoperta di Hubble ci rendemmo conto che Kant aveva ragione. Oggi sappiamo che Andromeda è una galassia. Dopo millenni di storia umana sotto la volta celeste, nell'arco di un solo secolo abbiamo spinto i nostri occhi telescopici nelle profondità dello spazio. La cosmologia moderna però ha fatto il passo più lungo della gamba; pur avendo riconosciuto un numero impronunciabile di sistemi come il nostro, è ancora un'adolescente, cresciuta troppo in fretta, piena di dubbi e controversie. Quello del Big Bang infatti non è l’unico modello esistente.

Nel 2004 trentacinque cosmologi firmarono una lettera di protesta diretta alla comunità scientifica. La rivista Nature si rifiutò di pubblicarla. Paul C. Raterbur, Nobel per la medicina, ci ricorda che

«si potrebbe scrivere la storia della scienza degli ultimi 50 anni in termini di lavori respinti da Science e Nature.» (15)

Anche il suo lavoro sulla MRI a risonanza magnetica venne rifiutato, prima di meritargli il prestigioso premio. La lettera venne finalmente pubblicata su New Scientist e diffusa in tutto il mondo, scatenando un putiferio di cui ancora oggi si sente l'eco.

“Virtualmente tutte le risorse finanziarie e sperimentali sono spese negli studi sul Big Bang… (che) impedisce il proseguire di un dibattito e l’impossibilità di una ricerca alternativa.” (16)

Per fare un esempio, i preziosi dati delle recenti osservazioni del satellite WMAP sono stati analizzati secondo parametri e ipotesi standard, tralasciando a priori qualsiasi altra cosmologia. Secondo gli artefici della lettera, ciò induce inevitabilmente i giovani scienziati a rinunciare in partenza a qualsiasi idea divergente, e i più anziani a ignorare o ridicolizzare osservazioni sperimentali scomode, nel caso costituiscano una minaccia al loro stipendio. Dal tempo della pubblicazione della lettera, centinaia di altri scienziati hanno aggiunto la propria firma. (17) Tra quelle originali ne leggiamo due, Eric Lerner e Anthony Peratt, fisici del plasma statunitensi. Tenete a mente questi nomi. Entrambi sono attivissimi prosecutori della teoria di cui parleremo oggi: la cosmologia del plasma.

Da principio essa venne proposta dagli svedesi Hannes Alfvén, Oskar Klein e Carl-Gunne Fälthammar per spiegare l'asimmetria barionica universale, cioè l'apparente abbondanza di materia comune presente nel cosmo in opposizione alla scarsità di antimateria. Modellarono un paesaggio cosmico in cui antimateria e materia si equivalgono, pur restando separate in un bilancio generale che essi chiamarono ambiplasma. In seguito svilupparono ulteriormente l'idea nelle forme di “ambiplasma pesanti” (protoni-antiprotoni) e “ambiplasma leggeri” (elettroni-positroni). (18)

A destra: Hannes Alfvén (fonte: www.plasma-universe.com)

Nel ventennio '60-'80, con il progredire dei suoi studi sulla magnetoidrodinamica, Alfvén si rese conto che quei fenomeni elettromagnetici che prima si pensava esistessero solo su scale minori, permeano in realtà l’intero universo, con un'intensità 1036 volte maggiore dell'interazione gravitazionale. Come può una forza di tale magnitudo essere insignificante nelle meccaniche celesti e nel mantenimento delle strutture astronomiche? Difatti oggi l'ipotesi di Alfvèn, che la gravità non è l'unica forza ad agire nei sistemi cosmologici, viene costantemente confermata e rinforzata. (19) I plasmi, cioè qualsiasi gas formato da elettroni e atomi elettricamente carichi (ioni: che cedono o acquistano elettroni), rappresentano il 99% della materia conosciuta e il loro comportamento è lo stesso ovunque, dai laboratori allo spazio intergalattico. Questo permise ad Alfvén di indagare lo spazio profondo basandosi unicamente sulla fisica del plasma, vantaggio che gli suggerì quanto la cosmologia dovrebbe in realtà attenersi sempre e soltanto a osservazioni sperimentali dirette. Ecco perché nel decennio successivo Alfvén, assieme a un suo studente, avviò il programma “Universo al Plasma”, atto ad analizzare metodicamente i vari problemi della cosmologia e dell’astrofisica dell’epoca, per reinterpretarli in un'ottica elettromagnetica. Quello studente si chiamava Anthony Peratt e ancora oggi mantiene viva quest'iniziativa.

A destra: Anthony Peratt

Riprendendo gli esperimenti sulle correnti di Kristian Birkeland e di Winston H. Bostick sui plasmoidi (plasmi con campi magnetici), grazie ai supercomputer dei Laboratori Maxwell e alle strutture del Laboratorio Nazionale di Los Alamos, Peratt riuscì a simulare, e in seguito osservare, la formazione di una galassia a partire da due plasmoidi sferoidali (invece delle nuvole primordiali della teoria tradizionale). (20) La coppia era intrappolata entro filamenti magnetici paralleli, percorsi da correnti molto intense, di un migliaio di ampére ciascuna. I plasmi ruotavano sul proprio asse, distorcendosi fino ad assumere un aspetto spiraliforme. Confrontando le varie fasi della simulazione con tutte le galassie osservate, Peratt si rese conto del perché inizialmente il suo “mentore” svedese avesse fondato la cosmologia al plasma. La somiglianza era sconcertante e gettava un parallelo impossibile da ignorare, tra microcosmo e macrocosmo.

 

NON SI CHIEDE L'ETÀ ALLE SIGNORE

I primi studi di Alfvén prendevano le mosse dall'osservazione delle aurore boreali, nelle quali era evidente che i campi elettrici e magnetici sono in grado di concentrare la materia assai più efficacemente della gravità. Le correnti producono sempre plasmi filamentosi che si spostano lungo le linee di un campo magnetico. Al centro gli elettroni fluiscono in linea retta, generando un altro campo magnetico nel quale si muovono quelli periferici, a loro volta generanti un campo ulteriore. Il risultato finale è un moto elicoidale che "strizza" il filamento (z-pinch nel gergo della fisica del plasma). (21) Se nello spazio esistono simili correnti, in tempi sufficientemente lunghi tutte le strutture nell'universo possono essersi formate sinergicamente. Ciò spinse Alfvén a formulare il punto cruciale della teoria: l'età del cosmo.

Eric Lerner, l'altro plasma-firmatario della famosa lettera e prosecutore più attivo (anche politicamente) della teoria, pubblicò un libro intitolato Il Big Bang non c'è mai stato. Alfvén, che studiò anche molte altre cosmogonie persino da un punto di vista etnologico, (22) rifiutò sempre la genesi “ex nihilo” (dal nulla) sostenuta dal nascente Modello Standard. Come tanti altri cosmologi, egli considerava l'esplosione primordiale un'inclinazione – tutt'altro che giustificata – verso un “creazionismo” velato, più religioso che scientifico.

A destra: Eric Lerner

All'epoca la cultura cattolica era molto influente sullo sviluppo e sulla divulgazione delle scoperte scientifiche. L'idea originale dell'atomo primevo e della sua esplosione ad esempio, fu concepita da Georges Lemaître, un prete-scienziato gesuita. Nel mondo anglosassone esplose subito una forte critica, ma la Chiesa, Papa in primis, appoggiò tale teoria sin dall'inizio, (23) e continua a farlo tutt'oggi, quasi come fosse una novità. (24) Lerner sostiene che la scienza dovrebbe liberarsi dall'influenza della politica e della filosofia religiosa, di cui è ancora profondamente impregnata. Nessun sano di mente vorrebbe che si ripetano errori passati, come ad esempio quello di padre Clavio (Cristoforo Klau), professore di matematica al Collegio Romano, quando criticò le osservazioni di Galileo Galilei dei crateri lunari. Come oggetto appartenente al Cielo, dove tutto è perfetto, la Luna era considerata una sfera liscia e perfetta… (25)

Per i nostri “plasmofili” invece l'universo è infinito nello spazio e nel tempo, è sempre esistito e non ha limiti. Come posizione può sembrare estrema, ma di certo non solitaria. Lo scienziato Fred Hoyle ad esempio, oppositore del modello del Big Bang (di cui ironicamente fu anche il satirico battezzatore) propose la “cosmologia a creazione continua”, meglio nota come “a stato stazionario”, che prevede un universo infinito e senza alcun inizio.26 Hoyle inoltre, assieme con Chandra Wickramasinghe, crede che la Vita sia sempre esistita nel cosmo. La teoria, detta dell'Ascendenza cosmica (cosmic ancestry), viene integrata dai due ideatori con la Panspermía di Anassagora, di Arrenhius, Berzelius, Richter, Kelvin, Helmholtz e altri. Requisito chiave del loro modello è proprio l'infinità dell'universo nel tempo: anch'esso dev'essere sempre esistito. (27) Là dove i nostri telescopi riescono ad arrivare, molto indietro nel tempo e nello spazio, nell'infanzia dell'Universo dove secondo la teoria dovrebbero esistere solo galassie molto giovani, ne troviamo invece molte già mature, che sconvolgono i favoreggiatori del “grande Boom” e fanno sorridere i fisici del plasma. (28)

“L'esistenza di tali buchi neri massicci al principio dell'universo pone sfide significative alla teoria della crescita dei buchi neri nell'universo primordiale e la loro relazione con l'evoluzione delle galassie.” (29)

Ovviamente, oltre a quella dell'universo infinito della cosmologia al plasma, oggi esistono in ambito accademico molte proposte alternative, come quelle che ipotizzano un Big Bang lento e freddo invece che esplosivo, (30) o quelle che lo cancellano del tutto. (31) Interessante ad esempio la nuova teoria della Gravità Arcobaleno, che suggerirebbe a sua volta un universo senza principio. (32)


Sopra: bolle di plasma (fonte: www.phys.org)


Due sono le presunte prove principali di un punto di inizio nella realtà fisica: l'espansione metrica dell'universo e la radiazione cosmica di fondo. La prima subentrò nella visione scientifica moderna con un tira e molla ineguagliato nella storia della fisica e della filosofia naturale: prima Einstein la inserì nelle sue equazioni come costante cosmologica, o Lambda, per controbilanciare la troppa gravità, che avrebbe fatto accartocciare l'universo; in seguito, dopo un lungo letargo avviato proprio dal ripensamento dello stesso Albert, essa venne resuscitata, di nuovo da Lemaître, per far luce su certe osservazioni astronomiche altrimenti inspiegabili. Lo spostamento verso il rosso (redshift) della radiazione luminosa di molti oggetti stellari venne interpretata come una prova del fatto che lo spaziotempo si stesse espandendo costantemente. Ironicamente, persino lo stesso Edwin Hubble, primo osservatore dei redshift, divenne presto uno dei più aspri critici di questa teoria. Ma l'establishment scientifico ormai se n'era appropriato, dato il modo in cui essa esauriva prodigiosamente le conferme sperimentali richieste dall'ipotesi del Big Bang, e corrispondendo mirabilmente con la costante – più interrogativa che risolutiva – creata da Einstein per impedire il collasso del suo palazzo matematico e quindi dell'universo stesso. Tutt'oggi l'espansione rimane un argomento globalmente acclamato ma scientificamente assai controverso.

Alfvén la riteneva una possibile traccia di un'esplosione locale minore, invece che di una collettiva, dovuta all'annichilazione tra i bordi di due bolle di materia (la nostra) e antimateria. Ciò che noi chiamiamo Big Bang non sarebbe altro che una delle tante esplosioni che avvengono ciclicamente nel cosmo. Eric Lerner non si pronunciò altrettanto drasticamente sulla questione, dichiarando che il problema deve considerarsi ancora aperto. Negli anni 2000 però presentò un convegno di ricerca a Monção (Portogallo), intitolato “Cosmologia in crisi”, dove prese in esame l'apparente luminosità superficiale delle più distanti galassie conosciute, che dimostrerebbero la non espansione dell'universo. Le galassie più lontane sono centinaia di volte più luminose di quanto supposto…

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