Roma, 10 mar – Si facevano chiamare “liberatori”. Un nome beffardo che molti tedeschi dovettero ben presto sperimentare sulla loro pelle. Soprattutto le donne, che subirono le più terribili angherie da parte degli eserciti di occupazione. In Germania, del resto, non è ormai più un mistero che i soldati dell’Armata Rossa abbiano compiuto i più efferati stupri di massa.
Se ne parla mal volentieri, ma è da tempo cosa nota a tutti. Ma, beninteso, se ne parla mal volentieri non perché quegli eventi possono riaprire vecchie ferite mai rimarginate, ma perché la Germania postbellica, umiliata e “rieducata”, prova sempre un enorme imbarazzo, se non proprio fastidio, a definire “vittime” i propri connazionali che persero la vita o furono maltrattati nel modo più cruento durante la seconda guerra mondiale. Perché, alla fin fine, erano tutti “nazi” e quindi, in fondo in fondo, se lo sono meritato.
Ma se dal 1989 si è potuto cominciare a parlare delle violenze delle truppe sovietiche, il comportamento degli Alleati occidentali è invece rimasto finora un tabù. I quadretti agiografici, anzi, continuano a raffigurare i “buoni” americani intenti a portare alle donne tedesche fiori e cioccolata.
A scoperchiare il vaso di Pandora è stata recentemente la storica Miriam Gebhardt, che ha dato alle stampe il volume Quando arrivarono i soldati. Gli stupri delle donne tedesche alla fine della seconda guerra mondiale (DVA 2015, pp. 352). Attraverso lo studio di nuove fonti rese disponibili agli specialisti, la Gebhardt ha infatti potuto tracciare una mappa degli stupri e delle violenze sessuali perpetrate da americani, francesi e britannici ai danni delle donne tedesche.
Lo studio è certamente pionieristico e ancora molto resta da scoprire, ma le cifre sono già terribili. Si parla, cioè, di circa 190 mila stupri finora accertati, che spesso hanno riguardato anche bambine, ragazze vergini e donne attempate. In quest’orgia di sangue e violenza, non sono stati risparmiati neanche ragazzi e uomini adulti.
Le modalità dello stupro, inoltre, sono simili a quelle sperimentate sul fronte orientale: soldati in stato di ebbrezza, sevizie, torture e, non di rado, stupri di massa con donne che furono violentate a turno anche da decine di militari. Dalle ricerche della Gebhardt è peraltro emerso che i soldati di colore (afro-americani o truppe coloniali francesi e britanniche) furono tra i più attivi protagonisti delle violenze, rappresentando anzi in maniera sproporzionata la maggior parte degli attentatori.
Al di là delle varie letture ideologiche o delle interpretazioni di comodo, quel che è certo è che, per le donne tedesche, anche l’avanzata degli Alleati sul fronte occidentale rappresentò tutto tranne che una “liberazione”. E che la tanto decantata superiorità morale degli Alleati nei confronti della “bestia germanica” dovrà essere il prima possibile derubricata a semplice leggenda e a mera propaganda di guerra.
Fonte: ilprimatonazionale.it [fonte immagine di apertura: Bild]