(ref.: sub-frame EDR Opportunity n. 1P241281469ESF8600P2143L5M1)
Come ormai sapete benissimo, esiste una (diremmo fondamentale) corrente di pensiero sulle “Sferule Marziane” (note anche come “Martian Berries” o, più comunemente, “Frutti di Bosco” Marziani) la quale ritiene che queste Sferule possano costituire un TASSELLO FONDAMENTALE nella e per la comprensione di quello che non è solo il passato, ma anche E SOPRATTUTTO il presente ed il futuro del Pianeta Rosso.
Sulla classificazione da noi adottata (in termini esteriori ed in termini di “Matrice”) per le sopramenzionate Sferule, Vi rimandiamo alle Conclusioni Interlocutorie e Preliminari di questo articolo; per il momento e per incominciare, invece, vorremmo condividere con Voi un’idea (se buona o cattiva sarà poi il Futuro a deciderlo…) che, in cantiere già da qualche tempo, si è in un certo senso “rinnovata e rivelata da sé” in questo (apparentemente insignificante) EDR sub-frame Opportunity il quale, probabilmente, è stato ignorato e/o bistrattato dalla maggior parte dei Ricercatori Indipendenti (quest’ultimo fatto lo abbiamo dedotto dalla circostanza per cui NESSUNO, ad oggi, ha speso una parola su ciò che il sub-frame in oggetto sembra mostrare in una maniera così chiara da lasciarci – quasi… – senza parole…).
Ok, stiamo scherzando: in effetti le parole le abbiamo (ed anche tante…), come avrete modo di leggere…
Ma andiamo per ordine: che cosa ci mostra il sub-frame 1P241281469ESF8600P2143L5M1 nella sua versione “raw” ed originale?
Apparentemente, nulla.
O meglio: nulla di particolarmente interessante.
Alcuni semi-interrati, altri totalmente emersi e “liberi” di rotolare sulla ruvida superficie che caratterizza i dintorni del Cratere Victoria; alcuni perfettamente (o quasi) rotondi, altri sfaccettati (diremmo con forme poligonali); alcuni integri, altri…rotti.
La Verità è che, nella versione “raw & black&white” del sub-frame NASA originale, una grande quantità di dettagli si “perde” non solo nella povertà di definizione dell’immagine, ma anche nel particolare effetto che, sull’occhio umano, viene prodotto da un “quadro globale” che non solo è in bianco e nero e scarsamente definito, ma anche contrastato in maniera davvero molto povera.
E allora noi, con pazienza, abbiamo cercato di provvedere…
Qualche Lettore, forse – ed in parte – con ragione, ci ha detto che le nostre elaborazioni (che chiamiamo “additional processing”) e relative colorizzazioni “alterano” la realtà. La “deformano”.
Noi, in termini di principio, siamo d’accordo con il nostro Lettore (ed infatti, tra le nostre scelte originali, vi fu anche quella di non “ritoccare” le immagini – scelta che abbiamo rigorosamente rispettato per oltre due anni di lavoro); tuttavia, con il tempo, abbiamo anche compreso che la vera DEFORMAZIONE che bisogna assolutamente combattere NON E’ nella deformazione dell’immagine elaborata “poiché – appunto – elaborata” quanto, piuttosto, nella MANIPOLAZIONE e susseguente DISTORSIONE e DEFORMAZIONE delle informazioni relative all’immagine elaborata che vengono in seguito divulgate.
Ci spieghiamo meglio: una cosa è ritoccare un’immagine al fine di renderla PIU’ IDONEA a dimostrare un qualcosa che chi elabora e ritocca aveva già in mente di dimostrare (e questo è un INGANNO vero e proprio: si veda, ad esempio, il lavoro svolto da innumerevoli Ricercatori, Italiani e non, sui frames NASA ed ESA relativi alla “Sfinge di Cydonia” ed a qualche altro rilievo marziano bizzarro), ed un’altra cosa è invece processare l’immagine SENZA IDEE PRECONCETTE DA SOSTANZIARE attraverso il processing, ma avendo quale obbiettivo unico il fatto di rendere l’immagine più chiara e più fruibile a e per coloro che dovranno interpretarla.
Coloro che dovranno, rigorosamente post–elaborazione, cercare di ricavare/evincere, da essa, dati ed elementi che la sua versione “raw” (e cioè “cruda”, “ruvida”, “grezza”) non avrebbe mai permesso di vedere, di intuire o, infine (e magari), di comprendere.
Insomma: processare un frame (con ciò intendendosi lo svolgimento di attività quali la pulizia digitale; l’aumento e/o la diminuzione dei contrasti; l’ingrandimento o la riduzione dell’original size; la colorizzazione etc.) avendo già un’idea in mente la cui dimostrazione è soggetta ad un “adeguato” processing nel senso anzidetto, è un inganno; processare un frame a fini meramente migliorativi della sua qualità intrinseca e poi, SOLO post-raffinazione, interpretare quello che si riesce a vedere, è un Lavoro.
Noi abbiamo operato tenendo bene in mente la seconda opzione.
Osservate attentamente l’immagine e, in particolare, guardate i dettagli indicati dalle frecce rosse e denominati “A”, “B”, “C” e “D”.
Si tratta effettivamente di “Frutti di Bosco” Marziani? Se la Vostra risposta fosse “SI”, allora cominciate a pensare che ci troveremmo davanti ad uno nuovo Genere di Martian Berries.
Perché? Perché i Martian Berries – quali che sìano le loro caratteristiche peculiari (dalla forma alla presenza o meno di uno “stelo”; dal fatto di essere interrati, semi-interrati o “saldati” alle rocce oppure all’essere totalmente liberi etc.), condividono SEMPRE la Natura (anche cromatica) dell’ambiente che li circonda e/o al quale essi accedono e cioè: i Martian Berries “tipici” sono – in primo luogo – OPACHI e poi, di regola ed in secondo luogo, presentano una colorazione che va dal giallo/arancio al verde/marrone scuro (talvolta con riflessi giallastri).
Detto questo, sottolineiamo che i quattro Martian Berries isolati nel sub-frame NASA che stiamo trattando, NON SOLO NON SONO OPACHI (anzi: brillano come cristalli o, più precisamente, come perle esposte alla luce diretta del Sole!), MA INOLTRE mostrano una colorazione TOTALMENTE DIVERSA da quella che è la dominante dell’ambiente al quale essi accedono.
Nel caso di specie essi appaiono TRASPARENTI e/o, se non trasparenti o quasi, diremmo di color bianco-brillante. Un colore decisamente contrastante in rapporto al terreno marrone/rossastro, con riflessi (determinati probabilmente da sabbie e polveri sottili) color arancio e giallo che li circonda e contiene.
Ma non è tutto.
Se il Martian Berry individuato dalla lettera “D” sembra, colore ed albedo a parte, un Frutto di Bosco (Marziano, ovviamente) in tutto e per tutto simile alle altre migliaia di Frutti di Bosco che lo circondano, altrettanto non si può dire per i Berries identificati dalle lettere “A”, “B” e “C”.
In particolare: il berry identificato dalla lettera “A” è una “shell” (o porzione esteriore, guscio, simil-conchiglia etc.) di qualcosa che, forse, un tempo era un Martian Berry a tutti gli effetti.
Tale conclusione la traiamo dall’analisi attuata mediante extra-magnification del dettaglio (anche non processato né colorizzato) il quale mostra una forma nettamente concava, ed un’ombra – nella sua porzione interna, andante da ore 07:00 ad ore 02:00 – che è del tutto coerente rispetto alla posizione delle altre ombre (cosiddette “dominanti” e che ci indicano la provenienza della sorgente di luce maggiore – ivi: il Sole) presenti e visibili nel frame.
Il berry identificato dalla lettera “B” ha una superficie convessa e, se si tratta di un guscio o di una simil-conchiglia, allora si trova in posizione capovolta rispetto alla shell di cui sub. “A”. Tale conclusione è determinata, sommariamente, dalla valutazione circa la posizione dell’ombra che si proietta sulla sua superficie (in rapporto alle altre ombre dominanti del frame) e che è visibile da ore 07:00 ad ore 01:00).
Il berry identificato dalla lettera “C”, infine, potrebbe essere una shell concava e di forma ellissoidale in tutto e per tutto simile al berry di cui sub “A” (ipotesi più razionale) oppure, in accordo a quanto suggeritoci – forse provocatoriamente – da alcuni Colleghi del nostro Gruppo di Lavoro, potrebbe anche trattarsi di una “goccia d’acqua” o di un piccolo cristallo trasparente (quarzo?).
In entrambe queste due ultime ipotesi, non è difficile notare che il berry “C” POGGIA su altri berries di color marroncino chiaro, uno dei quali appare ben visibile sul lato Sx del berry “C” stesso.
Conclusioni Interlocutorie e Preliminari
I “Frutti di Bosco” Marziani potrebbero non essere affatto i sottoprodotti di un’intensa (e remota) attività vulcanica globale – ossìa un’attività vulcanica che coinvolse il Pianeta Rosso nella sua interezza, ere ed ere or sono – bensì essi potrebbero essere l’evidenza oggettiva di un processo geologico (e/o biologico) il quale è ancora in corso.
I “Frutti di Bosco” Marziani, alla luce delle informazioni che, ad oggi, abbiamo raccolto ed analizzato, NON SONO AFFATTO TUTTI UGUALI né in termini di semplice forma esteriore, né – molto probabilmente – in termini di “sostanza” vera e propria.
Per Vostra opportuna informazione e conoscenza, Vi rammentiamo la nostra Classificazione dei Martian Berries, sia per quanto attiene la loro “Apparenza” (o “Forma Esteriore”), sia per quanto concerne la loro possibile “sostanza” (o “Matrice”):
Classificazione per “Apparenza” (o Forma Esteriore)
1) sferule “libere” (giacciono semplicemente appoggiate al suolo o ad altri rilievi);
2) sferule “vincolate” (costituiscono parte integrante del suolo o di rocce, quali i Pavimenti Marziani);
3) sferule “vincolate con peduncolo” (sono attaccate al suolo o alle rocce tramite una specie di gambo o bastoncello).
4) granuli: leggermente diversi dalle sferule, sono molto più compatti, giacciono – spesso – “accatastati” gli uni sugli altri ed hanno forme e dimensioni variabili.
Classificazione per “Sostanza” (o Matrice)
1) sferule a Matrice Comune o Rocciosa;
2) sferule a Matrice Cristallina;
3) sferule a Matrice Metallica;
4) sferule a Matrice Organica (o, meglio, Bio-Magnetica).
Sulla Classificazione per Matrice, ci riserviamo di tornare a parlarne in un prossimo futuro; per quanto attiene, invece, la classificazione per “Forma Esteriore”, non ci sembra da potersi radicalmente ed immediatamente escludere l’ipotesi per cui le DIVERSE FORME dei Martian Berries derivino – semplicemente – dal fatto che i Berries ripresi si trovano in DIVERSE “FASI EVOLUTIVE”.
Qualche Ipotesi ed un pizzico di Science-Fiction
A prescindersi dalla Matrice delle Sferule, se i Martian Berries fossero realmente dei “gusci” (e/o delle “simil-conchiglie”) di un qualche tipo, la domanda che nascerebbe obbligatoriamente potrebbe essere una sola: che cosa c’è DENTRO queste Sferule?
Ebbene, anche se ci rendiamo perfettamente conto di quanto questa ipotesi possa risultare “esotica” (e sappiamo benissimo che molti Scienziati e Ricercatori la troveranno “totalmente assurda”), noi riteniamo che i Martian Berries possano contenere solo due cose:
1) Acqua
2) Gas
Tale congettura/ipotesi è determinata dal fatto che la (quantomeno) apparente umidità che caratterizza il “deserto” di Meridiani Planum potrebbe essere spiegata – ovviamente ammettendo che si tratti di umidità effettiva – solo ipotizzando un processo di umidificazione costante del suolo il quale sia TOTALMENTE DECORRELATO rispetto al verificarsi di “precipitazioni” (di pioggia, insomma).
Inoltre, la apparente (o forse sostanziale, così come asserivano – già vent’anni fa – alcuni Ricercatori NASA dedicati al Programma Viking e così come ritengono tanti altri Privati Ricercatori oggi – tra cui non possiamo non menzionare il bravissimo Dr Alessio Feltri) maggiore “vivibilità termica” dell’Atmosfera Marziana all’interno di un modestissimo range compreso fra il Datum (o Altitudine Zero) ed i pochi metri (o poche decine di metri) di altezza dal suolo la si può spiegare solo immaginando (o meglio: postulando) una maggiore “Densità Atmosferica” la quale sia effettiva (ed operativa) in un altrettanto modestissimo ambito: l’ambito definito dal range di cui sopra e cioè, lo ribadiamo, quello andante dal Datum ai pochi metri (o poche decine di metri) di altezza.
E perché questo (curiosissimo, ma certo NON IMPOSSIBILE) fenomeno dovrebbe verificarsi? Ebbene la risposta è – potrebbe essere – proprio nei Martian Berries.
Può essere che sia grazie alla loro COSTANTE ed INSTANCABILE attività di estrazione, produzione e liberazione di acqua ed altri gas esistenti nelle profondità del Pianeta che l’atmosfera di Marte verrebbe costantemente (ancorché assai limitatamente, in termini di mero spessore) arricchita e resa più densa.
Pensate: esistono innumerevoli Forme di Vita – Esseri Umani a parte – le quali sono capaci di acquisire, trasformare e quindi liberare (in varie forme ed in vari modi, ma sempre e solo agendo attraverso la loro biologia) gli elementi presenti nel suolo terrestre (dalla mera superficie e sino a varie profondità).
Perché escludere “a priori” che un processo simile (se non altro concettualmente) possa avvenire anche su Marte?
Chi dice che la Terra ha “l’esclusiva” della “Vita”?
E poi, se è vero (come lo è) che le Grandi Foreste – che, da tempo, stiamo attivamente distruggendo – sono il “Polmone della Terra”, perché non provare ad immaginare che il “Polmone di Marte” sia costituito dai suoi Grandi Deserti (ovviamente allorché ricchissimi di questi “Frutti di Bosco”)?
Perché la “Diversità” (anche allorché la si esprime ragionando su scale diverse – addirittura, come in questo caso, a livello Planetario) deve essere sempre o quasi aprioristicamente rigettata?
Perché non riusciamo a capire che è proprio attraverso quella che – talvolta – viene bollata come “Fantascienza da Serie B” o “Fantasia Sfrenata” che, di quando in quando – magari molto raramente, certo – si riescono a trovare intuizioni, idee, ipotesi esplicative e poi delle bozze di risposte le quali, nel Tempo e con il Tempo, possono aiutare a raggiungere e definire quel concetto che dovrebbe (almeno in teoria) piacere a tutti e che si chiama “Verità”?
O forse la Verità è tale ed è “degna” solo quando ci arriva da una Cattedra Universitaria o da un Simposio di Scienziati?
O forse la Verità è Verità solo quando non va a toccare tutto ciò che è – ormai – “acquisito e consolidato”?
Beh, se così fosse, allora non avremmo mai inventato il telefono, la radio, gli aerei, le astronavi (e, purtroppo, anche le bombe e tutte le altre armi – da quelle chimiche a quelle batteriologiche – che, se messe in mani sbagliate, potrebbero cancellare il nostro Pianeta in pochi minuti).
Attenzione: la Scienza procede per gradi, razionalmente e (perdonateci il neologismo) esperienzialmente.
E’ vero, lo sappiamo e ce ne rendiamo conto benissimo.
Ma sappiamo pure che, senza la capacità di “immaginare” (dopo aver guardato, studiato, dedotto ed interpretato), la Scienza stessa non esisterebbe o, se esistesse – in qualche modo – resterebbe ferma.
Immobile.
Inutile.
Pensiamoci sopra…