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USCIRE DALLA CRISI CON UN SALTO EVOLUTIVO

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Mentre la crisi economica miete sempre più vittime e l'intera società occidentale sembra entrare nel suo tramonto, urge la necessità di ripensare la vita come la conosciamo oggi, di uscire dalla gabbia del Mercato che un potere coercitivo esterno ha costruito intorno a noi. La necessità di svelare nuovi mondi possibili, così lontani, eppure anche così vicini.

Dicembre (ma per voi che leggete sarà ormai passato da settimane). Il freddo penetra e allo stesso tempo rinvigorisce, tiene desti il corpo e la mente dall'assopirsi facilmente. La nebbia, fitta, avvolge qualsiasi cosa tenti di mostrarsi al mondo, riducendo ogni persona, oggetto, luogo a mera forma, che può essere scorta solo da vicino. Il procedere, in queste situazioni, è lento, si naviga a vista. Una metafora perfetta della condizione sociale in cui il nostro paese e l'Occidente tutto si ritrovano a vivere.
Infatti, mentre scrivo il mondo circostante sembra sempre più dominato dal caos, reso più manifesto dall'espandersi e dall'acuirsi di  una “crisi” sempre più profonda. Crisi economica, ma anche politica, tanto da rimettere fortemente in discussione la stessa rappresentatività delle nostre Istituzioni. Ma soprattutto una crisi psicologica per moltissimi, la cui vita sembra aver perso un reale significato con l'aggravarsi di una condizione di ristrettezza monetaria generalizzata, che induce sempre più persone a scelte disperate. E mentre il mondo economico mostra così il suo vero volto, anche la natura, con le sue manifestazioni naturali sempre più intense, sembra voler destare l'umanità dal torpore che le impedisce di aprire gli occhi persino di fronte a disastri come quello di Fukushima, che rischia seriamente di compromettere la vita di una parte non irrilevante del nostro pianeta.
L'impressione di chi scrive è però che questo caos emerga dalla rottura di una condizione di ordine soltanto apparente, una quieta disperazione che oggi si mostra per ciò che realmente è, facendo cadere la maschera dell'adesione forzata ad una forma precostituita.

Questa forma precostituita per una parte ormai maggioritaria dell'opinione pubblica del Vecchio Continente può essere rappresentata dall'unione monetaria europea, in cui stati con esigenze diverse convivono forzatamente, accomunati da una sempre maggiore cessione di sovranità politica ed economica verso terzi, che li priva del proprio potere decisionale. Nel precedente numero di PuntoZero, infatti, abbiamo fatto il punto sul progressivo emergere di istanze centrifughe nei confronti di Bruxelles: un comune sentimento anti-euro che serpeggia soprattutto nei paesi dell'Europa meridionale e mediterranea, più colpiti dalle politiche di austerità introdotte dai loro governi, ma che trova anche il sostegno di europeisti convinti come gli autori del Manifesto europeo di solidarietà, che chiedono di abbandonare la moneta unica pur di salvare l'integrazione politica ed il mercato comune europei. L'esatto opposto, quindi, del mantra che chiede di salvare l'euro a tutti i costi.
Mentre sto scrivendo, anche i mezzi di comunicazione di massa sembrano essersi arresi alla necessità di dar voce ai critici dell'integrazione monetaria, uno su tutti il professor Alberto Bagnai dell'università di Pescara, sostenitore del ritorno ad una divisa valutaria nazionale per l'Italia e per gli altri paesi dell'Eurozona. Più cauto Beppe Grillo, nel proporre la divisione dell'Euro in due zone: un Euro A per la Germania e pochi altri paesi che rispondono ai requisiti richiesti dalle attuali politiche di Bruxelles e Francoforte, un Euro B per i paesi mediterranei, insieme a Francia e Slovenia. Nessuna novità, per chi ci legge. Ipotesi, teorie, proposte che si mostrano come tante possibili vie di uscita al famoso tunnel… ma la luce alla fine di questo limbo, che a giorni alterni tutti dicono di vedere, sembra somigliare più alla famosa visione di chi vive esperienze di pre-morte che ad una reale formula convincitoria per chi ascolta. Indirizzare l'attenzione sull'adesione o meno alla moneta unica o su un auspicabile cambiamento di rotta da parte di Bruxelles rischia infatti di far perdere di vista la Luna, fin troppo spesso confusa con il dito che la indica. Per scorgerla, emerge la necessità di nuovi occhi; per descriverla, una nuova semantica.
Dovremmo forse chiederci se non sia necessario guardare verso nuovi orizzonti, di pensare ciò che non è mai stato pensato, di avere il coraggio di scelte di rinnovamento e rottura radicali con il passato. Urge forse il coraggio di guardare oltre la scatola chiusa dell'economia classica, ma anche di non farsi intrappolare in nostalgie fin troppo facili. Il crollo di un Sistema, di un modo di pensare l'economia, il crollo cioè del modello capitalistico, spinge alcuni a rispolverare paradigmi economici del passato, altri a riconsiderare totalmente la propria visione della vita, di ciò che conta davvero. Ecco allora idee nuove venire alla luce, immagini di un futuro diverso proporsi agli occhi dell'opinione pubblica in questo Occidente sempre più periferico rispetto al mondo.

Ha fatto discutere, ad esempio, l'iniziativa sostenuta dal Comitato referendario svizzero per il reddito di base, che il 4 ottobre scorso ha presentato al Parlamento di Berna ben oltre 100 mila firme per consultare i cittadini elvetici in merito all'istituzione di un reddito di base incondizionato (Grundeinkommen). Il referendum, la cui data non è stata ancora fissata, darà agli svizzeri la possibilità di riformare l'articolo 110 della loro Costituzione, che disciplina il diritto al lavoro, nella direzione di questa forma di emancipazione monetaria.
Principale promotore dell'iniziativa è il sociologo Bernard Kundig, che fa parte del Basic Income Earth Network (BIEN), ossia una rete di movimenti, associazioni e persone che lavorano per l'introduzione di forme di reddito minimo garantito o reddito di esistenza in varie nazioni del mondo. Anche se il quesito non specifica le caratteristiche di tale erogazione monetaria e, in caso di sua approvazione popolare, affida al governo e al Parlamento la decisione finale sulle sue forme di finanziamento, le idee di Kundig in merito sono chiare: erogare ad ogni cittadino svizzero maggiorenne un reddito mensile di 2500 franchi (l'equivalente di circa 2000 euro), indipendentemente dalle sue condizioni salariali, reddituali o patrimoniali. Una rendita che si affiancherebbe al salario già percepito, o ne colmerebbe l'assenza in tempi di disoccupazione, garantendo così ad ogni cittadino il diritto alla sopravvivenza, ma anche la possibilità di rivedere la propria attuale posizione lavorativa (senza peraltro l'obbligo di averne alcuna). 

“È l'unico modo per salvare l'umanità dall'agonia del capitalismo, consentendole un atterraggio in dolcezza senza eccessivi traumi”,

sostiene il sociologo svizzero, che propone di sostituire l'attuale “ginepraio” di deduzioni fiscali, sussidi e pensioni con il nuovo reddito di base universale. Una soluzione semplice per mettere al riparo dalla bancarotta ogni essere umano, permettendo allo stesso tempo un notevole snellimento dell'apparato burocratico che sorregge lo Stato Sociale, di cui vi sarebbe sempre meno necessità.

“Con il reddito di base garantito i cittadini sarebbero sollevati dalla necessità di trovare un lavoro, peraltro sempre più raro, ad ogni costo, disponendo della possibilità di scegliere l'attività a loro più congeniale, per contribuire al processo sociale e a porre le basi di una società postindustriale rispettosa della natura”,

spiega Kundig.
Il carattere universale ed incondizionato di questo reddito di cittadinanza lo distingue quindi dal reddito minimo garantito, con il quale viene invece spesso confuso. Quest'ultimo è infatti uno strumento assistenziale erogato a chi non dispone di un salario oppure di un reddito sufficiente ad una vita dignitosa, le cui possibilità di applicazione ed erogazione sono molteplici e in Europa variano da paese a paese. Entrambe le misure vengono generalmente intese come una forma di sostegno economico integrativa al reddito salariale da parte dell'ente statale o di suoi surrogati locali (in Italia la gestione del reddito minimo garantito è stata affidata alle regioni) e si possono generalmente indicare come forme di garanzia di un reddito di base. Proprio per la sua universalità, invece, il reddito di cittadinanza assume anche il nome di reddito di esistenza o reddito di base incondizionato.
Ma la Svizzera non è l'unica nazione in cui trova spazio nel dibattito pubblico una simile idea, così radicalmente altra rispetto all'obbligo di lavorare per vivere che oggi fonda la nostra società (si pensi ad esempio al primo articolo della Costituzione italiana)…

Leggi il resto dell'articolo su PuntoZero nr. 7, in edicola o nel nostro shop!

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