Recenti studi mettono in luce una preoccupante contaminazione da acido trifluoroacetico (TFA), un composto organofluorurato persistente, nel vino europeo e nelle acque potabili italiane. Il TFA si forma attraverso la degradazione atmosferica di refrigeranti a base di idrofluorocarburi o quella ambientale di pesticidi contenenti PFAS. Una volta generato, può ricadere al suolo con la pioggia o accumularsi nel terreno e nelle acque, contaminando coltivazioni e altre fonti alimentari.
Una ricerca condotta dalla Pesticide Action Network (PAN) Europe ha analizzato 49 vini provenienti da 10 paesi, Italia inclusa: 10 vini prodotti prima del 1988 e 39 vini più recenti. Mentre nei vini più vecchi non è stata riscontrata alcuna traccia di TFA, i vini recenti sono contaminati, con una concentrazione circa 100 volte superiore ai livelli medi precedentemente misurati nelle acque superficiali e potabili (già elevati).
I tre vini italiani analizzati nello studio, provenienti da Veneto, Trentino e Toscana (prodotti tra il 2022 e il 2024), confermano la presenza di contaminazione da TFA. Anche 4 su 5 vini biologici analizzati presentavano contaminazione da TFA, sebbene privi di residui di pesticidi rilevabili. Il 94% dei vini prodotti con metodi convenzionali conteneva residui di 8 pesticidi e metaboliti, con un totale di 18 pesticidi diversi riscontrati in tutti i campioni, inclusi due fungicidi PFAS, fluopyram e fluopicolide.
Questa elevata concentrazione di TFA, secondo gli esperti, indica un massiccio bioaccumulo nelle piante, suggerendo un’ingestione di TFA significativamente maggiore di quella precedentemente ipotizzata.
La fonte principale di contaminazione da TFA, secondo uno studio dell’Agenzia tedesca per l’ambiente, sembrerebbe essere l’impiego di pesticidi in agricoltura (76%), seguito dalle precipitazioni (da gas fluorurati usati nei sistemi di raffreddamento) e dagli impianti di trattamento delle acque reflue e dal letame. Helmut Burtscher-Schaden, chimico ambientale della GLOBAL 2000, sottolinea l’allarmante aumento della contaminazione dal 2010, attribuibile, direttamente o indirettamente, all’uso di pesticidi PFAS.
Questo aumento è significativo se confrontato con uno studio del 2017 del laboratorio di riferimento dell’UE, CVUA di Stoccarda, che rilevava una concentrazione mediana di 50 µg/l (con un picco di 120 µg/l) in 27 vini europei.
Il TFA era considerato sostanzialmente innocuo
Il TFA, inizialmente considerato sostanzialmente innocuo dal punto di vista tossicologico, è ora oggetto di crescente preoccupazione. Uno studio del 2021 ha evidenziato gravi malformazioni fetali in conigli esposti a TFA, sollevando dubbi sulla sua potenziale nocività per la salute riproduttiva umana. La sua persistenza nell’ambiente lo rende un indicatore di contaminazione ambientale.
La PAN Europe chiede alla UE un intervento urgente, in particolare un voto a favore del divieto del flutolanil, un pesticida PFAS che rilascia TFA.
Contaminazione da TFA, PFOA e PFOS nelle acque potabili
Un’indagine indipendente di Greenpeace Italia, “Acque senza veleni”, condotta tra settembre e ottobre 2024 su 235 città italiane, indica la presenza di PFAS, tra cui TFA, in quattro campioni di acqua potabile su cinque, prelevati per lo più da fontanelle pubbliche. Il 47% dei campioni presentava PFOA (sostanza certamente cancerogena per l’uomo), il 22% PFOS (possibile cancerogeno), e il 40% TFA. Le regioni più colpite sono la Sardegna, il Trentino Alto Adige e il Piemonte. Il comune di Castellazzo Bormida (AL) ha registrato il valore massimo di TFA (539,4 nanogrammi/litro). Greenpeace sottolinea l’inadeguatezza dei limiti europei in via di adozione (100 nanogrammi/litro per la somma di 24 molecole), superati dalle evidenze scientifiche più recenti.
I controlli sulla contaminazione da PFAS sulle acque potabili sono per lo più assenti
Nonostante l’Italia ospiti alcuni dei più gravi casi di contaminazione dell’intero continente europeo, come dimostrano le vicende della Miteni di Trissino (Vicenza) e della Solvay a Spinetta Marengo (Alessandria), a oggi i controlli sui PFAS nelle acque potabili sono per lo più assenti o limitati a poche aree geografiche.
Nell’ambito delle sue analisi indipendenti, Greenpeace Italia ha inoltre verificato la presenza nelle acque potabili italiane dell’acido trifluoroacetico, la molecola del gruppo dei PFAS più diffusa sul pianeta, per cui nel nostro Paese non esistono dati pubblici. Il Tfa è una sostanza persistente e indistruttibile ancora oggetto di approfondimenti scientifici che, per le sue stesse caratteristiche, non può essere rimossa mediante i più comuni trattamenti di potabilizzazione.
Il governo italiano ha presentato al Parlamento il decreto legislativo n. 260 (approvato il 13 marzo), che introduce limiti per il TFA (10 microgrammi/litro) e per altri quattro PFAS pericolosi (20 nanogrammi/litro). Tuttavia, Greenpeace auspica un ulteriore miglioramento del testo per ridurre ulteriormente i limiti e per vietare la produzione e l’uso di questi inquinanti.
L’Europa non vuole mollare gli PFAS
L’Europa, invece, sembra orientata verso una posizione più cauta, con la commissaria Ue per l’Ambiente, Jessika Roswall, che ha escluso strette normative prima del 2026. Anche l’ex premier italiano ed ex presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi ha espresso pubblicamente preoccupazioni riguardo all’impatto di un divieto immediato delle “sostanze necessarie” anche per le tecnologie green, per le quali attualmente “non esistono alternative”. Il suo “Whatever it takes” si estende, dunque, anche alla necessità di proseguire a contaminare il pianeta e porre a rischio la salute degli esseri umani con inquinanti eterni, ma è per “salvare il pianeta”.
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