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VELVET UNDERGROUND, OVVERO: NUOVE IPOTESI SUL “MARTIAN BLACK HOLE” di Paolo C. Fienga & Lunexit

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(riesame critico dei frames Mars Reconnaissance Orbiter PSP_003647_1745 e PSP_004847_1745)

Novità su uno dei più recenti “Enigmi Marziani” che abbiamo avuto la fortuna di trattare sulle pagine di NEXUS e di Lunar Explorer Italia (TruePlanets): il Martian Black Hole – come noi stessi lo avevamo definito qualche settimana fa – riappare nell’ultima release dei Public Frames provenienti dalla Sonda NASAMars Reconnaissance Orbiter”, datata 29 Agosto 2007.
Il “Buco Nero” di Marte, individuato nelle prossimità del grande vulcano “Arsia Mons”, sembra infatti aver intenzione di rivelarci una piccola (ma interessantissima) parte dei suoi misteri, lasciando che i raggi del Sole (che, al momento dello scatto, si trovava ad un’altezza di circa 49° sull’Orizzonte Locale) ne illuminassero una porzione del suo interno.

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L’immagine, suggestiva come la prima (e, per certi versi, forse ancora più intrigante), ci aiuta a chiarire che NON si tratta di un lago (né d’acqua “sporca”, né di ghiaccio, né di idrocarburi, come da noi ipotizzato) ma di un vero e proprio “camino”.
Una voragine.
La NASA, da parte sua, parzialmente rivedendo la sua posizione, ci dice che: “…Dark pits on some of the Martian volcanoes have been speculated to be entrances into caves. A previous HiRISE image, looking essentially straight down, saw only darkness in this pit.
This time the pit was imaged from the West.
Since the picture was taken at about 2:30 p.m. Local (Mars) Time, the Sun was also shining from the West.
We can now see the Eastern Wall of the pit catching the sunlight.
This confirms that this pit is essentially a vertical shaft cut through the lava flows on the flank of the volcano. Such pits form on similar volcanoes in Hawaii and are called "pit craters".
They generally do not connect to long open caverns but are the result of deep underground collapse. From the shadow of the rim cast onto the wall of the pit we can calculate that the pit is at least 78 mt (255 feet) deep.
The pit is 150 x 157 meters”.

Tutto chiaro e tutto definito quindi?
Probabilmente no. La spiegazione NASA, infatti, nella sua pur elegante semplicità, chiarezza e razionalità, non pare idonea a dissipare definitivamente tutti i dubbi e le speculazioni che sono sorte (un po’ ovunque nel Mondo) su questo enigmatico rilievo.

Innanzitutto, osservate questa bellissima comparazione tra i due frames Mars Reconnaissance Orbiter (MRO) – operata dal sempre eccellente Dr Gianluigi Barca – e provate ad operare una comparazione analitica tra i diversi rilievi che caratterizzano il bordo (rectius: la porzione più esterna) del “pozzo”.

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Per gli amanti di “Misteri e Complotti”, diciamo subito che, sebbene noi sappiamo benissimo che le due immagini sono state scattate ad altezze (leggermente) diverse (252,5 Km per la prima, in cui il “pozzo” appare completamente – ed innaturalmente – nero, rispetto ai 263,5 Km della seconda); ad orari leggermente diversi (15:27 MLT la prima e 14:34 la seconda) e, infine, con Angoli di Fase differenti (51,7° la prima e 25,5° la seconda – ed a tal proposito ci pare importante ricordare che l’Angolo di Fase è l’angolo definito dal Sole, l’oggetto ripreso – ivi: il rilievo Marziano – e l’oggetto che riprende – ivi: la Sonda MRO), i bordi del “pozzo” NON sembrano coincidere perfettamente.

Per essere più precisi (e quindi lasciando ai Lettori il compito di sovrapporre i due frames e verificare con i loro occhi), molti dei “rilievi sospesi” visibili nel primo frame MRO – i quali ci avevano dato l’impressione/illusione di essere “immersi” in qualcosa – sono stati “smussati” e/o “lavati via”.

Al fine di prevenire qualche critica gratuita ed inutile, Vi diciamo subito che siamo perfettamente consapevoli NON SOLO del fatto che una sovrapposizione assolutamente esatta fra il “pozzo” ripreso nel frame MRO PSP_003647_1745 e lo stesso “pozzo” inquadrato nel frame MRO PSP_004847_1745, stanti le differenze di ripresa sopra evidenziate, NON E’ POSSIBILE effettuarla con la certezza matematica di non produrre deformazioni del rilievo ripreso, MA ANCHE della circostanza per cui il panorama, non essendosi ancora completamente esauriti gli effetti della super-tempesta di sabbia che ha severamente battuto il Pianeta Rosso nell’ultimo mese e mezzo, può effettivamente apparire – a causa dell’alta Opacità Atmosferica (detta anche “Tau” od “A.O.”) – come “piatto” e “smussato”.
Sappiamo, insomma, che qualche differenza tra le due immagini MRO esiste ed è agevolmente spiegabile.

Tuttavia, il nostro Gruppo di Lavoro (assieme a qualche Collega Americano) è possibilista sul fatto che la seconda immagine del “pozzo” ottenuta dall’Orbiter NASA possa essere (stata) viziata.

Molto interessante, poi, ci pare la struttura del “pozzo”, che abbiamo cercato di meglio definire e delineare in questa nostra elaborazione del frame MRO PSP_004847_1745.

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L’ipotesi secondo cui il “pozzo” si apra su una grande caverna sotterranea, tutto sommato (ed anche se alla NASA non sembra piacere più), può comunque essere accettabile, ma l’analisi visiva del frame – una volta operata una serie di stretches e contrasti per evidenziare meglio quelle aree del pozzo che, pur non ricevendo la luce diretta del Sole, comunque posseggono una albedo tale da permettere loro di riflettere una (seppur modestissima) porzione della luce riflessa dalle pareti direttamente illuminate – ci suggeriscono almeno due nuovi scenari.

Uno scenario “plausibile” e “razionale” – che chiameremo Scenario “A” – ed uno scenario “tanto affascinante” quanto “irrazionale ed improbabile” – che chiameremo Scenario “B”.

Scenario “A”: il pozzo si apre effettivamente su un ambiente sotterraneo il quale potrebbe essere sia una (magari gigantesca?) caverna, sia un ambiente di (riteniamo) notevoli dimensioni dal quale transitano o si dipartono “n” gallerie che – ed in questo frangente ci piace provare ad immaginare… – potrebbero sia arrivare a grandi profondità (ad esempio nel loro versante che si rivolge nella direzione del grande Vulcano Arsia Mons) oppure giungere a sbucare all’aperto (abbiamo già notato, in passato, la presenza di non meglio spiegabili fori o apparenti cavità che si aprono, ad esempio, sulle pareti interne di alcuni crateri di dimensioni medio/grandi, oppure sulle pareti di gole e crepacci i quali possono essere situati anche in regioni distanti decine e decine di Km dai camini vulcanici).

Ad ogni modo, noi NON crediamo che il pozzo sia un “pit crater” né un tradizionale “collapse pit”.
Noi riteniamo che l’ambiente sotterraneo situato al di sotto del “pozzo” sia un ambiente “aperto” (ancorché non necessariamente una galleria o una semplice grotta) e di dimensioni medie o medio/grandi.
A tale conclusione preliminare siamo giunti attraverso l’analisi di dettaglio del frame MRO PSP_004847_1745 la quale, sebbene trattasi di mera analisi visuale (e dunque imperfetta per definizione), ci dice che, in primo luogo, le pareti del “pozzo” non seguono la sua “bocca” (o circonferenza superiore), ma appaiono assecondare (almeno parzialmente) un diverso disegno (e quindi escludiamo la subsidenza o collapse pit in senso classico); in secondo luogo, osservando l’immagine in versione iper-contrastata (anche se non serve eccedere in artifici tecnologici per notare il dettaglio che stiamo per descrivere), la parete illuminata dal Sole sembra, ad un certo punto, interrompersi bruscamente, con ciò confortando l’ipotesi originale (sposata anche dalla NASA, almeno sino a poco tempo fa) secondo cui si potrebbe effettivamente trattare di una “parete sospesa” nel vuoto.

Ed il vuoto, in un simile frangente, crediamo non possa essere altro che un ambiente situato ancor più in profondità e, come ovvio, per adesso del tutto invisibile (anche agli splendidi e perfetti occhi dell’Orbiter).
Se la NASA fosse realmente interessata all’investigazione di questo rilievo, noi riteniamo che lo scattare delle fotografie facendo uso di filtri ad infrarossi (e, magari, scattandole durante la notte) potrebbero essere di fondamentale aiuto per comprendere se, dalla voragine, fuoriesce (chissà…) della luce e/o, più verosimilmente, del calore.

Scenario “B”: se c’è una speranza concreta di trovare qualcosa di “vivente” (nel senso squisitamente terrestre del termine) su Marte, allora questa speranza risiede nelle profondità del Pianeta Rosso.
Regioni sotterranee quali caverne – appunto… –, gallerie, anfratti ed autentici cunicoli all’interno dei quali l’atmosfera, oltre che più densa, sarebbe anche e sensibilmente più calda ed accogliente.
Angoli remoti, situati dalle poche decine di metri a qualche chilometro di profondità, nei quali, probabilmente in ben determinati periodi e momenti del lungo Anno Marziano, alcune sorgenti riescono a sciogliersi ed a trasformarsi in serbatoi e, nel contempo, in veicoli per il trasporto e lo sviluppo di forme di Vita Organica.

In realtà, l’idea che nelle profondità di Marte – oltre che in alcune specifiche Regioni superficiali del Pianeta – sia comunque possibile rinvenire (addirittura) dei piccoli fiumi o alcuni laghi – di modeste o modestissime dimensioni – le cui acque restano liquide costantemente o, almeno, per lunghissimi periodi, è un’idea certo non solo nostra e neppure tanto recente.
In effetti si tratta di un’idea (o di una intuizione) che circola negli ambienti Scientifici ed Amatoriali da molto tempo.
Svariati anni, probabilmente (almeno dal periodo del “primo” – e più valido – Richard  Hoagland in avanti, diremmo).

Ma c’è di più.

Se vogliamo fantasticare, infatti, e se volessimo credere davvero che, su Marte, in un’epoca comunque lontanissima dai nostri giorni, effettivamente nacque e si sviluppò una Civiltà Indigena capace di raggiungere un discreto sviluppo culturale e delle significative conoscenze (scientifiche?) dell’ambiente circostante, dove pensate che fosse più probabile – dato che il Pianeta Rosso è INDUBITABILMENTE un mondo meno temperato e conciliante della nostra Terra… – che questa Civiltà avrebbe saggiamente pensato di fissare delle residenze stabili?

In tutte le “aree a cielo aperto”del Pianeta Rosso, forse? Aree che, ovunque situate, risultano sempre e comunque soggette al costante bombardamento dei Raggi Cosmici e delle Radiazioni provenienti dal nostro Sole – per non parlare della costante minaccia costituita dai bolidi e delle (letali) micro-meteore, agevolate nel loro compito distruttivo dalla indiscutibile tenuità dell’Atmosfera Marziana?
O magari ai Poli o nelle aree Presso-Polari, dove potrebbero effettivamente essere disponibili gradi quantitativi di acqua (grazie a laghi e piccoli torrenti, per lo più), ma laddove il lunghissimo ed inclemente Inverno Marziano garantisce solo una costante, incombente e oltremodo gelida semi-oscurità?
O forse nelle grandi Pianure Equatoriali, probabilmente anche a clima temperato nei mesi che vanno dalla tarda Primavera alla tarda Estate, ma che sono purtroppo rese completamente brulle ed inospitali non solo dai violentissimi venti che le spazzano quasi costantemente, ma anche dall’estrema (ed antichissima) secchezza del clima?

Tutte queste ipotesi, sebbene costruite nella e con la Fantasia, ci suggeriscono subito che l’unico ambiente eventualmente idoneo per crearvi un qualcosa che potremmo anche definire come “urbanizzazione”, se guardiamo al Passato (o “colonizzazione”, se invece volete rivolgerVi al Futuro), era (ed è) il sottosuolo di Marte.
E NON parliamo certo di un sottosuolo qualsiasi: stiamo facendo riferimento al sottosuolo delle Regioni più vicine a quelle che erano – e, forse, sono ancora (sebbene entro limiti ridottissimi) – le uniche ed autentiche sorgenti di calore e, quindi, di energia disponibili sul Pianeta.
Regioni inquiete, ma ancora attive.
Regioni “vive”, insomma (e, forse, non solo geologicamente).

Ci stiamo riferendo, come avrete capito, al sottosuolo delle Regioni prossime ai Grandi Vulcani: Tharsis, quindi e su tutte (ma non solo).

E se la voragine che la Sonda MRO sta osservando fosse realmente una “via di accesso” ad un Mondo Sotterraneo ancora (anche se magari solo in parte) vivo e vitale e, in ogni caso, ricco di autentiche ed inimmaginabili “Memorie Storiche e Biologiche ” del Pianeta Rosso?

La Fantasia non conosce limiti: lo sappiamo tutti e lo sappiamo bene, e quindi Vi preghiamo di prendere ed interpretare quello che abbiamo scritto non solo con benevolenza, ma anche con la necessaria e dovuta cautela e spirito critico.
Le ipotesi “di frontiera”, a volte, è bello farle: diciamo che, entro certi limiti, esse sono una “giusta provocazione” ad un Universo (Scientifico e) Divulgativo sovente chiuso, sonnolento ed attitudinalmente – e costituzionalmente, forse – reazionario (diremmo in larghissima misura).

E comunque, se ci permettete di dirlo onestamente prima di chiudere, sognare è necessario, a tutti e per tutti.

Ed è stato proprio un piccolo sogno quello che, questa volta, abbiamo deciso di proporVi, mentre scrutavamo nell’oscurità di una voragine senza nome, aperta su un Mondo che appare (davvero!) senza Tempo.

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