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Dopo Eni e Saipem, è di nuovo il turno di Finmeccanica

Sembra che sia diventato lo sport preferito della magistratura italiana, quello di puntare il mirino sull’industria di Stato italiana. Per carità, il marcio c’è ed è giusto che venga stigmatizzato: corruzione e peculato sono due reati che imperversano, minandoli sin nelle fondamenta, nei gioielli industriali di casa nostra. Guai se non si provvedesse a porvi riparo. Eppure quant’è sospetto il tempismo che porta giudici e procuratori italiani ad accorgersene soltanto adesso! Par d’essere ritornati al 1992, allorchè le inchieste di Tangentopoli servirono da viatico per le grandi privatizzazioni iniziate in quei mesi ed andate avanti anche negli anni successivi. Aria di “Britannia”! Guardacaso anche adesso si parla di cedere se non tutta perlomeno parte della quota di Eni e Finmeccanica in mano al Tesoro: è quanto espresso da più d’un candidato alle elezioni politiche. Che le inchieste servano a propiziare la svendita delle aziende strategiche italiane alla concorrenza straniera? Qualcuno sosteneva che, a pensar male, si commetteva peccato ma s’indovinava pure.

Il convertiplano, aereo che si trasforma in elicottero, realizzato dalla Agusta Westland e presentato da Finmeccanica nel 2009.

Stamani il presidente di Finmeccanica, Giuseppe Orsi, e l’amministratore delegato di Agusta Westland, Bruno Spagnolini, sono stati arrestati “con l’accusa di corruzione internazionale, peculato e concussione per le presunte[ed è bene sottolineare quest'aggettivo]tangenti che sarebbero state pagate per la vendita di dodici elicotteri all’India”(Ansa). Com’è stato fatto notare dal legale di Orsi, il risultato più pratico ed immediato del provvedimento del gip di Busto Arsizio è stato quello di decapitare “due delle maggiori aziende del nostro paese”. Secondo i magistrati, la commessa indiana, del valore di 500 milioni di euro, sarebbe stata assicurata con una tangente di 50 milioni.

E anche in questo caso c’è poco di che stupirsi: negli ambienti internazionali, se si vuol vendere qualcosa, assicurarsi una fornitura o un appalto, bisogna ungere le ruote. Tangenti e fondi neri non sono certamente un’invenzione od un appannaggio delle grandi industrie italiane: vi ricorrono, e pure abbondantemente, anche le altre grandi aziende europee ed americane. In molti paesi è semplicemente impensabile presentarsi senza la famosa mazzetta. Non a caso Orsi, nelle intercettazioni, definiva le tangenti “un fattore naturale della pratica aziendale”, al punto da indurre il gip di Busto Arsizio a parlarne come d’una “filosofia aziendale”.

Qual è stato il risultato più immediato dell’attacco aFinmeccanica di questa mattina? Il suo titolo è calato del 7,4%, per un valore di 4,4 euro, al punto che la Consob è dovuta intervenire vietandone le vendite allo scoperto. Proprio quel che s’era visto con Eni e Saipemnei giorni scorsi: un copione al quale avremmo preferito non assistere più.

Articolo di Filippo Bovo

Fonte: http://www.statopotenza.eu

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