Quali sono le basi legali del Territorio libero di Trieste? La domanda è sufficiente per un’intera intervista.
Intervista di Federico Grando a Loris Bortuna del direttivo CLPT (Coordinamento Lavoratori Portuali di Trieste, USB)
1- la XVI risoluzione ONU del 10 gennaio 1947, che stabilisce l'esistenza del Territorio Libero di Trieste, lo statuto provvisorio, quello permanente del TLT e l'esistenza del Porto Internazionale di Trieste.
2 – Il Trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947 che all'art. 21 recita:
“È costituito in forza del presente Trattato il Territorio Libero di Trieste, consistente dell'area che giace fra il mare Adriatico ed i confini definiti negli articoli 4 e 22 del presente Trattato. Il Territorio Libero di Trieste è riconosciuto dalle Potenze Alleate ed Associate e dall'Italia, le quali convengono, che la sua integrità e indipendenza saranno assicurate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La sovranità italiana sulla zona costituente il Territorio Libero di Trieste, così come esso è sopra definito, cesserà con l'entrata in vigore del presente Trattato.”
2b – Gli allegati al Trattato di pace per il Territorio Libero di Trieste, in particolare gli allegati VI, VII,VIII, IX e X. Attualmente riveste particolare importanza l'all. VIII, ma di questo parleremo più avanti.
3 – Il Trattato di pace è recepito nella legislazione italiana tramite il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato legge 1430 – “Esecuzione del Trattato di pace fra l'Italia e le Potenze Alleate ed Associate, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947.” Il TdP è stato ratificato dall'Italia con la Legge 3054 del 25 novembre 1952, e tutte le leggi per Trieste che ne derivano sono oggi considerate vigenti dallo Stato italiano. Vigenti ma inapplicate.
4 – Il Memorandum di Londra del 5 ottobre 1954. Il MoU (Memorandum of Understanding) non fu altro che un gentlemen's agreement, che aveva bensì piena validità per le due parti che lo contrassero, ma che non poteva rappresentare alcun valore giuridico nei riguardi di terzi, neanche a patto che questi dichiarassero esplicitamente di riconoscerlo. C’era stato, infatti, un Trattato di pace, che non era decaduto e che non poteva essere esplicitamente sostituito da un accomodamento fra le due parti in causa. L’Accordo di Londra aveva avuto come scopo una sistemazione pratica della questione di Trieste, fra due Stati che, a nove anni dalla fine della guerra, si sentivano stanchi di litigare continuamente, e di impegnare in questo litigio multiformi risorse che, invece, avrebbero potuto essere dirette a scopi migliori.
Dicendo sistemazione pratica, si parla di una cosa reale, dal momento che il termine è contenuto tale e quale già nell’articolo 1 del Memorandum d’intesa, nel punto in cui esso si riferisce alle misure precisamente di carattere pratico – che venivano di comune accordo decise ed accettate. L’articolo, che rappresenta una specie di premessa all’accordo globale, considerava come implicito che le clausole del Trattato di pace che disponevano la prevista costituzione del Territorio Libero di Trieste non si erano potute attuare; nei nove anni trascorsi dalla fine della guerra (1943) fino al momento della stipulazione del Memorandum (1954), il territorio conteso era stato amministrato da Forze militari di occupazione: anglo-americane nella Zona A e jugoslave nella Zona B; Il Memorandum doveva esser interpretato unicamente alla stregua di un accordo sulle misure di carattere pratico che le parti contraenti, a partire da quella data, avrebbero adottato.
È ovvio che sulle predette misure dovevano essere d’accordo non solo l’Italia e la Jugoslavia, ma anche e in primo luogo la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, dato che l’articolo 2 del Memorandum dichiarava decaduti i Governi Militari esercitati dalle Forze d’occupazione e destinava a sostituirli l’amministrazione civile italiana nella Zona A e l’amministrazione civile jugoslava nella Zona B.
Considerando il fine che il Memorandum si proponeva di raggiungere, i beneplaciti dell’Unione Sovietica e della Francia non erano indispensabili, perché anche senza il consenso dei due Stati, l’Accordo di Londra poteva divenire operante; ma anche se i due Stati avessero dato subito la loro approvazione, il Trattato di pace sarebbe continuato a restare valido in ogni suo punto, compreso quello che disponeva la costituzione del Territorio Libero di Trieste.* [* Fonte: Centro Militare Studi Strategici, Diego Gon – luglio 2004]
5 – Il trattato bilaterale di Osimo del 10 novembre del 1975. L’importanza di questo Trattato risiede principalmente nell’effetto che esso doveva produrre, almeno nell’intenzione delle parti direttamente coinvolte, e cioè quello di rendere definitivo l’assetto territoriale provvisorio venutosi a delineare negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale e, più precisamente, come eredità del Memorandum di Londra del 1954. Con gli accordi di Osimo si decideva, in sostanza, di assegnare in via definitiva le aree comprese nell’ex Zona A all’Italia e quelle dell’ex Zona B all’ex Jugoslavia. Osimo è, in ogni caso, solo un accordo bilaterale italo – jugoslavo, neppure fatto ratificare all'ONU dall'ex Jugoslavia, che in nessun modo può “sovrapporsi” a quanto stabilito dal trattato di pace del 1947. Osimo, inoltre, non viene neppure menzionato sul rapporto “treaties in force” del Dipartimento di Stato USA del 2013, mentre rimane in elenco il Memorandum di Londra, quello che conferisce a Italia ed ex Jugoslavia solo l'amministrazione civile delle due rispettive parti di ex competenza del Territorio Libero di Trieste.
A conferma dell'esistenza de facto del Territorio Libero di Trieste, l'8 agosto 2012 si è espressa la Commissione Europea di Giustizia affermando che “lo status giuridico di Trieste non rientra nel campo d'applicazione dell'Unione Europea”.
Che potenzialità può avere un territorio di questo genere sia dal punto di vista economico/commerciale che quello strutturale e politico?
Per parlare di economia e commercio di Trieste bisogna prima analizzare sia la posizione geografica che quella fiscale, le quali renderanno subito chiare le potenzialità del territorio.
Bisogna vedere Trieste in un contesto geografico globale, che non sia solo quello italiano, né tantomeno quello europeo, ma dobbiamo visualizzarla nel contesto dell’intero pianeta.
Mi spiego meglio: se prendiamo la cartina geografica del planisfero e guardiamo la posizione di Trieste, ci accorgiamo subito che si trova esattamente al centro delle terre emerse considerando l’asse est-ovest e al centro dei mari se consideriamo i confini marittimi di Gibilterra e Suez che a loro volta sono equidistanti da Trieste.
Stabiliti questi confini e questa centralità globale, analizziamo il retroterra che troviamo alle spalle della città: se noi puntiamo su Trieste un compasso che abbia un’apertura di 800 km e tracciamo un cerchio, vediamo ricadere al suo interno tutti gli stati europei (europa intesa geograficamente e non politicamente) che non sono bagnati da un mare.
Direi che le peculiarità geografiche abbinate a fondali superiori ai 18 mt, i maggiori di tutta l’Europa, (la portacontainer più grande al mondo attualmente pesca 16,5 mt) e lo status di Porto Franco Internazionale, dovrebbero fare di Trieste una meta strategicamente imbattibile ed ambita dagli imprenditori che lavorano prevalentemente estero su estero, importando materie prime che una volta lavorate, in regime fiscale di porto franco, rispedirebbero in tutto il mondo a prezzi concorrenziali, e nel contempo l’insediamento di queste attività andrebbero ad azzerare la disoccupazione locale.
La struttura della città, che sarebbe meglio definire una città-porto, trarrebbe un diretto beneficio dal rifiorire del suo porto, perché quest’ultimo con le premesse sopra, azzerando la disoccupazione locale, apporterebbe anche alle casse locali infinite risorse che permetterebbero lo sviluppo di un welfare invidiabile, andando a semplificare “la vita” all’amministrazione politica, purché sia essa sana e incorruttibile.
Diciamocelo, con le casse piene dovrebbe essere piuttosto facile governare un territorio di “piccole” dimensioni offrendo anche gratuitamente, alla popolazione che lo abita, dei servizi sociali di prim’ordine, sia che si parli di servizio sanitario che di pubblica istruzione, senza parlare della diminuzione della criminalità che tende ad essere molto bassa in territori economicamente stabili.
Che diritti hanno i triestini e quali diritti gli sono stati tolti? Perché si parla di diritto di cittadinanza per Trieste?
Per “triestini” intendiamo tutti coloro i quali possono rivendicare il diritto di poter usufruire nuovamente delle zone di libero scambio del territorio di Trieste e del suo porto internazionale. In primis gli imprenditori ed i lavoratori provenienti dall'arco dei Paesi del bacino balcanico/danubiano, ma non solo. Trieste, ricollocata nella sua naturale posizione eurocentrica, non può essere nient'altro che una florida free zone internazionale per il vecchio continente, così come lo sono Singapore, Dubai ed Hong Kong per l'Asia.
Prima di affrontare ogni altro aspetto, si tratta di correggere adesso una forzatura geopolitica. C'è sempre stato un confine fra Trieste e Venezia, il che non significa ripristinare una barriera fisica, ci mancherebbe. Il porto di Venezia serve il Veneto e la Lombardia, Trieste con i suoi punti franchi è funzionale per il centro Europa. Trieste adesso è nelle mani sbagliate.
Dal 18 marzo 1719, quando Carlo VI d'Asburgo istituì il regime del Porto franco di Trieste, fino al 20 marzo del 1921, data in cui l'Italia s'impadronì ufficialmente dello stesso senza sapere di cosa si trattasse, per chicchessia, proveniente dalla Grecia, dalla Transilvania o dalla Moravia, venire a lavorare a Trieste era come per la maggior parte dei tanti basso salariati o disoccupati attuali recarsi a lavorare – oggi – in Svizzera.
I triestini come sopra intesi, quindi, nel 2015, sono pienamente legittimati a pretendere il diritto di veder riconosciuto de facto il loro Territorio Internazionale (il contrario di una “piccola patria” intesa come stato/nazione.) Inoltre i triestini hanno il diritto di non aver nulla a che fare con il debito pubblico italiano, così come previsto dall'art. 5 del X allegato al trattato di pace. Equitalia a Trieste non può agire, per intenderci.
Trieste è una città straordinaria, nel senso del termine “extra – ordinaria” e va amministrata con leggi e da persone straordinarie. Le leggi ci sono già tutte, vanno “solo” applicate. Per gli amministratori le cose si fanno più difficili. Non a caso il trattato di pace impone, per il territorio di Trieste e per il suo porto internazionale, un governatore ed un direttore “né italiano né jugoslavo.”
I triestini, italiani e sloveni, per cominciare, hanno oggi il diritto di poter vivere dignitosamente in questo loro lembo estremo della mitteleuropa sull'Adriatico nord-orientale, dotato per natura dei fondali più profondi del Mediterraneo in una zona portuale, fondali di 18 metri che consentono a qualsiasi nave oceanica porta-container di attraccarvi. Fondali più profondi di quelli di Genova. Abissi in confronto alle sabbie mobili sterminate di Monfalcone, San Giorgio di Nogaro e Venezia, porti che la terza generazione di gang di politici italiani inetti vorrebbero contrapporre allo scalo ed ai punti franchi triestini, proprio allo scopo di annichilirne definitivamente l'internazionalità e la vocazione commerciale.
In seguito alla prima “liberazione” di Trieste del 1918, 30.000 triestini, nella maggior parte germanofoni, furono costretti ad andarsene. Dopo la seconda “liberazione” italiana dell'autunno 1954, altri 22.000 dovettero per forza di cose salire sulle navi dirette in Australia. Si trattava in gran parte di personale qualificato trovatosi di colpo disoccupato, in seguito alla dipartita del Governo Militare Alleato e delle strutture governative anglo/americane. Trieste, fra il 1945 ed il 1954, raggiunse nuovamente i vertici occupazionali e i volumi di scalo merci destinate al centro Europa degli anni d'oro dell'impero austro-ungarico.
Oggi se ne vanno da Trieste 3.000 giovani all'anno: la drammaticità dell'esodo non è visibile solo perché se ne vanno con i voli low-cost, anziché assiepati sui transatlantici-carretta della seconda metà degli anni '50.
Va sottolineato che determinati ambienti della magistratura italiana, perseguono con particolare accanimento chi sta – oggi – protestando per denunciare questa violazione del Diritto. Così facendo dimostrano solo la loro incapacità di comprenderci e di amministrarci. Come sempre.
“Non si può ignorare che pressioni perché se ne andassero più triestini possibile ci sono state, per questi motivi sono venute fuori le ordinanze, i provvedimenti, gli inviti, di quegli anni. E sono state pressioni forti, si voleva che una parte dei dipendenti del GMA, in particolare, di triestini in generale, non orientati politicamente pro Italia, sgomberassero. Questa è la verità. Non possiamo fare storia se non diciamo che questa è una parte della verità circa le ragioni per cui c'è stato quell'esodo, altrimenti ci raccontiamo balle.”
(Claudio Tonel – esponente del PCI triestino)
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