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Virtual Reality: il delitto perfetto?

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In questo consiste l’apprendimento creativo e costruttivo del bambino: una esplorazione cosmopoietica dell’ambiente che è possibile solo mediante uno sforzo personale – individuale. In questo, direbbe Mircea Eliade, sta la sacralità dell’esperienza umana. L’intima convinzione che il valore dell’esperienza comune a tutti, quell’esperienza sensoriale fatta da bambino, è fondamentale per la capacità di creare e di evolvere creativamente e immaginativamente. Ma, all’interno della nostra cultura è in atto un potente processo di massificazione, di omologazione, di omogeneizzazione mosso dall’orrore verso ogni possibile trasformazione, ogni dimensione auto-poietica, auto-creatrice dell’esperienza. Ecco il grandioso impegno a combattere tutto ciò che si presume possa minacciare l’uomo, ovvero l’impegno a conservare lo “status quo”… Utilizzando il pensiero e l'opera di Jean Baudrillard (Il Delitto Perfetto) si possono condividere le seguenti affermazioni:
––
Non ci sono più gli altri: la comunicazione unica-condivisa delle diverse emittenti,
––
Non vi sono più nemici: la negoziazione,
––
Non vi sono più predatori: la convivialità,
––
Non vi sono più frustrazioni: la nutella,
––
Non vi è più la negatività: il pensiero positivo,
––
Non vi è più il dolore: l’anestesia totale,
––
Non vi è più la morte: l’immortalità del clone.
––
Togliendo tutto ciò che minaccia il soggetto, lo stiamo mettendo nella condizione di perdere tutte le sue difese: un sistema immunitario senza più difese che può soccombere alla presenza di un unico virus.
Col virtuale entriamo, quindi, nell’era della liquidazione del reale (e dei suoi pericoli) e in quella dello sterminio dell’altro, una sorta di pulizia etnica dell’alterità.
Così, il delitto è perfetto

Correlato all'articolo: A.I.: IL FUTURO APPARTIENE ALLE MACCHINE? 

pubblicato su Nexus New Times nr. 140

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Il presente articolo continua su PuntoZero #11 

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